La trasformazione delle campagne
Economia – Capitolo 4
«Nel momento in cui alcuni settori del mondo contadino riusciranno a dare alle loro imprese un profilo capitalista, l’intero mondo contadino si troverà sotto l’influenza del grande capitale e dei grandi proprietari agrari. Più il problema è difficile, più dobbiamo lottare energicamente per risolverlo. Bisogna conquistare il consenso dei contadini poveri, della piccola proprietà contadina, altrimenti non potremo avere successo.»
Nikolaj Bucharin
Due Russie
La Nuova Politica Economica promossa da Lenin nel 1921 – che consente ai contadini di vendere parte del raccolto nel libero mercato – ha come effetto la costituzione di due Russie: una composta dai centri urbani con industrie nazionalizzate, e una rurale dove le campagne non sono ancora sottoposte al controllo statale.
La collettivizzazione delle terre
La collettivizzazione rappresenta lo strumento tramite cui far rientrare la Russia rurale nell’orbita del socialismo e impiegare quante più braccia possibili per uscire dall’arretratezza. Le terre vengono organizzate in kolchoz (cooperative agricole) e il partito redistribuisce la forza lavoro sul vasto territorio russo in base alle necessità: i contadini lasciano le loro terre per trasferirsi nelle fattorie collettive, mentre altri braccianti devono abbandonare le campagne per contribuire allo sviluppo industriale nelle città. Allo stesso tempo, un’intera classe sociale viene spazzata via in nome di questa nuova organizzazione del lavoro: i kulaki, i contadini più agiati, vengono eliminati o deportati in massa nelle zone più remote dell’Unione Sovietica.
Un parziale fallimento
Nonostante gli sforzi e gli altissimi costi sociali sostenuti per attuarlo, questo modello di gestione delle campagne non dà subito i frutti sperati: la produzione, rimane a livelli bassi e in balìa delle cattive stagioni agricole, mentre sono i piccoli appezzamenti privati concessi ai contadini (circa il 4% del terreno agricolo totale) a rappresentare la maggiore fonte di approvvigionamento alimentare del paese.
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Di seguito viene riproposta la bacheca del quarto pannello della mostra, allestita con un manifesto, dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, i frontespizi di tre pubblicazioni – Sul fronte agricolo, una raccolta di saggi e di analisi sulla condizione agricola in Unione Sovietica, La question paysanne di Nikolaï Ivanovitch Boukharine e Che cosa è il Kolcos? di Rita Montagnana – e un numero del giornale satirico «Krokodil».
Per iniziare la visita alla mostra virtuale, basta cliccare su una delle immagini che seguono. Potete procedere nell’ordine consigliato oppure visualizzare i singoli oggetti.
Approfondisci
Di chi è la terra? (Di chi possiamo essere amici?)
di Irene Guida, Politecnico di Milano
Quando pensiamo alla giustizia sociale, cosa immaginiamo? Molto probabilmente una falce incrociata su un martello, una bandiera rossa, una giovane donna scapigliata e scalza che marcia con uomini seminudi, in una nuvola di polvere, un sole che sorge, forse Ecce Bombo. Nessuno di noi pensa alle parole di Ziggy Stardust in Major Tom, “From the Sky the Earth is blue and there’s nothing I can do”.
Questo accade per un motivo, non per un difetto di immaginazione. Se rileggiamo il materiale divulgativo prodotto dai soggetti che hanno costruito i Poli Industriali in aree agricole (Irene Guida, L’acciaio tra gli ulivi, 2012), operando trasformazioni che hanno visto l’erosione di suolo fertile a favore di grandi infrastrutture produttive, ci accorgiamo che le aree coltivabili erano considerate un ostacolo al benessere collettivo. Se queste trasformazioni siano state un successo o una perdita, dipende ovviamente da chi ha guadagnato e da chi ha perso. Ma come facciamo a dire se siano state giuste?
Mentre i tecnici dimostravano la necessità di grandi infrastrutture di trasporto per spostare masse di lavoratori, – con proiezioni demografiche in crescita, in parallelo con gli indicatori di produzione economica dell’indotto generato, – le agenzie di comunicazione interne alle aziende ingaggiavano scrittori, fotografi e illustratori, per descrivere le condizioni di privazione cui era sottoposta la popolazione legata alla terra, alla piccola pesca, alle imprese commerciali e artigianali, alla distribuzione locale. Queste masse contadine erano viste come primitive, legate a riti ancestrali, limitate nella capacità di interpretare il proprio tempo, insomma schiavi da liberare, con la forza prometeica dell’industria. Viste oggi, queste immagini suonano stridenti, anche solo per una cartolina turistica. Per non parlare del fumo delle ciminiere come il sol dell’avvenire.
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
1917 -2017. Russia e Europa, cento anni di rivoluzione
I percorsi della grande trasformazione
La Grande Guerra europea
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
Crisi, sviluppo, crescita, mobilitazione, investimento. Parole intercambiabili per descrivere un panorama in continuo mutamento. Dove siamo noi? L’economia degli ultimi cento anni ha cambiato la vita di tutti, spesso ha indotto trasferimenti di attività, di persone, di interi gruppi umani.
