Non più servi

Idee – Capitolo 7

 

«…Che cosa vogliono i contadini dalla rivoluzione? Che cosa può dare la rivoluzione ai contadini? […] I contadini vogliono la terra e la libertà. Su questo non possono esservi due opinioni. Tutti gli operai coscienti appoggiano con tutte le forze i contadini rivoluzionari, tutti gli operai coscienti vogliono che i contadini ricevano tutta la libertà completa e lottano per questo scopo. Tutta la terra, non significa accontentarsi di concessioni parziali e di elemosine […], ma sulla abolizione della proprietà fondiaria.»

 

Vladimir Il’ič Lenin


 
Un popolo di contadini
 
La Russia è un’immensa pianura, punteggiata da pochi centri urbani, dei quali ancora meno sono quelli che hanno conosciuto un vero e proprio decollo industriale. Gli operai sono tanti e le loro condizioni di vita sono spesso durissime. Ma la gran parte del popolo russo è fatta di schiere di contadini, che vivono in condizioni di grande arretratezza, in virtù di un sistema che da secoli li rende servi, senza alcun diritto sulla terra su cui quotidianamente lavorano con tanti sacrifici, senza alcuna possibilità di accedere a una qualche forma di educazione che si traduca in una coscienza politica e in una spinta all’emancipazione.
 
Il coinvolgimento delle campagne
 
Molti rivoluzionari, soprattutto nell’ala moderata dei menscevichi, sono convinti che sia prematuro pensare di coinvolgere le masse contadine in un processo rivoluzionario. Lenin e i suoi, invece, pensano sia necessario partire proprio da lì: da una riforma agraria che permetta ai contadini di uscire da quell’arretratezza, di sentirsi responsabili del proprio futuro e del cambiamento che potranno imprimere nelle loro condizioni di lavoro e di vita. Il rapporto tra operai e contadini, tra la città e la campagna condizionerà l’intero corso della rivoluzione e dell’esperienza sovietica.

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Di seguito viene riproposta la bacheca del settimo pannello della mostra, allestita con un manifesto dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e tre manifesti appartenenti alla raccolta Azbuka revoljucii (L’alfabeto della rivoluzione), opera dell’artista ucraino Adol’f Strachov, realizzata nel 1921.

 


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Ezio Mauro ritorna nei luoghi dell’insurrezione popolare che ha invertito la direzione della storia: attraversa la rabbia, la paura e la tragedia di una popolazione stremata dalla guerra e dalla carestia. Rimette in scena il furore che ha afferrato l’anima di una città e la storia di un Paese, cambiando per sempre il loro destino. Con la penna del grande inviato, crea un cortocircuito tra passato e presente che rievoca nei luoghi della Rivoluzione la stessa atmosfera di sofferenza, di lotta e di speranza nel cambiamento che l’ha ispirata e accesa, sfociando poi nel Terrore. “Tutto quel che è accaduto dopo comincia qui. Anche se sembrava un inizio, ed era la fine del mondo.”

 

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