La Russia e il mondo
1917 – 1991
Propaganda – Capitolo 2
Le 12 repubbliche che costituiscono l’Urss (Lettonia, Estonia e Lituania si erano già rese autonome in precedenza) si dichiarano indipendenti e fondano la CSI (Comunità degli Stati indipendenti). Alla guida della Russia c’è Boris Eltsin.
La fine dell’Urss, 31 dicembre 1991
1917
8 marzo (23 febbraio del calendario giuliano in uso in Russia fino al 1° febbraio 1918)
Rivoluzione di Febbraio – le proteste e gli scioperi che da settimane scuotono l’Impero zarista trovano il culmine nella capitale San Pietroburgo. I soldati stremati dalla guerra si mostrano solidali con la popolazione piegata dalla fame: nell’arco di pochi giorni lo zar è costretto ad abdicare.
6-7 novembre (25-26 ottobre)
Rivoluzione d’Ottobre – il partito bolscevico dà corso al suo piano di insurrezione armata per rovesciare il governo provvisorio di Aleksandr Kerenskij. Il Congresso generale dei soviet di tutta la Russia, che inizia la sera stessa, vede dissociarsi dal colpo di stato i menscevichi e i socialisti rivoluzionari, consentendo di fatto ai bolscevichi di instaurare un governo senza opposizione.
1924
21 gennaio
Morte di Lenin – muore a Gorki, non lontano da Mosca, Vladimir Il’ič Lenin. Iosif Vissarionovič Stalin dà avvio a una dura lotta di potere tesa a eliminare ogni possibile avversario politico, a partire dal suo più tenace oppositore, Lev Davidovič Trockij.
1930
2 febbraio
Dekulakizzazione – per decreto governativo inizia il processo di abolizione della classe contadina dei kulaki (l’élite rurale dei piccoli proprietari terrieri): le loro terre sono requisite dallo Stato, che ne assume direttamente la gestione (sovchoz) o la affida a consorzi collettivi di contadini (kolchoz); ogni opposizione è punita con la confisca di tutti i beni e la deportazione.
1936-1938
Le“grandi purghe” – la dittatura stalinista si consolida attraverso l’epurazione di tutti gli esponenti della Rivoluzione del ’17, nel corso processi-farsa che spesso si concludono con condanne a morte. Inoltre arresti, deportazioni e uccisioni di massa si abbattono contro persone e gruppi considerati “antisovietici”, in un’ondata repressiva nota anche come “grande terrore”.
1941
22 giugno
L’attacco della Germania nazista – dopo l’iniziale alleanza stipulata per agevolare l’invasione dell’est Europa, sospinto dai successi delle prime fasi della Seconda guerra mondiale, Hitler decide di attaccare l’Urss. La resistenza dell’Armata rossa e il sopraggiungere dell’inverno mettono fine all’avanzata nazista, fino al rivolgimento di fronte della battaglia di Stalingrado, che segna una svolta nelle sorti dell’intero conflitto.
1945
2 maggio
La fine della Seconda guerra mondiale – l’Armata rossa entra vittoriosa in una Berlino ridotta in macerie. Sul palazzo del Reichstag sventola la bandiera rossa. La guerra è costata all’URSS 20 milioni di morti.
1946
15 marzo
La cortina di ferro – il primo ministro britannico Winston Churchill in visita negli Stati Uniti esprime la sua preoccupazione per un’Europa che, divisa nelle sfere d’influenza degli Usa a occidente e dell’Urss a oriente, appare attraversata da un’invisibile ma invalicabile “cortina di ferro”.
1953
5 marzo
La morte di Stalin – Stalin muore in seguito a un ictus nella sua villa alle porte di Mosca. Il suo corpo viene imbalsamato e i suoi funerali sono imponenti. Nei mesi successivi la direzione del partito passa a Nikita Sergeevič Kruscëv.
1955
14 maggio
Il Patto di Varsavia – gli Stati afferenti alla sfera d’influenza sovietica stringono un’alleanza militare in opposizione alla NATO.
1956
14-25 febbraio
Il “rapporto Kruscëv” – al XX Congresso del PCUS Kruscëv denuncia il culto della personalità di Stalin e i crimini commessi durante il periodo staliniano.
