La Russia e il mondo
1953-1991
Economia – Capitolo 7
Giunto alla guida del partito e del Paese, Michail Sergeevič Gorbačëv avvia in Urss una serie di cambiamenti epocali all’insegna della ricostruzione (perestrojka) dell’economia dissestata e della trasparenza (glasnost) della macchina statale nei confronti dei cittadini.
Gorbačëv diventa il segretario generale del PCUS – 11 marzo 1985
1953
5 marzo
La morte di Stalin – Stalin muore in seguito a un ictus nella sua villa alle porte di Mosca. Il suo corpo viene imbalsamato e i suoi funerali sono imponenti. Nei mesi successivi la direzione del partito passa a Nikita Sergeevič Kruscëv.
1955
14 maggio
Il Patto di Varsavia – gli Stati afferenti alla sfera d’influenza sovietica stringono un’alleanza militare in opposizione alla NATO.
1956
14-25 febbraio
Il “rapporto Kruscëv” – al XX Congresso del PCUS Kruscëv denuncia il culto della personalità di Stalin e i crimini commessi durante il periodo staliniano.
Estate
La campagna delle terre vergini – il primo raccolto ottenuto dall’utilizzo di vaste aree prima incolte è un successo straordinario e sembra che le nuove terre agricole possano risolvere i problemi di approvvigionamento alimentare dell’Urss. Ma negli anni seguenti le carenze infrastrutturali porteranno alla luce i limiti di questa iniziativa.
4 novembre
La repressione in Ungheria – i cambiamenti e il “disgelo” seguiti alla morte di Stalin aprono le porte all’espressione del dissenso anche in altri paesi del blocco sovietico: in Ungheria una rivolta popolare instaura un regime liberale, represso con estrema violenza dall’esercito russo nel giro di poche settimane.
1968
20 agosto
La repressione della Primavera di Praga – carri armati sovietici e degli altri Stati aderenti al Patto di Varsavia mettono fine all’insurrezione che nei mesi precedenti aveva cercato di ristabilire le libertà democratiche in Cecoslovacchia.
1973
“Arcipelago Gulag” – esce a Parigi in prima edizione in lingua originale l’opera di Aleksandr Isaevič Solženicyn che per prima racconta diffusamente il sistema dei campi di concentramento e lavoro sovietici. Il 12 febbraio 1974 l’autore è arrestato e costretto all’esilio.
1976
Febbraio
Decimo piano quinquennale – È approvato un piano quinquennale volto a investire sull’industria pesante e sulla produzione di energia, con l’intento di generare un surplus energetico da poter esportare in cambio di beni ad alto tasso di innovazione tecnologica.
1985
11 marzo
Gorbačëv segretario generale del PCUS – giunto alla guida del partito e del Paese, Michail Sergeevič Gorbačëv avvia in Urss una serie di cambiamenti epocali all’insegna della ricostruzione (perestrojka) dell’economia dissestata e della trasparenza (glasnost) della macchina statale nei confronti dei cittadini.
1989
9 novembre
La caduta del muro di Berlino – in seguito ad ampissime manifestazioni popolari, la Repubblica democratica tedesca dichiara abolita la separazione tra Berlino Est e Berlino Ovest e consente l’abbattimento del muro che le divideva dal 1961. È l’avvio della dissoluzione del sistema sovietico.
1991
31 dicembre
La fine dell’Urss – le 12 repubbliche che a questa data costituiscono l’Urss (Lettonia, Estonia e Lituania si erano già rese autonome nell’estate precedente) si dichiarano indipendenti e fondano la CSI (Comunità degli Stati indipendenti). Alla guida della Russia c’è Boris Eltsin.
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Di seguito viene riproposta la bacheca del settimo pannello della mostra, allestita con tre manifesti, dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
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Approfondisci
Il PCI dopo Kruscëv
La “via italiana al socialismo”: l’VIII Congresso nella storia del PCI
In considerazione dell’importanza dei momenti congressuali nei partiti di massa, che nel Novecento hanno rappresentato delle occasioni di confronto e di cambiamento rispetto alle politiche e programmi dei singoli partiti, un snodo rilevante è rappresentato dall’VIII Congresso nazionale del PCI, svoltosi a Roma dall’8 al 14 dicembre 1956.
Non si tratta di una scelta casuale: nella vicenda storica della sinistra italiana novecentesca il 1956, anno “terribile” o “indimenticabile” a seconda della prospettiva di rilettura, raffigura un effettivo momento di cesura. Il XX Congresso del PCUS con la denuncia di Kruscev dei crimini di Stalin, l’insurrezione degli operai di Poznan e, soprattutto, la repressione dei moti ungheresi da parte dell’Armata Rossa sancirono la fine dell’unità d’azione tra PSI e PCI, che i due partiti avevano sottoscritto nel 1934, impegnati nella lotta antifascista, e riconfermato nel 1946, quando la Guerra fredda stava per fare la sua comparsa anche negli scenari politici italiani.
