Nuovi popoli in lotta

Idee – Capitolo 9

 

«Tutti i popoli hanno il diritto di libera decisione; in base a tale diritto, essi decidono liberamente del proprio statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.»

 

Dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei popoli coloniali (1960)


 
L’autodeterminazione dei popoli
 
La Rivoluzione d’Ottobre solleva la questione dell’autodeterminazione dei popoli, dentro e fuori i confini dell’impero russo: una bomba a orologeria destinata a scuotere il mondo.

Non si tratta solo di cercare di rimuovere le esplosioni di violenza razzista dei pogrom, che colpivano le minoranze nelle campagne russe, ma anche di riconoscere l’indipendenza dei popoli e delle nazioni per lungo tempo soggette agli zar (Polonia e Finlandia in primis). Dopo la catastrofe della Grande Guerra, parlare di autodeterminazione dei popoli vuol dire affermare la parità di diritti tra le nazioni, grandi o piccole che fossero.
Due miti caratterizzano questo processo di emancipazione: i “Quattordici punti” promossi dal Presidente statunitense Woodrow Wilson e l’appello di Lenin all’autodeterminazione del 1914.

 

La reazione dei popoli coloniali
 
Più che nei paesi collocati ai margini dell’area di influenza russa, che ben presto verranno riassorbiti nell’orbita del potere sovietico, questo messaggio innesca la mobilitazione delle masse dei popoli coloniali soggetti all’Occidente in tutti continenti (dalla Cina al Vicino oriente, dall’America Latina all’Africa, al sud-est asiatico) segnando l’inizio del processo di decolonizzazione.

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Di seguito viene riproposta la bacheca del nono pannello della mostra, allestita con un manifesto, dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, i frontespizi di due pubblicazioni, La nuova libertà. Invito di liberazione alle generose forze di un popolo di Woodrow Wilson e la Pubblicazione del Komintern su: economia, politica e sfruttamento della manodopera nei paesi capitalisti, e una fotografia del Congresso di Baku per la liberazione dei popoli dell’Oriente, tenutosi nel 1920.

 


Approfondiscicover

 

Il riso rosso è un racconto della nevrosi di guerra e delle conseguenze da shock bellico. Protagonista è un soldato impegnato in una tragica ritirata sotto un sole cocente, un ufficiale che cammina da dieci ore e vede continuamente cadere intorno a sé uomini sopraffatti dal caldo e dalla fatica, tesi nello sforzo disperato della sopravvivenza.

Diciannove frammenti che parlano della guerra e delle sue conseguenze, anticipando il senso tragico di ciò che l’avvento della guerra di massa lascia sul campo quando le armi tacciono. Il libro si ispira al conflitto russo-giapponese, ma nulla in queste pagine offre un concreto riferimento a quei fatti, cui del resto lo scrittore non partecipò in alcun modo. Attraverso toni crudi ed esasperazioni grottesche, Andreev descrive con dieci anni di anticipo lo scenario umano, esistenziale e fisico di chi esce dalla guerra e “torna a casa”: una massa di invalidi, colpiti e feriti nella mente, prima ancora che nel corpo, incapaci di tornare a riprendere il corso normale della loro vita.

 

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