4 novembre
La repressione in Ungheria – i cambiamenti e il “disgelo” seguiti alla morte di Stalin aprono le porte all’espressione del dissenso anche in altri paesi del blocco sovietico: in Ungheria una rivolta popolare instaura un regime liberale, represso con estrema violenza dall’esercito russo nel giro di poche settimane.
1957
4-5 ottobre
Il lancio dello Sputnik 1 – il primo satellite artificiale del programma Sputnik è lanciato in orbita attorno alla Terra, dove rimane per 3 mesi, fino al rientro in atmosfera che ne causa la distruzione. La tecnologia aerospaziale russa segna un primo successo contro gli Stati Uniti nella corsa allo spazio. Quattro anni più tardi, il 12 aprile 1961, la navicella Vostok-1 porterà con sé il cosmonauta Jurij Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio.
1962
Ottobre
La crisi dei missili di Cuba – l’URSS decide di impiantare in territorio cubano missili a medio raggio, a poche miglia dal territorio statunitense. Inizia una crisi che per alcuni giorni terrà il mondo sull’orlo di una guerra diretta tra le due superpotenze, il momento più acuto della Guerra fredda.
1968
20 agosto
La repressione della Primavera di Praga – carri armati sovietici e degli altri Stati aderenti al Patto di Varsavia mettono fine all’insurrezione che nei mesi precedenti aveva cercato di ristabilire le libertà democratiche in Cecoslovacchia.
1973
“Arcipelago Gulag” – esce a Parigi in prima edizione in lingua originale l’opera di Aleksandr Isaevič Solženicyn che per prima racconta diffusamente il sistema dei campi di concentramento e lavoro sovietici. Il 12 febbraio 1974 l’autore è arrestato e costretto all’esilio.
1980
19 luglio-3 agosto
Le Olimpiadi di Mosca – la XXII edizione estiva dei Giochi olimpici si tiene nel segno delle più aspre tensioni tra il mondo sovietico e il blocco occidentale. A causa dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS, avvenuta alla fine del 1979, gli USA e molti suoi alleati decidono di non partecipare.
1985
11 marzo
Gorbačëv segretario generale del PCUS – giunto alla guida del partito e del Paese, Michail Sergeevič Gorbačëv avvia in Urss una serie di cambiamenti epocali all’insegna della ricostruzione (perestrojka) dell’economia dissestata e della trasparenza (glasnost) della macchina statale nei confronti dei cittadini.
1989
9 novembre
La caduta del muro di Berlino – in seguito ad ampissime manifestazioni popolari, la Repubblica democratica tedesca dichiara abolita la separazione tra Berlino Est e Berlino Ovest e consente l’abbattimento del muro che le divideva dal 1961. È l’avvio della dissoluzione del sistema sovietico.
1991
19 agosto
Golpe d’agosto – alcuni membri del governo sovietico organizzano un colpo di stato volto a destituire Gorbačëv. È l’atto iniziale del crollo dell’URSS e del sistema comunista in Occidente.
31 dicembre
La fine dell’Urss – le 12 repubbliche che a questa data costituiscono l’Urss (Lettonia, Estonia e Lituania si erano già rese autonome nell’estate precedente) si dichiarano indipendenti e fondano la CSI (Comunità degli Stati indipendenti). Alla guida della Russia c’è Boris Eltsin.
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Di seguito viene riproposta la bacheca del secondo pannello della mostra, allestita con un manifesto accompagnato da documenti d’archivio tratti dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Approfondisci
La primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno di Praga
di Alessia Masini
Ricercatrice presso Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
«La Cecoslovacchia sta vivendo giornate di intensa, anche se non ufficiale, democrazia». Con queste parole il giornalista Francesco Russo – nell’articolo Il coperchio di Breznev de “L’Espresso” che qui alleghiamo – commentava lo stato di salute di quel processo di cambiamento, tentativo di liberalizzazione, di riforma e di affermazione di un “socialismo dal volto umano”, cioè la Primavera di Praga.