Se per il PSI il 1956 coincise con l’inizio di una fase politica segnata dalla ricerca dell’autonomia dal movimento comunista, per il PCI i fatti di quell’anno lasciarono sul campo soprattutto due dilemmi: come reagire al dissenso, esploso soprattutto nel ceto intellettuale vicino al partito, generato dalla posizione filo-sovietica mantenuta dal ceto dirigente nazionale, Togliatti in primis? Come assorbire le critiche provenienti dalla CGIL, guidata dal comunista Giuseppe Di Vittorio, sempre a causa della fedeltà a Mosca specialmente dopo gli avvenimenti ungheresi?
Dopo il consueto lavoro precongressuale preparatorio – ossia congressi di sezione, congressi cittadini e, come ultimo step, congressi regionali dove venivano votati i delegati nazionali – l’VIII Congresso aprì i suoi lavori in un quadro segnato, sul piano interno, dalle difficoltà democristiane nel voltare pagina dopo la stagione centrista e, su quello internazionale, dalla comparsa dei primi segnali distensivi tra i due blocchi. Per il PCI, rappresentò un momento doppiamente significativo: da un lato, per rispondere alle critiche provenienti dal suo stesso schieramento; dall’altro, anche in considerazione della distensione che si sviluppò tra i due blocchi nella seconda metà degli anni Cinquanta, per progettare una linea politica coerente, così da presentarsi comunque compatto nelle elezioni per la III legislatura (previste, da calendario, nel 1958).
In linea generale, dall’VIII Congresso uscì confermata la condanna della rivolta ungherese: nella mozione politica conclusiva «l’intervento sovietico» venne definito «una dolorosa necessità», «che non si poteva né doveva evitare senza venir meno ai principi dell’internazionalismo proletario»; al tempo stesso l’URSS vedeva riaffermato il suo ruolo di paese capofila, e dunque di irrinunciabile riferimento sovranazionale, perché era l’unico in cui si era «compiuta la rivoluzione socialista».
Rinascita gennaio 1957
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
La primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno di Praga
La sfida della libertà
Itinerari nel patrimonio russo e sovietico di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
Crisi, sviluppo, crescita, mobilitazione, investimento. Parole intercambiabili per descrivere un panorama in continuo mutamento. Dove siamo noi? L’economia degli ultimi cento anni ha cambiato la vita di tutti, spesso ha indotto trasferimenti di attività, di persone, di interi gruppi umani.
L’economia nel corso del Novecento ha attraversato un’epoca di radicali trasformazioni – tra progresso e sviluppo, crollo delle borse e boom economico – e ha contribuito in larga parte a rendere il Novecento “Il Secolo breve”.
La primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno di Praga
«La Cecoslovacchia sta vivendo giornate di intensa, anche se non ufficiale, democrazia». Con queste parole il giornalista Francesco Russo – nell’articolo Il coperchio di Breznev de “L’Espresso” che qui alleghiamo – commentava lo stato di salute di quel processo di cambiamento, tentativo di liberalizzazione, di riforma e di affermazione di un “socialismo dal volto umano”, cioè la Primavera di Praga.
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Il coperchio di Breznev, L’Espresso 7.4.1968,
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Una nuova stagione nel paese comunista a est della “cortina di ferro” si inaugurava il 5 gennaio del 1968, giorno in cui Alexander Dubček veniva eletto Segretario Generale dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco (PCC) al posto di Novotny, da quindici anni alla guida del partito, seguito poi, nel marzo successivo, da un altro cambio di rotta significativo con l’elezione a presidente della Repubblica di Ludvìk Svoboda. Il processo di riforme cecoslovacco mirava a coniugare il socialismo con la garanzia delle libertà civili, ma, allargando lo sguardo, la Primavera di Praga è stata un laboratorio con numerosi ed eterogenei attori che avevano diversi scopi. «Il relativo ottimismo dei cecoslovacchi si comprende», scriveva ancora Francesco Russo, perché il loro «dirigenti sono gli strumenti di un’evoluzione che può trascendere le loro intenzioni».
Le similitudini con quanto stava accadendo nell’Occidente capitalistico sono molte e si trovano in particolare nell’effervescenza e nel protagonismo politico e culturale del mondo giovanile e studentesco, già attivo dal 1964 con le prime manifestazioni di piazza. Al contrario di altri paesi europei interessati dalle proteste, però, il 1968 della Cecoslovacchia riguardava un intero paese.