L’economia nel corso del Novecento ha attraversato un’epoca di radicali trasformazioni – tra progresso e sviluppo, crollo delle borse e boom economico – e ha contribuito in larga parte a rendere il Novecento “Il Secolo breve”.
1917 -2017. Russia e Europa, cento anni di rivoluzione
Quello tra Russia ed Europa è un confronto che definisce una costante nella storia moderna e contemporanea.
Il processo di costruzione dell’Europa in età moderna ha vissuto un’idea permeabile e mobile di confine. Un confine che a Ovest appariva segnato da un limite naturale rappresentato dal mare, mentre a Est non solo era mutevole, ma si costruiva sul contatto con la Russia e con la sua realtà culturale e linguistica, assunta sia come sfida che come dialogo e confronto.
L’Europa riesce a definire se stessa se include la Russia; la Russia definisce una immagine di sé soltanto se si pensa in dialogo e in rapporto con il resto dell’Europa. L’avvicinarsi del centenario del 1917 è l’occasione per ripercorrere questo rapporto complesso: quanta parte della storia e della cultura russa è nel profondo dell’Europa? Che cosa è andata cercando l’Europa “guardando alla Russia” a partire dal XIX secolo? Che cosa cambia a partire dal 1917? Che cosa resta oggi?
Nel corso dell’Ottocento il punto di riferimento del dispotismo agli occhi dell’Europa si identifica con la Russia. La Russia è il luogo in cui l’Europa misura la distanza dal suo passato. Questo registro si modifica a partire dal 1917, quando il processo rivoluzionario da una parte è percepito come un momento di possibile avvicinamento, ma dall’altra anche come il confronto con un avversario cui contendere il futuro del continente.
Manifesto. I. Ovasapov, Siamo fieri dei nostri diritti scritti a lettere d’oro nella Costituzione del Paese!, 1979
Uno sguardo che si alimenta dell’immaginario sociale degli strumenti di comunicazione propri del Novecento: e dunque i manifesti pubblici, vero luogo in cui si costruisce il linguaggio collettivo.
Per questo abbiamo pensato che il centenario potesse essere un’occasione per scavare intorno al rapporto inquieto, spesso conflittuale, quasi mai amico e tuttavia mai ritenuto superfluo o inutile tra Russia ed Europa, e che nel tempo le ha legate in forma mutevole. Un confronto in cui gli interessi, le domande, lo stimolo al cambiamento sono avvenuti attraverso uno sguardo che reciprocamente si spingeva “oltre il confine”, in cui la realtà russa, e poi sovietica, e le molte realtà dell’Europa in forme discontinue, distinte nel tempo, hanno continuato a dialogare, spesso con diffidenza ma sempre con curiosità. Una storia che si presta a una riflessione sui modelli, i linguaggi e gli immaginari che hanno condizionato le nostre odierne categorie di lavoro, progresso e felicità sociale.
Lo scopo è indagarne i codici culturali e simbolici che sono alla base del nostro vissuto di cittadini europei. Il contesto storico che ha reso possibile la Rivoluzione d’Ottobre, la creazione di miti fondativi e la costruzione dell’utopia politica, il lavoro e i nuovi modelli di progresso, la propaganda e la costruzione del cittadino 1.0, sono parte di un bagaglio culturale e politico che, a distanza di oltre venticinque anni dalla dissoluzione dell’Urss, possono essere guardati con occhi nuovi e come parte di ciò che di originale e potente ha portato il 1917 in Europa.
Manifesto di propaganda russa (anni ’30)
In questa ricerca ci hanno guidato le sollecitazioni che abbiamo ricavato dall’immersione nel patrimonio di Fondazione. Un patrimonio ricco di volumi e periodici, di manifesti e di affiches che documentano la storia culturale, economica, sociale, politica ma anche visiva dell’immaginario della Russia dagli inizi del XIX secolo a oggi.
La storia come modo di pensare i nodi del presente, ma anche ricostruire il senso della sua genealogia.
Il 1917 è un anno fondamentale del processo storico mondiale e in particolare europeo. Prorompe sulla scena in una situazione tragica: l’Europa è nel pieno della Prima guerra mondiale e la Russia è un groviglio di contraddizioni, dove lo sviluppo economico e sociale dei decenni precedenti non trova riscontro nelle arretrate strutture politiche del regime zarista. Lo scoppio della rivoluzione spezza secolari strutture feudali e rende di colpo la Russia il faro europeo del socialismo, il posto in cui più di mezzo secolo di pensiero radicale anti-sistema trova una fulminea attuazione. Questo territorio ai margini, che poco aveva assorbito dei precedenti stimoli al progresso del tempo, recupera il suo ritardo con la modernità grazie a un evento cruciale quanto repentino, una modalità che poi diventerà cifra distintiva di tutto il Novecento.
Abbiamo scelto tre diversi percorsi di significato cui abbiamo cercato di dare un volto: le idee, le economie, la propaganda sono i tre diversi codici che proponiamo e attraverso i quali raccontare il confronto stretto tra Russia e Europa nel corso del Novecento.