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Il coperchio di Breznev, L’Espresso 7.4.1968,
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Una nuova stagione nel paese comunista a est della “cortina di ferro” si inaugurava il 5 gennaio del 1968, giorno in cui Alexander Dubček veniva eletto Segretario Generale dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco (PCC) al posto di Novotny, da quindici anni alla guida del partito, seguito poi, nel marzo successivo, da un altro cambio di rotta significativo con l’elezione a presidente della Repubblica di Ludvìk Svoboda. Il processo di riforme cecoslovacco mirava a coniugare il socialismo con la garanzia delle libertà civili, ma, allargando lo sguardo, la Primavera di Praga è stata un laboratorio con numerosi ed eterogenei attori che avevano diversi scopi. «Il relativo ottimismo dei cecoslovacchi si comprende», scriveva ancora Francesco Russo, perché il loro «dirigenti sono gli strumenti di un’evoluzione che può trascendere le loro intenzioni».
Le similitudini con quanto stava accadendo nell’Occidente capitalistico sono molte e si trovano in particolare nell’effervescenza e nel protagonismo politico e culturale del mondo giovanile e studentesco, già attivo dal 1964 con le prime manifestazioni di piazza. Al contrario di altri paesi europei interessati dalle proteste, però, il 1968 della Cecoslovacchia riguardava un intero paese.
Sostiene lo storico Pavel Kolář (in G. Crainz, Sessantotto sequestrato, 2018) che per quanto riguarda la narrazione comune di una «creatività che sfida il potere» dal basso, questa deve essere collocata nel contesto e nella specificità della Cecoslovacchia degli anni Sessanta. Qui, infatti, sono stati gli scrittori in particolare, più che gli artisti in generale, ad aver agito politicamente attraverso il proprio status ed esercitato una influenza sociale e culturale senza precedenti, acquisita anche grazie al sostegno del governo comunista. L’agenda politica radicale del mondo dell’arte e della cultura del ’68 di Praga ha uno stretto legame con il loro lavoro, messo in opera già nel corso dell’anno precedente con l’appello per la fine della censura promossa dal Congresso degli scrittori.
Il 26 giugno Dubček aboliva ufficialmente la censura sulla stampa, che ufficiosamente non veniva più praticata da mesi e immediatamente dopo, il 27 giugno, i tre più importanti quotidiani cecoslovacchi e il settimanale letterario “Literárnì listy”, pubblicavano un manifesto dal titolo insolito: Duemila parole dedicate agli operai, agli agricoltori, agli impiegati, agli scienziati, agli artisti e a tutti gli altri. Questo manifesto avrebbe avuto un ruolo centrale nel corso degli eventi immediatamente successivi. Ludvìk Vaculìk, autore e primo tra i tanti firmatari del manifesto, denunciava apertamente la «decadenza» di molti comunisti e la trasformazione del partito comunista cecoslovacco in un «organismo di potere» che esercitava «un richiamo estremamente allettante per gli egoisti assetati di potere, i vili calcolatori e la gente dalla coscienza sporca». Metteva in luce, inoltre, l’inquietudine della gente perché il processo di democratizzazione si stava arrestando. I fatti di poche settimane dopo sarebbero state la risposta a denunce tanto coraggiose.
Un attore centrale nel rinnovamento del paese è la televisione. La televisione di Stato, guidata dal direttore Jiři Pelikán, è stata la cassa di risonanza delle proteste e delle parole d’ordine di riforma del socialismo, cogliendo immediatamente le possibilità offerte dalle maglie larghe e dall’abolizione della censura. La Primavera di Praga ha così catapultato il paese e il PCC nel secolo dei media. La politica a tutti i livelli veniva affascinata e investita dalla potenzialità del mezzo visivo.
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, esattamente cinquanta anni fa, sulla capitale cecoslovacca calava l’inverno: le truppe sovietiche e gli alleati del Patto di Varsavia reprimevano duramente il fermento culturale, politico e sociale diretto dai dirigenti e dalle istituzioni nazionali e sostenuto dalla popolazione. Durante “l’inverno di Praga” caratterizzato dalla “normalizzazione”, successiva all’invasione sovietica, il PCC avrebbe messo in atto una forma di controllo e di censura quasi ossessiva dei mezzi di comunicazione, della televisione e delle istituzioni culturali, usandoli per i propri, altri, obiettivi. La lettera del 1973 di Vera Stovickova-Heroldova – ex annunciatrice televisiva, assistente museale, commentatrice radiofonica – indirizzata al Comitato Centrale del PCC e che qui pubblichiamo, illustra alcuni effetti della perdurante “normalizzazione” della cultura e dei media: il suo licenziamento da ogni ambito lavorativo e la sua impossibilità di trovare un nuovo impiego ha una pura motivazione politica, esplicitata in un caso con una «insufficiente coscienza di classe».