Sostiene lo storico Pavel Kolář (in G. Crainz, Sessantotto sequestrato, 2018) che per quanto riguarda la narrazione comune di una «creatività che sfida il potere» dal basso, questa deve essere collocata nel contesto e nella specificità della Cecoslovacchia degli anni Sessanta. Qui, infatti, sono stati gli scrittori in particolare, più che gli artisti in generale, ad aver agito politicamente attraverso il proprio status ed esercitato una influenza sociale e culturale senza precedenti, acquisita anche grazie al sostegno del governo comunista. L’agenda politica radicale del mondo dell’arte e della cultura del ’68 di Praga ha uno stretto legame con il loro lavoro, messo in opera già nel corso dell’anno precedente con l’appello per la fine della censura promossa dal Congresso degli scrittori.
Il 26 giugno Dubček aboliva ufficialmente la censura sulla stampa, che ufficiosamente non veniva più praticata da mesi e immediatamente dopo, il 27 giugno, i tre più importanti quotidiani cecoslovacchi e il settimanale letterario “Literárnì listy”, pubblicavano un manifesto dal titolo insolito: Duemila parole dedicate agli operai, agli agricoltori, agli impiegati, agli scienziati, agli artisti e a tutti gli altri. Questo manifesto avrebbe avuto un ruolo centrale nel corso degli eventi immediatamente successivi. Ludvìk Vaculìk, autore e primo tra i tanti firmatari del manifesto, denunciava apertamente la «decadenza» di molti comunisti e la trasformazione del partito comunista cecoslovacco in un «organismo di potere» che esercitava «un richiamo estremamente allettante per gli egoisti assetati di potere, i vili calcolatori e la gente dalla coscienza sporca». Metteva in luce, inoltre, l’inquietudine della gente perché il processo di democratizzazione si stava arrestando. I fatti di poche settimane dopo sarebbero state la risposta a denunce tanto coraggiose.
Un attore centrale nel rinnovamento del paese è la televisione. La televisione di Stato, guidata dal direttore Jiři Pelikán, è stata la cassa di risonanza delle proteste e delle parole d’ordine di riforma del socialismo, cogliendo immediatamente le possibilità offerte dalle maglie larghe e dall’abolizione della censura. La Primavera di Praga ha così catapultato il paese e il PCC nel secolo dei media. La politica a tutti i livelli veniva affascinata e investita dalla potenzialità del mezzo visivo.
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, esattamente cinquanta anni fa, sulla capitale cecoslovacca calava l’inverno: le truppe sovietiche e gli alleati del Patto di Varsavia reprimevano duramente il fermento culturale, politico e sociale diretto dai dirigenti e dalle istituzioni nazionali e sostenuto dalla popolazione. Durante “l’inverno di Praga” caratterizzato dalla “normalizzazione”, successiva all’invasione sovietica, il PCC avrebbe messo in atto una forma di controllo e di censura quasi ossessiva dei mezzi di comunicazione, della televisione e delle istituzioni culturali, usandoli per i propri, altri, obiettivi. La lettera del 1973 di Vera Stovickova-Heroldova – ex annunciatrice televisiva, assistente museale, commentatrice radiofonica – indirizzata al Comitato Centrale del PCC e che qui pubblichiamo, illustra alcuni effetti della perdurante “normalizzazione” della cultura e dei media: il suo licenziamento da ogni ambito lavorativo e la sua impossibilità di trovare un nuovo impiego ha una pura motivazione politica, esplicitata in un caso con una «insufficiente coscienza di classe».
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Lettera Vera Stovickova-Heroldova – Praga, 20.10.1973,
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Pacini, Faldone 2
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di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Il gesto estremo di Jan Palach studente di filosofia, il suo suicidio con il fuoco avvenuto il 16 gennaio del 1969 in piazza Venceslao nel centro di Praga, aveva uno scopo preciso: la protesta per l’abolizione della censura. Per comprendere la sproporzione di un tale gesto rispetto all’obiettivo dobbiamo calarci di nuovo nel contesto. Jiři Pelikán, in una testimonianza trascritta a conservata negli archivi della Fondazione Feltrinelli, parla del ritorno di «vecchi e screditati uomini politici», della restaurazione «del potere assoluto della polizia segreta» e della diffusione di «menzogne e di calunnie contro le quali – proprio per l’esistenza della censura – nessuno poteva difendersi».
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Lettera Jiri Pelikan – L’appello di Jan Palach.
