Una storia europea chiamata Rivoluzione: l’economia

Economia – Capitolo 1

 

“[…] la necessità di un ritmo più accelerato nell’attività economica […] è […] una necessità indiscutibile per la realizzazione dello stato socialista; […]”

 

Da URSS 1931: vita quotidiana, piano quinquennale di Ettore Lo Gatto.


 
L’economia dopo la Grande Guerra
 
La sfida che si apre con la Prima guerra mondiale è quella di un rinnovato modello economico che possa sorreggere una produzione industriale ormai compiutamente di massa. La risposta che verrà dalle due sponde dell’Europa (gli Stati Uniti da una parte, la Russia sovietica dall’altra) è quella di un diverso assetto industriale dove conta la grande impresa, la capacità di controllare il sistema della distribuzione e di pensare a una diversa organizzazione del lavoro e dei suoi tempi.


Il modello sovietico
 
La grande crisi del 1929 sarà un momento chiave per ripensare criticamente il ruolo dello Stato nell’economia, guardando con particolare interesse alla Russia sovietica: con le sue politiche di piano, ma anche con il sorprendente sviluppo industriale, l’Urss è una realtà che affascina, ma allo stesso tempo inquieta. È un caso da studiare, e per certi aspetti da imitare, anche da parte di quei regimi politici che pure si collocano politicamente agli antipodi, ma che vedono in quel sistema un modo per colmare i ritardi del proprio modello industriale.

Il grande processo di modernizzazione portato avanti nei primi anni di esistenza dell’Unione Sovietica è stato accompagnato da una ridefinizione non soltanto del rapporto tra Stato ed economia, ma anche dei concetti e delle pratiche di lavoro, e del nesso che il lavoro ha sia con la vita quotidiana sia con la costruzione del benessere.
 
Tra USA e URSS
 
Il modello di sviluppo sovietico trova pienamente senso solo se si tiene ben presente il suo rapporto con il paradigma occidentale, incarnato dall’Europa e rilanciato all’ennesima potenza dagli Usa dopo la Seconda guerra mondiale. Nella concorrenza tra i due blocchi, l’Europa si colloca in modo non così netto come la contrapposizione in “sistemi” sembra suggerire: se l’America è all’apice della potenza ed esprime tutte le meraviglie dell’industrializzazione capitalista di stampo fordista, il modello di produzione sovietica – nel quale l’uguaglianza sociale sembra garantire la piena efficienza produttiva, sovvertendo i destini di un mastodonte che pareva votato all’arretratezza – non smette di esercitare il suo fascino sui tanti che gettano lo sguardo oltre cortina.
 
La Russia sovietica costruisce un mito di modernizzazione, di efficienza e di partecipazione collettiva attraverso il gesto produttivo che, da un lato, serve a rafforzare la costruzione del cittadino (e della cittadina) 1.0, dall’altro lancia la sfida all’esterno, ponendosi come l’alternativa in grado di reggere il passo e, anzi, di accelerarlo.

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Di seguito viene riproposta la bacheca del primo pannello della mostra, allestita con quattro manifesti, dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

 

Per iniziare la visita alla mostra virtuale, basta cliccare su una delle immagini che seguono. Potete procedere nell’ordine consigliato oppure visualizzare i singoli oggetti.


Approfondisci

 

In un percorso di diciotto immagini, tre modi di vivere e interpretare la Grande guerra sulle pagine dell’”Avanti”, dell’”Asino” e della “Tradotta”. I protagonisti sono i caricaturisti di punta del quotidiano socialista e del più celebre giornale satirico pubblicato tra Otto e Novecento: Giuseppe Scalarini (1873-1948) e Gabriele Galantara (1865-1937), nonché l’illustratore Antonio Rubino (1880-1964), già co-fondatore del “Corriere dei Piccoli” e tra i collaboratori più apprezzati della “Tradotta”.

Tre modi diversi di fare propaganda pro o contro la guerra, accomunati, a tratti, dalla grande modernità ed efficacia del messaggio veicolato, indicativa di un nuovo modo di leggere un contesto sociale in rapida trasformazione. Dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, tre brevi percorsi tra 1914 e 1919 che consentono di visualizzare la guerra con le lenti della satira e della propaganda.

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