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Lettera Vera Stovickova-Heroldova – Praga, 20.10.1973,
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Pacini, Faldone 2
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di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Il gesto estremo di Jan Palach studente di filosofia, il suo suicidio con il fuoco avvenuto il 16 gennaio del 1969 in piazza Venceslao nel centro di Praga, aveva uno scopo preciso: la protesta per l’abolizione della censura. Per comprendere la sproporzione di un tale gesto rispetto all’obiettivo dobbiamo calarci di nuovo nel contesto. Jiři Pelikán, in una testimonianza trascritta a conservata negli archivi della Fondazione Feltrinelli, parla del ritorno di «vecchi e screditati uomini politici», della restaurazione «del potere assoluto della polizia segreta» e della diffusione di «menzogne e di calunnie contro le quali – proprio per l’esistenza della censura – nessuno poteva difendersi».
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Lettera Jiri Pelikan – L’appello di Jan Palach.
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Pacini, Faldone 2
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di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Afferma ancora lo storico Kolář che per comprendere davvero che cosa sia stata la breve parabola di Praga si deve sia guardare alle radici del riformismo post-stalinista degli anni precedenti, sia al riverbero nel continente europeo che l’esperienza cecoslovacca ha avuto dopo l’invasione sovietica dell’agosto del 1968. Per la storia dell’Europa nei decenni successivi, la Primavera di Praga e, in generale, il Sessantotto nei paesi dell’Europa orientale ha probabilmente una rilevanza maggiore rispetto al “Maggio Francese” e al ’68 in Italia.
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L’Espresso n. 10, 10.3.1968, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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L’Espresso n. 34, 25.8.1968, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Dal patrimonio: in occasione della chiusura della mostra, la Fondazione propone il Kit didattico ‘900 la Stagione dei Diri
Fare Memoria. Una scuola per i cittadini di domani
Educare a un mondo più degno
Il passato al presente. Raccontare la storia oggi
Dal patrimonio: in occasione della chiusura della mostra, la Fondazione propone il Kit didattico ‘900 la Stagione dei Diritti \ Scarica il kit e visita il portale Scuoladicittadinanzaeuropea.it
Il Novecento è il secolo dei grandi cambiamenti e delle grandi conquiste: ad ogni livello della vita collettiva ha scardinato il sistema costituito.
Momenti di ribellione, lotte, riscatti hanno segnato il processo di emancipazione di soggetti prima tenuti ai margini della vita pubblica (lavoratori, donne, giovani, minoranze, popoli coloniali, etc.).
Questo processo non è stato lineare ma è stato segnato anche da arretramenti, dalla confisca di diritti dati per acquisiti, da contrattazioni sulla base dei rapporti di forza tra istanze e interessi contrapposti in cui si articolava la società.
Per i movimenti rivendicativi del Novecento è stata la piazza il luogo fisico in cui è avvenuta la presa di parola. Sono state le piazze a fare la storia, con i loro cortei, i loro assembramenti, i loro comizi, i loro momenti di condivisione e affermazione di parole d’ordine e istanze, come una nuova agorà decisionale in grado di ridisegnare i contorni della cittadinanza e della comunità.
In alcuni casi la piazza ha rappresentato il luogo in cui si sono affermate forze che hanno chiesto e ottenuto la marginalizzazione e l’annullamento dei diritti di interi gruppi sociali. Il Novecento insegna che la conquista dei diritti non deve essere data per scontata e che la loro stessa definizione dipende da condizioni sociali, culturali e politiche in continuo cambiamento. Proprio per questo la loro difesa e il loro ampliamentodipendono dall’impegno di tutti noi.
Fare Memoria. Una scuola per i cittadini di domani
Zygmunt Bauman, in un libro uscito nel gennaio 2018 a un anno dalla sua morte (L’ultima Lezione, Laterza), ha scritto che “Tenere vivo il passato, è un obiettivo che può essere raggiunto solo mediante l’opera attiva della memoria, che sceglie, rielabora e ricicla. Ricordare è interpretare il passato; o, più correttamente, raccontare una storia significa prendere posizione sul corso degli eventi passati”.