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Pacini, Faldone 2
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di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Afferma ancora lo storico Kolář che per comprendere davvero che cosa sia stata la breve parabola di Praga si deve sia guardare alle radici del riformismo post-stalinista degli anni precedenti, sia al riverbero nel continente europeo che l’esperienza cecoslovacca ha avuto dopo l’invasione sovietica dell’agosto del 1968. Per la storia dell’Europa nei decenni successivi, la Primavera di Praga e, in generale, il Sessantotto nei paesi dell’Europa orientale ha probabilmente una rilevanza maggiore rispetto al “Maggio Francese” e al ’68 in Italia.
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L’Espresso n. 10, 10.3.1968, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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L’Espresso n. 34, 25.8.1968, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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La sfida della libertà
Descrizione
Scritto da Carlo Levi nel 1939 – in forma di confessione, di appunto personale – “Paura della libertà”, da cui traiamo questo estratto, venne pubblicato per la prima volta nel 1946. I sette anni che passano dalla scrittura del testo alla sua pubblicazione sono anni densi e drammatici, che vanno dall’inizio della seconda guerra mondiale alla riacquisizione di libertà dopo le devastazioni del conflitto.
Il saggio venne steso da un Levi esule – espatriato in Francia per sfuggire alla repressione del fascismo – che sulle rive dell’Atlantico guarda alla profonda crisi della cultura occidentale, resa evidente dalla rapida avanzata delle idee e delle forze naziste in tutta Europa. In questo contesto, vicenda individuale e vissuto comune si fondono: per Levi, sono i giorni in cui riceve la notizia della morte del padre, giorni in cui inizia a riflettere sul passato, che da proprio diviene collettivo. Seguendo le tracce che indicano i fenomeni generativi della crisi, Levi inizia a riflettere sul futuro che non riesce a intravedere né immaginare. “In quel punto della vita dove non si può più guardare indietro, mi trovavo solo su quella spiaggia deserta, in un freddo autunno, pieno di vento e di piogge. Se il passato era morto, il presente incerto e terribile, il futuro misterioso, si sentiva il bisogno di fare il punto”.
La lucidità con cui affronta l’analisi della drammatica crisi del presente, sulla base del passato comune, è la base stessa della vitalità che rende ancora attuale il testo perchè “quello che è stato può tornare, quello che è celato riaffiorare alla coscienza, come riappaiono le spiagge al ritirarsi della marea”.
Conosci gli autori
David Bidussa è stato responsabile delle attività editoriali di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Tra le sue pubblicazioni: La France de Vichy (Feltrinelli, 1997); Leo Valiani tra politica e storia (Feltrinelli, 2009), Dopo l’ultimo testimone (Einaudi 2009) e Il passato al presente con Paolo Rumiz e Carlo Greppi (Fondazione Feltrinelli, 2016). Ha curato Antonio Gramsci, La città futura (Aragno 2017) e Victor Serge, Da Lenin a Stalin (Bollati Boringhieri 2017).
Sara Troglio storica contemporaneista, è ricercatrice dell’area di Cittadinanza di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Si occupa di Public History e processi di storia partecipativa in contesti di memorie conflittuali. Si interessa di Storia Orale, partecipando come ricercatrice ed intervistatrice per Laboratorio Lapsus a progetti per ANED e per l’International Bomber Command Centre Digital Archive / University of Lincoln. Ha pubblicato con DaSud Under. Giovani, Mafie, Periferie (Perrone 2017).
Carlo Levi nacque a Torino nel 1902. Si laureò in medicina, ma nutrì svariati interessi culturali, dalla pittura (nel 1929 fece parte del gruppo dei pittori di Torino) alla letteratura. Nel 1931 aderì al movimento Giustizia e libertà dei fratelli Rosselli.
Venne arrestato per attività antifascista nel 1934. Dopo un secondo arresto, nel 1935 Levi fu confinato in Lucania, nel paese di Aliano. Qui venne a contatto con la realtà del Mezzogiorno d’Italia, a lui del tutto sconosciuta; e qui ambientò il suo romanzo più noto, Cristo si è fermato a Eboli (scritto durante la guerra e pubblicato nel 1945). Nel 1936 venne graziato e poté ritornare a casa. Nel 1939 si rifugiò in Francia; in seguito prese parte alla Resistenza.
Dopo la Liberazione, Levi mantenne le sue numerose collaborazioni giornalistiche; nel 1950 pubblicò L’orologio e nel 1955 Le parole sono pietre, una raccolta di reportages. Non interruppe intanto la sua notevolissima attività di pittore neorealista (nel 1954 espose in una sala alla Biennale di Venezia). Nel 1964 raccolse nel volume Tutto il miele è finito le esperienze nate da una permanenza in Sardegna. Nel 1963 e 1968 venne eletto al Senato come indipendente nelle file del Pci. Morì a Roma nel gennaio 1975.