In breve:
Le idee. La storia della Rivoluzione d’Ottobre, da due punti di vista diversi: da una parte come i russi stessi l’hanno raccontata, dall’altra come alcune voci europee l’hanno vissuta, interrogandosi sul loro futuro e sempre avendo presente cosa lì stava avvenendo, convinti che simpatetici o avversari, quella storia riguardava anche loro.
L’economia. Il grande processo di modernizzazione portato avanti nei primi anni di esistenza dell’Unione Sovietica è stato accompagnato da una ridefinizione dei concetti e delle pratiche di lavoro, casa ed economia. Il lavoro come diritto fondamentale, la collettivizzazione delle campagne e dei nuclei residenziali, i ritmi forzati della pianificazione economica, sono tutte tappe che hanno profondamente segnato la storia della Russia e fanno parte di ciò che viene considerata l’eredità politica e sociale del modello di sviluppo sovietico.
La propaganda. La nuova élite politica mobilita, orienta e educa l’opinione pubblica. Funzionale a questo scopo è l’arte di regime, che con le sue opere doveva far apparire l’Urss come “il paese più felice del mondo”, ma anche è attenta a invocare la costruzione di un nuovo cittadino, corazzato di una nuova etica, “e perciò virtuoso, libero dai vizi storici del carattere russo, per esempio dall’uso, più spesso dall’abuso dell’alcool.
Manifesto di propaganda russa (anni ’30)
Un insieme di immagini, di sogni, di preoccupazioni, ma anche e soprattutto di parole che hanno definito il linguaggio collettivo del Novecento, ma anche che fanno ancora parte dell’immaginario pubblico. Parole che toccano le sensibilità di quel tempo e del nostro, ancora caratterizzate da quello sguardo che reciprocamente si volge “oltre il confine”, che prova a costruire e a dare forma a un dialogo e a uno scambio che non sono mai stati quieti o tranquilli, ma sempre turbolenti, contratti, tesi, ma in cui nessuna delle due parti ha cercato la rottura definitiva. Un dialogo e uno scambio che chiedevano di trovare forme di coabitazione, di compromesso, di confronto. Quando la sensazione era quella di essere prossimi alla rottura, infatti riprendeva una pratica di confronto il cui fine era tenere sempre una porta aperta, scommettendo su un margine di interesse comune, per “non perdersi di vista” e provare, magari in un momento successivo, a riannodare ciò che nel frattempo si era perduto.
I percorsi della grande trasformazione
Descrizione dell’ebook
I percorsi della grande trasformazione propone tre affondi per fare un bilancio di ciò che è nato durante gli anni della Prima guerra mondiale e che poi non ci ha “più lasciato”: l’economia e il mondo del lavoro, gli intellettuali e il tema dell’impegno e del “dovere di esserci”, le immagini della guerra e della pace.
I tre contributi compresi in questo ebook, scritti dai ricercatori coinvolti nel progetto sulla “Grande trasformazione” curato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, riguardano alcuni degli aspetti anche simbolicamente più pregnanti di questa combinazione fra trasformazioni materiali e trasformazioni culturali – una combinazione destinata a perdurare per tutto il secolo successivo fino a investire anche il contesto attuale, pur se in un gioco altrettanto intricato di permanenze, adattamenti, revisioni o arretramenti.
Il 24 maggio 1915 l’Italia va in trincea. Siamo mai usciti da quella guerra?
€ 2,99
La Grande Guerra europea
Descrizione dell’eBook
Di Georges Sorel (1847-1922) si propone un raro testo apparso come opuscolo d’occasione nel 1936, ma risalente al 24 ottobre 1914.
Introdotta da Massimiliano Panarari, la La grande guerra europea presenta il teorico della violenza «creatrice», il sostenitore dell’anarcosindacalismo e del sindacalismo rivoluzionario in Francia e in Italia e il costruttore di miti rivoluzionari scaturiti da una personale ed eterodossa rilettura del marxismo pervaso dal dubbio che la guerra europea non sarebbe stata, contrariamente all’opinione di molti osservatori coevi, l’innesco palingenetico della rivoluzione, bensì, in accordo con Pareto, una lotta tra «i principi conservatori e la democrazia» che avrebbe inflitto anche all’Italia ingenti danni materiali.
Pur nella sua brevità, si tratta di un documento che consente di delimitare una fase del pensiero di uno tra i più controversi pensatori tra Otto e Novecento, passato dall’originaria adesione al socialismo fino al nazionalismo e alle simpatie per i movimenti di destra, trovando anche in Mussolini un affezionato lettore.
Conosci l’autore
Georges Sorel (1847-1922), ingegnere, sociologo e filosofo politico, è uno tra i più influenti teorici del sindacalismo rivoluzionario. All’inizio del Novecento, in aperta critica con la lezione economica del marxismo, teorizza la sostanza rivoluzionaria della socialdemocrazia: la necessità della lotta sociale e dello sciopero politico del proletariato (Réflexions sur la violence, 1908). Allontanatosi dal socialismo ufficiale nel primo dopoguerra, si avvicina alle posizioni nazionaliste dell’Action française e simpatizza con il fascismo della prima ora del suo ammiratore politico Benito Mussolini.