Dunque ricordare è sempre un atto che noi compiamo nel presente e ciò che descriviamo è sempre approssimativo. La scena esatta del passato è sempre il risultato di molte memorie diverse che si incrociano, si incontrano, si confrontano, talvolta trovando punti di convergenza, oppure di conflitto.
La memoria dunque non è ciò che nel passato è avvenuto. È, allo steso tempo molto di più, ma anche molto di meno. Soprattutto oltre a ricostruire il passato indica le intenzioni di chi ricorda, di chi vuole ricordare.
La memoria tuttavia non è solo quella del singolo, ma anche quella dei gruppi umani, delle collettività, e delle nazioni.
C’è stato un tempo – il tempo della nazione – in cui le date memorabili che hanno fatto la storia della costruzione della nazione hanno dato il senso dell’identità collettiva. La date delle paci raggiunte, degli atti pubblici che segnano le forme del potere organizzato, entrano come date istituzionali e essenziali di quel calendario.
A partire dagli anni ‘90 quella modalità ha avuto delle modifiche. È iniziato da allora un tempo in cui il calendario civile non era più solo la storia della nazione, ma anche quello della costruzione di una dimensione universalistica dell’essere cittadini, in cui le date memoriali, che fossero profondamente radicate nella storia nazionale o meno, dovevano esprimere valori.
Il calendario civile da allora ha iniziato ad assumere una diversa fisionomia, caratterizzato da un rinnovato modo di intendere la storia del gruppo nazionale: non solo le date “diplomatiche” o “politiche” (paci, unità nazionale; fondamenti legislativi, …) ma anche quelle legate agli eventi che includono valori. In questo caso centrali diventano le persone.
Pensare il cittadino di domani significa per questo tornare a riflettere sul senso della dignità, della vita da vivere, della qualità dello stare insieme. In quel caso l’evento collegato non ha valore solo descrittivo, ma anche prescrittivo.
Ciò che cambia, dunque, è il profilo del contenuto di ciò che chiamiamo “Memoria”.
Quella parola che un tempo era associata all’idea di ricorso, di tradizione, comunque di una cosa che rimane nel tempo, si è trasformata nel nostro tempo attuale in ciò che “dobbiamo ricordare”, laddove con questa espressione si intende sia ciò che non possiamo dimenticare, sia ciò che, se eventualmente avessimo lentamente rimosso, dobbiamo recuperare e mettere al centro della nostra memoria, sia infine dare un volto e dunque dignità di memoria non tanto e solo a eventi e a figure, ma a significati che le storie di persone che intendiamo proporre contribuiscono a definire.
Memoria più che un dato, per noi è un risultato, ovvero l’effetto e la conseguenza di uno sforzo e dunque di un’intenzione.
Fare memoria ora implica predisporre altri e rinnovati percorsi per definirla, darle un volto. Più spesso quel volto non è un concetto, ma è l’insieme dei molti volti, concreti, con nomi e cognomi di persone perché è conseguente alla narrazione di storie concrete, persino “minute”, in cui al centro non sta l’eroe, ma il cittadino comune. In breve “noi”. Dove dunque il tema più spesso è la storia concreta, carica di incertezze, di contraddizioni, di svolte, di imprevisti, perché niente diventa più esemplare e “istruttivo” della storia singolare che insieme a molte altre – non perdendo niente della sua singolarità, ma consapevole della sua “parzialità” – che si fa storia pubblica aiutando a dare forma a una storia condivisa.
Auschwitz
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dunque attraverso le seguenti attività di Scuola di Cittadinanza Europea, riferendosi agli studenti delle scuole secondarie di II grado, intende guidare gli studenti nel fare memoria attraverso la ricostruzione di percorsi e alla partecipazione a storie di personaggi che hanno contribuito o contribuiscono alla creazione di quella storia condivisa a cui si fa riferimento nelle righe precedenti.
17 gennaio – Scuola secondaria di II grado
Tracce, parole e segni. Un percorso di memoria storica
Dopo la lettura del libro Non restare indietro di Carlo Greppi e un commento in classe gli studenti potranno riflettere e confrontarsi sulle vicende legate alla Seconda guerra mondiale e al dramma delle leggi razziali e delle deportazioni. Le riflessioni e le domande emerse in classe saranno il punto di partenza per un incontro restitutivo presso Fondazione, dove i ragazzi dialogheranno con l’autore e uno storico della Fondazione per un approfondimento sul libro e sul tema della memoria contemporanea.
22 gennaio – Scuola secondaria di II grado
Che cos’è la patria? Gente nostra, sangue nostro
Attraverso lo studio di figure che hanno avuto un rapporto controverso tanto con l’idea di patria quanto con il concetto di confine – ad esempio Cesare Battisti ma anche Gabriele D’Annunzio o Wilfred Owen – si cercherà di comprendere cosa s’intende quando si parla di patria oggi: se si intende quella in cui si nasce o quella che si adotta. Il laboratorio proposto alle classi permette di mettere a confronto le dimensioni e i significati del concetto, soffermandosi sulle accezioni di esasperazione e del suo annullamento, spaziando tra il pre 1914 e il post 1918. Kit didattico digitale e attività laboratoriale restitutiva presso la sede della Fondazione.
25 gennaio – Scuola secondaria di II grado
I luoghi della memoria. Itinerario di storia e tolleranza
Dopo la lettura del libro Una speranza ostinata di Max Mannheimer, le riflessioni e le domande emerse in classe saranno il punto di partenza per un percorso di approfondimento sul tema della memoria contemporanea. Gli studenti parteciperanno ad una passeggiata guidata tra le Pietre d’inciampo di Milano, un monumento diffuso e partecipato, progettato e realizzato in tutta Europa dall’artista tedesco Gunter Demnig, per ricordare le singole vittime della deportazione nazista e fascista. Le classi interessati saranno guidate alla progettazione e alla produzione di una mini-guida delle pietre di inciampo di Milano che possa essere utilizzata dalle scuole interessate che verrà pubblicata sui siti di Scuola di cittadinanza europea e di Add editore.
Educare a un mondo più degno
L’eredità di Expo Milano 2015
In un confronto di idee sui progetti del post Expo e, in particolare, sull’eredità della Carta di Milano, è naturale e intuitivo – almeno per me – tratteggiare le linee di un progetto, cui lavoriamo da due anni e mezzo. Il progetto di un Istituto di ricerca e formazione che si richiama alla Carta di Milano e che si basa su un’idea semplice e chiara: consolidare e approfondire l’intensa esperienza di ricerca scientifica, formazione a più livelli e discussione pubblica globale che si è sviluppata negli ultimi anni e, in particolare, nel semestre di Expo 2015 intorno ai contenuti centrali dell’Esposizione.
Si tratta di quella rete di connessioni con centri di ricerca e studio in Italia e nel mondo sviluppata da Laboratorio Expo di Fondazione Feltrinelli, alla luce della quale e grazie alla quale è stata – inter alia – possibile la redazione della Carta di Milano, con il corteo dei suoi numerosi allegati, delle sue integrazioni, delle critiche e delle controversie, con oltre un milione e mezzo di firme, con l’adesione di novantuno capi di stato e di governo. Personalmente considero, e continuo a considerare, la Carta di Milano come un serio impegno e una impegnativa promessa che Expo 2015 ha assunto e formulato, da Milano, dall’Italia al mondo.
La questione radicale e densa di implicazioni del cibo e della nutrizione è stata immersa, sin dall’inizio, nel più ampio contesto della prospettiva dello sviluppo sostenibile e delle sue dimensioni plurali. È in questo modo che il tema “nutrire il pianeta” ha chiamato in causa la ricerca sulla filiera alimentare, la ricerca antropologica sulle culture del cibo, la ricerca economica e sociale sulla sostenibilità, sulle ineguaglianze ingiustificabili e sull’equità nell’accesso e nel titolo a cibo adeguato e sicuro, ad acqua pulita, a energia sostenibile, la ricerca sulla grande trasformazione planetaria del rapporto fra città e campagna. In questi, come in altri ambiti in cui si è articolato il tema centrale di Expo, abbiamo costantemente adottato come bussola nella navigazione l’idea dello sviluppo sostenibile. Sviluppo sostenibile inteso sia come approccio analitico sia come impegno normativo. Come è facile cogliere dei numerosi contributi all’ultimo Annale della Fondazione Feltrinelli, dedicato a Laboratorio Expo. The many Faces of Sustainability (ottobre 2015).
Se l’approccio analitico implica la messa a fuoco delle connessioni e delle interrelazioni fra le diverse dimensioni o i molti volti della sostenibilità, l’impegno normativo ci orienta nel perseguimento di una varietà di obiettivi di valore, a loro volta interconnessi e indivisibili. Di qui, l’aria di famiglia con la definizione dei diciassette fini e dei numerosi obiettivi di sviluppo sostenibile nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite. Sappiamo che sviluppo sostenibile connette strettamente crescita economica, inclusione sociale e protezione ambientale. E ricordo che la Carta di Milano si chiude esplicitamente con il riferimento agli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Questo è lo sfondo appropriato in cui iscrivere le attività di ricerca e di formazione a differenti livelli di un Istituto Carta di Milano, mettendo in rete in modo efficacemente cooperativo le risorse scientifiche e intellettuali delle istituzioni accademiche, delle fondazioni e dei centri di ricerca, a partire dal sistema universitario milanese e lombardo, sino a quello nazionale e internazionale. Non rinunciando a una vocazione per la costruzione di una cultura di cittadinanza attiva, responsabile e globale.
Ai tempi dello sviluppo sostenibile, tempi come sempre ricchi di opportunità e traversie, ricercare, formare ed educare persone per approssimarsi a un mondo più degno di essere abitato da chiunque, ovunque, è certamente una delle eredità di Expo 2015. Che coincide, come ho detto, con una impegnativa promessa fatta da Milano al mondo.
Con tutta l’eco della lezione del recente Illuminismo, nella città di Cesare Beccaria e Pietro Verri, l’autore delle Meditazioni sulla felicità. Né dovremmo dimenticare, di fronte ai dilemmi esaminati con il senso di realtà e alle opportunità prospettate con il senso di possibilità, la remota massima di Epicuro secondo cui “infelicità è vivere nella necessità, ma non è necessario vivere nella necessità”.
Salvatore Veca
Presidente Associazione Laboratorio Expo
Curatore scientifico Carta di Milano
13/05/2016
Approfondimenti
La Carta di Milano dei Bambini e il kit didattico per le scuole
La Carta di Milano esplora il tema di Expo 2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” attraverso quattro prospettive interconnesse: cibo, energia, identità e dinamiche della convivenza.
È fondamentale che anche i bambini, cittadini del futuro, siano consapevoli delle sfide che si troveranno ad affrontare per poter partecipare alle decisioni collettive con maggior senso di responsabilità.
In quest’ottica, la Carta di Milano dei Bambini vuole essere uno strumento per coinvolgere i più piccoli in un cammino che inizia oggi e continuerà in un futuro che potrà essere migliore anche grazie a loro.
Per agevolare la lettura e la comprensione della Carta, i bambini saranno guidati da un ventaglio di proposte educative mirate alle diverse fasce d’età: dalle attività individuali a quelle collettive. Il kit è modulare e rappresenta una risorsa utilizzabile sia a scuola che infamiglia. I suoi contenuti sono svincolati (ma facilmente connessi) rispetto al programma scolastico e sono adatti ai momenti di scambio e di crescita tipici dell’ambito familiare.
- CLICCA QUI per scaricare La Carta di Milano dei bambini.
- CLICCA QUI per scaricare il kit didattico rivolto a insegnanti, educatori e famiglie.
Consigli di lettura
Anno XLIX – Laboratorio Expo. The Many Faces of Sustainability
Laboratortio Expo. The many faces of sustainability è il quarantanovesimo volume degli Annali: la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli propone una scelta delle ricerche che hanno costruito il percorso di Laboratorio Expo, l’hub di idee, riflessioni, indagini che ha coinvolto e chiamato a discutere economisti, sociologi, agronomi, antropologi, da tutti i continenti, propone i temi, gli spunti e le suggestioni di un processo riflessivo pensato anche oltre l’evento.
In appendice il testo della Carta di Milano, l’eredità culturale di Expo Milano 2015.
Scopri l’ebook: 20 IDEE PER IL POST-EXPO
L’ebook 20 idee per il Post Expo è il frutto del lavoro dei ventisei tavoli tematiciche il 10 ottobre 2015 hanno discusso e definito nell’Auditorium dell’Esposizione universale di Milano i lineamenti delle eredità di Expo 2015. Le tipologie di progetti in gioco sono tre: progetti che sono incentrati sui saperi e sul sapere; progetti incentrati sul saper fare; progetti incentrati sul fare.
Le idee fondamentali, articolate in priorità operative e priorità di approfondimento e ricerca, delineano un quadro di grande complessità che risponde con coerenza alla pluralità delle eredità, distinte fra loro anche se connesse e interdipendenti. Il metodo adottato il 10 ottobre è affine a quello che ha dato buona prova di sé il 7 febbraio all’Hangar Bicocca, nel grande evento che ha dato l’avvio alla redazione della Carta di Milano.
Salvatore Veca
Presidente Associazione Laboratorio Expo
Curatore scientifico Carta di Milano
CLICCA QUI per scaricare l’ebook
Il passato al presente. Raccontare la storia oggi
Descrizione dell’eBook
La storia tradizionalmente l’hanno raccontata gli storici attraverso i libri.
Ma il passato ci raggiunge anche attraverso molte altre fonti, altri media e linguaggi: dalle lettere ai film, dai diari alle canzoni, dalle fotografie al web, fino ai luoghi della storia e i nostri stessi ricordi; tracce di memoria disperse nel nostro quotidiano che ci investono direttamente e in prima persona.
In questi brevi saggi Paolo Rumiz, Carlo Greppi e David Bidussa riflettono su cosa voglia dire raccontare il passato oggi, dentro e fuori le barriere cartacee del libro, rimettendo in primo piano il coinvolgimento attivo di chi finora la storia l’ha soltanto recepita passivamente, ma potrebbe forse tornare a viverla.
Conosci gli autori
Paolo Rumiz è giornalista de “La Repubblica” e “Il Piccolo” di Trieste. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti naviganti (2007), Annibale (2008), L’Italia in seconda classe. Con i disegni di Altan e una Premessa del misterioso 740 (2009), La cotogna di Istanbul (2010, nuova edizione 2015; “Audiolibri – Emons Feltrinelli”, 2011), Il bene ostinato (2011), la riedizione di Maschere per un massacro. Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia (2011), A piedi (2012), Trans Europa Express (2012), Morimondo (2013), Come cavalli che dormono in piedi (2014), Il Ciclope (2015) e, nella collana digitale Zoom, La Padania (2011), Maledetta Cina (2012), Il cappottone di Antonio Pitacco (2013), Ombre sulla corrente (2014).
Carlo Greppi è dottore di ricerca in Studi storici, collabora con Rai Storia – come presentatore, inviato e ospite – ed è membro del Comitato scientifico dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”. Il suo libro L’ultimo treno. Racconti del viaggio verso il lager (Donzelli 2012) ha vinto il premio “Ettore Gallo”, destinato agli storici esordienti. Per Feltrinelli ha pubblicato La nostra Shoah. Italiani, sterminio, memoria (“Zoom”, 2015; in e-book) e Non restare indietro (“Kids”, 2016). Collabora anche con il blog culturale Doppiozero e con la Scuola Holden (Biennio in Storytelling & Performing Arts). Socio fondatore dell’associazione Deina e presidente dell’associazione Deina Torino, organizza da diversi anni viaggi della memoria e di istruzione, con i quali ha accompagnato oltre ventimila studenti provenienti da tutta Italia ad Auschwitz e in altri ex lager del Terzo Reich, alla scoperta della storia.
David Bidussa, storico sociale delle idee. È il responsabile delle attività editoriali e didattiche di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Ha pubblicato: La France de Vichy (Feltrinelli, 1997); I have a dream (BUR, 2006); Siamo italiani (Chiarelettere, 2007) Dopo l’ultimo testimone (Einaudi, 2009); Leo Valiani tra politica e storia (Feltrinelli, 2009). Ha curato Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci (Chiarelettere, 2011), La vita è bella di Lev Trockij (Chiarelettere, 2015) e Norberto Bobbio – Claudio Pavone, Sulla guerra civile (Bollati Boringhieri 2015).Per Feltrinelli ha curato Il volontariato (con Gloria Pescarolo, Costanzo Ranci e Massimo Campedelli; 1994), per i “Classici” ha curato Fratelli d’Italia (2010) di Goffredo Mameli e ha scritto la postfazione a Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne (2014). Ha collaborato al volume Sinistra senza sinistra (Feltrinelli, 2008) con la voce ‟Uso pubblico della storia”.
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