La crisi del sistema
Economia – Capitolo 10
«Dopo la metà degli anni Settanta il miglioramento dello standard di vita sovietico entrò in una fase di stallo. Tutti i beni di consumo divennero a poco a poco pressoché introvabili, o meglio, erano disponibili, ma difficili da reperire. La lotta della vita quotidiana fu il contesto in cui sulla società sovietica calò un malessere costante.»
Paul Bushkovitch
Il piano economico di Kruscëv
Una volta al potere, il successore di Stalin Nikita Kruscëv si pone come obiettivo di riformare l’economia del paese. Parallelamente al processo di destalinizzazione, il governo opta per una maggiore autonomia dei kolkhoz e alza il prezzo delle merci prodotte nelle fattorie collettive, così da immettere più risorse nel campo agricolo. Dopo una visita negli Stati Uniti nel 1959, Kruscëv comprende la necessità di tecnologie avanzate nel settore, come l’uso dei fertilizzanti chimici, mentre negli anni Sessanta decide di alzare il rendimento della produzione cerealicola dell’URSS con l’utilizzo delle “terre vergini” in Asia Centrale. Purtroppo questa idea, così come il tentativo di portare la coltura del mais nello spazio sovietico, non paga gli sforzi sostenuti e presto è chiaro che bisogna incanalare le risorse nell’industria chimica e nella produzione di petrolio e gas naturale.
L’arrivo della stagnazione
Destituito Kruscëv, il Comitato Centrale elegge Leonid Breznev, con il quale la Russia affronta tre piani quinquennali. Durante questo periodo, la produzione di gas, esportato a prezzi favorevoli ai paesi “fratelli” dell’URSS, aumenta di dieci volte. La corsa agli armamenti portata dalla guerra fredda e lo sviluppo del settore estrattivo si verificano al prezzo di danni ambientali irreparabili. Nonostante l’inizio positivo, l’era Breznev si chiude con un’economia stagnante, che presentava segnali di crisi e problemi che si andavano trascinando fin dalla fondazione dello stato sovietico, come quello riguardante lo sviluppo agricolo.
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Di seguito viene riproposta la bacheca del decimo pannello della mostra, allestita con un manifesto, dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, e le copertine di tre numeri del giornale satirico sovietico «Krokodil», fondato nel 1922.
Per iniziare la visita alla mostra virtuale, basta cliccare su una delle immagini che seguono. Potete procedere nell’ordine consigliato oppure visualizzare i singoli oggetti.
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
Alle origini dell’approdo mancato
Crisi, trasformazioni e i punti di svolta della storia
Partiti ed elettori in tempi di crisi
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
Crisi, sviluppo, crescita, mobilitazione, investimento. Parole intercambiabili per descrivere un panorama in continuo mutamento. Dove siamo noi? L’economia degli ultimi cento anni ha cambiato la vita di tutti, spesso ha indotto trasferimenti di attività, di persone, di interi gruppi umani.
L’economia nel corso del Novecento ha attraversato un’epoca di radicali trasformazioni – tra progresso e sviluppo, crollo delle borse e boom economico – e ha contribuito in larga parte a rendere il Novecento “Il Secolo breve”.
Alle origini dell’approdo mancato
L’immagine dell’Italia industriale che coltiviamo oggi è quella di un Paese di piccole e medie imprese e di distretti industriali. Se è vero che dal distretto emerge in diversi casi una media impresa fortemente dinamica, vera e propria “multinazionale tascabile” in grado di dominare nicchie globali, occorre sottolineare come i settori nei quali distretti e medie imprese operano non siano quelli sui quali si gioca la partita per la supremazia mondiale del XXI secolo. Per elettronica, chimica fine, biotecnologie, nuovi materiali, telecomunicazioni, trasporto aereo, robotica è necessaria la grande impresa. L’Italia è relegata in seconda fila.
C’è stato un momento nella storia italiana contemporanea in cui sembrava possibile raggiungere o competere su questi settori che delineano il presente. E’ accaduto tra anni ’50 e anni ’60.
Le scelte che allora furono intraprese, ma soprattutto le strade che furono interrotte e le figure imprenditoriali che attente a quelle trasformazioni, furono contrastate con successo, purtroppo, dalla politica, sono all’origine non solo della crisi, ma dell’approdo mancato dell’Italia all’economia mondiale, una frontiera raggiunta da un Paese lontano ma per molti versi paragonabile al nostro, il Giappone.
Mario Pirani, nel 1991 pubblica un saggio, denso e breve, che qui riproponiamo.
L’odierna debolezza del nostro apparato industriale, questa la riflessione di Mario Pirani, ha radici lontane: con la fine prematura delle esperienze di Enrico Mattei nel settore petrolifero, di Felice Ippolito nel nucleare, e di Roberto Olivetti nell’elettronica, l’industria del nostro paese vide svanire alcune opportunità strategiche di sviluppo, che avrebbero potuto qualificare la crescita italiana ponendo le premesse per un destino di tipo “giapponese”.
Tre appuntamenti mancati dell’industria italiana è un saggio che indica con acume i problemi strutturali della debolezza dell’Italia industriale e anticipa con chiarezza molte questioni che ancora oggi sono sul tavolo della discussione pubblica. L’Annale della Fondazione mette a tema quelle questioni e propone di riconsiderare le cause della nostra crisi presente.
Leggi l’eBook che accompagna l’Annale della Fondazione: “Tre appuntamenti mancati dell’industria italiana“
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Leggi l’Annale della Fondazione: “L’approdo Mancato. Economia, politica e società in Italia dopo il miracolo economico“
L’approdo mancato è un concetto che Mario Pirani propone nel 1991 in un testo pubblicato sulla rivista “Il Mulino”. Tre le occasioni mancate su cui Pirani invitava a riflettere – l’elettronica, il nucleare, la distribuzione petrolifera – sostenendo che se avessimo colto queste opportunità saremmo pervenuti a un approdo giapponese.
Franco Amatori riprende questa suggestione e proponendo di intendere, con questa espressione, approdo alla frontiera dell’economia mondiale
Era un fatto scontato che l’Italia, giunta alla fine del secolo scorso al quinto posto nel mondo per ricchezza prodotta annualmente, dovesse arretrare, così com’era inevitabile che subisse i rigori della crisi scoppiata negli Stati Uniti nel settembre del 2008.
L’avvento della globalizzazione e l’ascesa dei cosiddetti Brics, in particolare della Cina, fanno sì che l’Italia non possa mantenere le sue posizioni. Allo stesso tempo, l’enorme massa dei titoli tossici non poteva non avere effetti sull’economia già gravata da un debito pubblico fra i più alti del mondo. Tuttavia, questi veri e propri uragani sarebbero stati affrontati in modo ben diverso se l’apparato economico e, in particolare, industriale italiano fosse stato di maggiore consistenza; se il paese avesse potuto avvalersi di una grande industria chimica, elettronica, automobilistica; se avesse avuto una più vasta diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione; se fosse stato più autonomo dal punto di vista energetico.
La storia la si comprende se si studiano “come sono realmente andate” le cose. E tuttavia la questione rimane: Che cosa sarebbe accaduto se lo snodo del post miracolo (fine anni Sessanta, anni Settanta) avesse avuto un esito diverso?
Crisi, trasformazioni e i punti di svolta della storia
Descrizione dell’ebook
A seguito dell’esplosione della crisi economica nel 2008, come in altri passaggi storici, ha preso piede una profonda trasformazione tecnologica che ha fatto parlare di “quarta rivoluzione industriale” che, si dice, renderà sempre più superfluo il lavoro. Siamo davvero entrati in una “nuova” epoca e in cosa consiste la trasformazione in corso? Qual è la cifra del mutamento sociale in atto? È il capitalismo che sta cambiando?
Tornando sull’evoluzione storica del capitalismo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il testo di Ardeni analizza lo sviluppo non lineare del capitalismo, ponendo l’accento sulla sequenza di accelerazioni e rallentamenti che ne ha segnato il lungo percorso.
Partiti ed elettori in tempi di crisi
Negli ultimi anni in Europa (e non solo) abbiamo assistito all’emergere e all’affermarsi di partiti (nuovi o rinnovati) che possono essere accomunati dalla critica ai partiti mainstream e alle élite politiche esistenti. Nell’e-book Partiti ed elettori in tempi di crisi si analizzano le basi sociali di quattro partiti anti-establishment (il Movimento 5 stelle, Podemos, l’UK Independece Party e il Front National), al fine di comprendere chi rappresentino. Il loro elettorato è composto dai cittadini che, soprattutto a seguito della crisi economica, si sentono “lasciati indietro” dalle élite politiche. In un contesto di crisi (economica, politica, dei partiti tradizionali), da chi si fanno rappresentare i cittadini europei?