Itinerari nel patrimonio russo e sovietico di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Dal 7 al 10 settembre si tiene a Helsinki presso il Tyovanen Arkisto (Archivio del Lavoro) la conferenza annuale h dell’International Association of Labour History Institutions (IALHI) sul tema Heritage of Social Movements in a Global Perspective: Collecting and Preservation of Sources. Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, membro dello IALHI dalla costituzione, partecipa con un contributo sul proprio patrimonio russo e sovietico del quale si presenta qui una sintesi.
Nell’avvicinarsi del centenario dell’ottobre 1917, i «dieci giorni che sconvolsero il mondo», un avvenimento di cui anche i contemporanei riconobbero il significato e la portata, in una parola una delle principali «fratture» che hanno dato origine al mondo contemporaneo, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, forte della propria costante attenzione al mondo slavo, condivide le risorse accumulate in quasi settant’anni di attività nel segno del recupero e delle valorizzazione delle fonti archivistiche, bibliografiche e iconografiche.
Stratificando le collezioni sul fondo versato da Franco Venturi dopo la pubblicazione nel 1952 del classico Il Populismo Russo (descritto nel catalogo Utopia e riforma in Russia 1800-1917, a cura di Francesca Gori e Antonello Venturi ) e sviluppando una rete di contatti internazionali che ha consentito l’aggiornamento costante del patrimonio, Fondazione Feltrinelli si presenta come uno dei principali siti di conservazione della storia e del pensiero russo dall’Ottocento ai giorni nostri, con particolare riguardo ai fermenti delle culture politiche del paese, dai populisti, agli anarchici, ai socialdemocratici che, dalla seconda metà dell’Ottocento, si interrogano sulla via di sviluppo imboccata dal paese, sulle caratteristiche e le possibilità rivoluzionarie offerte dalla struttura della società, sul rapporto tra Russia e Occidente lungo l’asse della contrapposizione tra slavofili e occidentalisti. La costruzione di una identità e di una tradizione rivoluzionaria dopo il 1917 è ampiamente testimoniata dalle opere elencate nel catalogo Tra populismo e bolscevismo, a cura di Antonello Venturi e Emanuela Guercetti, ma è soprattutto nel controverso rapporto con l’Occidente che il patrimonio può fornire suggestioni e linee interpretative mostrando le radici lunghe dei fenomeni contemporanei.
Circa 14.000 monografie, oltre 500 testate di periodici, 4000 manifesti di epoca sovietica e 10.000 cartoline costituiscono il cospicuo corpus documentale che Fondazione può mettere a disposizione in vista del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, riversando i dati catalografici nel Servizio Bibliografico Nazionale, digitalizzando supporti testuali e iconografici, promuovendo la divulgazione delle fonti digitalizzate negli esiti delle ricerche promosse dalla Fondazione con alcuni partner internazionali.
Le tipologie e gli itinerari possibili sono molteplici: dalle opere del fuoruscitismo russo post-decabrista – con una rilevante collezione di opere di Herzen – alle collezioni di testi, opuscoli e periodici populisti, dalle riviste illustrate di epoca imperiale alla ricca produzione sulle rivoluzioni del 1905 e del 1917 (si segnala un’importante mole di opere memorialistiche, documenti congressuali del Partito comunista bolscevico, la raccolta degli scritti di Lenin e di Stalin in varie lingue, tra cui l’edizione del 1914 in lingua russa di Nacional’nyj vopros” i marksizm”) ai manifesti di propaganda dagli anni trenta al 1991 (una collezione che consente di applicare diverse chiavi di lettura alla storia dell’Unione Sovietica), dai periodici sovietici (“Krokodil”, “Kommunist”, “Na agrarnom fronte”, “Pravda”, “Novy Mir”, “Voprosy Istorii”, “Voprosi Ekonomiki”, “Istoričevskij Archiv”) fino alle cartoline illustrate che riproducono l’arte sovietica e alle analisi dell’economia pianificata, un insieme vasto e articolato di testi in russo e nelle principali lingue occidentali e un campionario di iconografia senza pari nel panorama degli istituti di ricerca in Italia e in Europa.
Vittore Armanni
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
07/09/2016
Photogallery
Dal fondo russo e sovietico conservato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, copertine di riviste e monografie, manifesti e affiche di propaganda e orientamento. Tra Otto e Novecento, alcuni esempi che evocano una società in mutamento tra vecchie e nuove autocrazie. Guarda la photogallery: