Il mondo nuovo
Idee – Capitolo 10
«Se la rivoluzione russa non avesse trovato dei sostenitori all’estero, forse la società sovietica sarebbe rimasta un sistema di governo assolutamente peculiare, oggetto di studio di pochi accademici devoti all’argomento. Il suo impatto fu invece enorme, e tale rimane ancora oggi.»
Paul Bushkovitch
La nuova Russia
La Rivoluzione d’Ottobre rappresenta un elemento di rottura destinato a segnare l’intero corso del Novecento. Il primo atto del governo rivoluzionario è la richiesta di una pace senza annessioni e senza indennità, in forte discontinuità con le ambizioni territoriali delle grandi potenze. L’intenzione di costruire un nuovo sistema politico, basato sul protagonismo dei lavoratori e sull’emancipazione di uomini e donne tradizionalmente marginalizzati, solleva l’ammirazione o lo sgomento dentro e fuori i confini della Russia.
Due poli opposti
La Russia sovietica vuole presentarsi come un mondo nuovo. Così del resto viene percepita all’epoca. Vi è chi assiste con ammirazione a quell’esperienza: dagli intellettuali radicali dell’Occidente, alle masse operaie europee, ai militanti dei partiti comunisti che, da tutto il mondo, guardano a Mosca e alla Terza Internazionale (Komintern) come ai propri riferimenti ideologici e organizzativi.
Vi è chi invece vive i cambiamenti della nuova Russia con apprensione e sgomento: dagli esuli russi controrivoluzionari che scorgono nel processo storico aperto dall’Ottobre rosso il dissolversi dei tradizionali valori e legami sociali, al nutrito fronte anti-sovietico che invece ne coglie gli aspetti problematici e tutti gli elementi antidemocratici dei totalitarismi. Questa contrapposizione non sarà passeggera, ma è l’incipit di una guerra fredda che dividerà il mondo per i successivi 70 anni.
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Di seguito viene riproposta la bacheca del decimo pannello della mostra, allestita con tre manifesti, dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, i frontespizi di due pubblicazioni, Russie di Henri Barbusse e L’Apocalypse russe. La Révolution bolchevique 1918-1921 di Serge de Chessin, e un numero della rivista francese «L’Appels des Soviets».
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Approfondisci
I dieci giorni che sconvolsero il mondo – una cronaca della Rivoluzione d’Ottobre scritta in prima persona da un reporter americano – viene pubblicato per la prima volta nel marzo del 1919, un anno e mezzo dopo gli eventi. La storia vuole che la stessa scrittura del libro fu portata avanti in circa dieci giorni, per la maggior parte insonni, in cui l’autore John Reed riporta febbrilmente i fatti di cui era stato testimone. A causa del suo lavoro di giornalista del magazine di ispirazione socialista The masses, era partito alla volta della Russia nell’estate del ’17. Dopo esser stato reporter di guerra nei primi anni della Grande Guerra, e prima ancora testimone della rivoluzione messicana, Reed voleva recarsi là dove il regime zarista aveva dovuto lasciare spazio a nuove istanze democratiche. Nel suo soggiorno in Russia, riesce a conoscere i leader bolscevichi e a seguirne il percorso e la presa del potere, ad intercettare gli umori delle masse, a collezionare fonti originali e scrivere note di viaggio, materiali che però gli verranno confiscati una volta tornato a New York nell’aprile del 1918.
Kit didattico: La storia della rivoluzione di ottobre (II grado)
La sollevazione scomposta: cosa ha portato nella modernità il 1848
Giangiacomo Feltrinelli. Il progetto e l’inquietudine
Oltre il confine. Europa e Russia dal 1917 a oggi
Kit didattico: La storia della rivoluzione di ottobre (II grado)
Proposta percorso scuole secondarie di II grado
A cent’anni dall’inizio della Rivoluzione Russa si analizzano le trasformazioni e l’impatto, anche a livello globale, che ha comportato un avvenimento storico di questa portata.
Viene ripercorsa la vicenda da un punto di vista storico attraverso le tappe di sviluppo più importanti dal 1917 a oggi. Il kit didattico approfondisce i temi che portano alla conoscenza di una “grande trasformazione” politica, sociale, culturale e economica quale fu quella portata dalla rivoluzione bolscevica che ebbe ripercussioni profonde non solo nella storia russa e europea del XX secolo, ma in quella di tutto il mondo. Il mito che essa generò fuori dalla Russia alimentò infatti aspettative e speranze di riscatto che furono alla base di molti movimenti di liberazione nazionali nel lungo e complesso processo di decolonizzazione.
Viene illustrato il ruolo che le donne svolsero nella rivoluzione e gli apporti che alcune di loro diedero non solo alla formulazione politica della questione femminile, alla lotta per l’uguaglianza e la parità dei diritti della donna, ma anche alla realizzazione di una legislazione sociale all’avanguardia per la tutela delle donne nella Russia degli anni tra il 1917 e il 1920.
Joseph Roth, invece, rappresenta uno dei primi testimoni occidentali che raccontano come veniva percepiti gli eventi di quel periodo; infine un attento lavoro di ricerca porta alla luce il tema della costruzione della memoria nella Russia di oggi in cui, a cento anni di distanza, la Rivoluzione d’ottobre rimane un’eredità difficile da gestire, raccontare e celebrare.
La sollevazione scomposta: cosa ha portato nella modernità il 1848
Cosa chiedevano le masse in rivolta dalla Sicilia all’Europa durante quella che sarebbe stata definita la Primavera dei Popoli del ’48? Disordine e diritti. Poiché i secondi divengono effettuali quando effettuale è l’azione del collettivo di rivendicazione e il primo non dura più che il tempo di formare un nuovo ordine, gli effetti delle istanze democratiche-radicali si sarebbero misurati decenni più tardi, mentre quelle liberali videro un significativo avanzamento. Il progresso delle une e delle altre non sarebbe stato tuttavia possibile senza il formarsi dei moderni Stati nazionali. In questo senso, con l’emergere della globalizzazione e la messa in discussione del ruolo dello Stato moderno, il rapporto fra istanze liberali e democratico-sociali rimane ad oggi irrisolto.
Riferendosi alla rivolta di Francoforte del Settembre del 1848 Friedrich Engels si espresse così: “The people, who are unorganized and poorly armed, are confronted by all the other social classes, who are well organized and fully armed”1. L’anno che entrò nel linguaggio comune con la celebre espressione “fare un quarantotto”, fu anche quello nel quale “il Manifesto del Partito Comunista” vide le stampe. Tuttavia, lo spettro lì indicato era ancora di là da venire: quelle del ’48 furono sollevazioni di istanze eterogenee e non attribuibili alla questione di classe. L’unica forma, embrionale, di coscienza collettiva si andava sviluppando come quella patriottica-nazionale. In quel panorama, l’intuizione mazziniana assumeva un rilievo significativo: egli riteneva che la sollevazione popolare su territorio italiano potesse avvenire compiutamente solo per fini patriottici di indipendenza e unità, e quindi in modo interclassista; solo in un secondo tempo, divenire una vera e propria rivendicazione sociale. I miti fondativi della patria, che egli seppe cogliere anche grazie alla sua sensibilità morale, erano in questo senso effettuali prima della dimensione della coscienza di classe e lo saranno anche dopo perché, a differenza delle grandi ideologie novecentesche, agendo nell’inconscio, più agevolmente contribuiscono a costruire quelle comunità immaginate che Anderson2 ben descrive.
In Italia, e non solo, le comunità immaginate si materializzarono letteralmente3: simbolo del loro conflitto furono le barricate. Queste, nell’atto di inserire disordine nell’ordine restaurato, dividevano in modo pre-cosciente le parti: “una folla, quale erasi mai veduta, empié il Duomo e le vie circostanti […]. Si sarebbe detto che il popolo fosse arrolato tutto in una vasta congiura; e il popolo nulla ne sapeva: eppure ad ogni più nuova proposta improvvisamente si moveva tutto come una sola persona.”4 La moltitudine posta da una parte della barricata sembrava così potente da suscitare le speranze di coloro che ritenevano sufficiente la sollevazione scomposta per incendiare la scintilla rivoluzionaria: “Nothing illuminates the way, nothing lifts the veil of the horizon, nothing resolves problems like a great social upheaval,” 5 commentava Blanqui.
La borghesia liberale, al fine di affermare la propria autonomia, aveva bisogno anch’essa di fare disordine, e subito conseguentemente di costruire uno Stato inteso come amministrazione pubblica, non interventista negli affari privati, in linea con Benjamin Constant6 all’indomani della rivoluzione francese, ma che fosse il dispositivo-argine al potere teocratico e assoluto. Attraverso una significativa eterogenesi dei fini, sarà proprio nell’ambito della statualità, nonostante la definizione che ne diede Marx di “comitato d’affari della borghesia”, che la moltitudine si sarebbe fatta popolo. Infatti, senza l’istanza liberale di costruzione dello Stato di diritto e di costituzionalizzazione della politica, difficilmente le masse sarebbero riuscite ad autorappresentarsi, cosa che fecero grazie alla costruzione del perimetro di comunità relativamente omogenee come quelle degli stati moderni.
Baldassarre Varazzi. Episodio sulle cinque giornate
Non è un caso che la tregua nel conflitto Capitale-Lavoro si sia ottenuta nel ‘900 durante i trenta gloriosi che, grazie all’adozione del sistema di Bretton Woods, scaturivano da un sistema di equilibrio fra polo del “capitale-mercato liberale” e quello della democrazia come potere pubblico di intervento dello Stato a protezione della società. Nell’Europa occidentale le masse erano nel frattempo diventate effettuali grazie alla coscienza collettiva che si era fatta partito e dunque soggetto di contesa all’interno del potere pubblico, generando politicamente i riformismi progressisti e socialmente quella classe media che è stata al contempo fondamento e conseguenza del compromesso.
È per questo motivo che Francis Fukuyama, campione del pensiero liberaldemocratico, al punto da considerarlo così insuperabile da decretare la fine della storia nel 1989, ha più di recente implicitamente ma profondamente rivisto la sua tesi7, sostenendo che la globalizzazione finanziaria (cioè l’estensione illimitata della libertà economica a scapito della redistribuzione sociale) avesse a tal punto aumentato le diseguaglianze del mondo occidentale a detrimento della classe media, da mettere in questione la tenuta stessa delle liberaldemocrazie.
Tale globalizzazione, attraverso lo spostamento delle sedi del conflitto dall’entità statuale all’altrove, la caratteristica atomizzazione sociale e la riduzione dell’effettualità delle carte costituzionali liberal-social-democratiche, ha riportato indietro le lancette della storia. La sua fine è stata smentita dal rientro sulla scena proprio delle moltitudini e finanche delle barricate: le prime, più simili a quelle ottocentesche nella mancanza di identità di popolo e di classe, ma irrequiete e suscettibili alla narrazione nazionale; le seconde tutte immateriali, costruire in rete, sulla suggestione del “99%” e nel linguaggio populistico moderno del “noi” contro “loro”, mai così vago nei riferimenti e al contempo così efficace.
1 citato in M.M.A. Boden, “First Red Clausewitz: Friedrich Engels And Early Socialist Military Theory”, 2014.
2 B. Anderson, “Imagined Communities. Reflections on the Origin and Spread of Nationalism”, Verso, London 1983, trad. it. Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma, 2009
3 M. Isnenghi, “L’italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai giorni nostri”, Il Mulino, 2004.
4 C. Cattaneo, “Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra”, in “Opere di Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari” a cura di Ernesto Sestan, Napoli, Ricciardi, 1957, p.869
5 22 marzo 1848 https://blanqui.kingston.ac.uk/texts/to-the-democratic-clubs-of-paris-22-march-1848/
6 B. Constant, “De la Liberté des Anciens comparée à celle des Modernes”, 1819.
7 F. Fukuyama, The Future of History. Can Liberal Democracy Survive the Decline of the Middle Class?, Foreign Affairs, January/February issue, 2012.
Giangiacomo Feltrinelli. Il progetto e l’inquietudine
Descrizione dell’eBook
L’idea di fondo era questa: mettere alla prova il repertorio di idee e di categorie ereditato, con paradigmi diversi e a volte radicalmente alternativi, avendo come scopo la migliore comprensione dei mutamenti sociali e delle trasformazioni politiche, dei cambiamenti economici e culturali delle società e del mondo contemporaneo.
Salvatore Veca dall’introduzione all’annale della Fondazione La Biblioteca Istituto Feltrinelli. Progetto e storia
Conosci l’autore
Salvatore Veca ha studiato Filosofia all’Università degli Studi di Milano. Dopo aver insegnato nelle Università della Calabria, di Bologna, di Milano, di Firenze e di Pavia, insegna Filosofia politica all’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, di cui è stato prorettore vicario dal 2005 al 2013. Dal 1999 al 2005 è stato Preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia.
Presidente del Comitato generale Premi della Fondazione internazionale Eugenio Balzan e della Fondazione Campus di Lucca, fa parte del Comitato direttivo della “Rivista di filosofia”, di “Iride” e dello “European Journal of Philosophy”. Dal 1984 al 2001 è stato presidente della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano, di cui è presidente onorario. Nel 1998 gli sono stati conferiti, con decreto del Presidente della Repubblica, la medaglia d’oro e il diploma di prima classe, riservati ai Benemeriti della Scienza e della Cultura. Dal 2010 è socio corrispondente e dal 2015 membro effettivo dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e lettere. Dal 2014 è socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino e presidente della Casa della Cultura di Milano.
E’ stato il direttore scientifico di Laboratorio Expo e responsabile della redazione della Carta di Milano. Ha curato Laboratorio Expo. The Many Faces of Sustainability, “Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli” (Feltrinelli 2015).
Oltre il confine. Europa e Russia dal 1917 a oggi
Descrizione dell’eBook
L’eBook è volto a mettere a fuoco la complessità del rapporto tra Russia ed Europa Occidentale in Età moderna e contemporanea.
La storia e la cultura russa sono presenti nel profondo dell’Europa così come, viceversa, l’Europa e la sua storia sono parte dell’identità russa.
Allo stesso tempo l’Europa, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e, soprattutto nel Novecento, non ha mai cessato di guardare alla Russia come a un partner privilegiato ma con cui, anche, avere una profonda conflittualità.
Conosci l’autore
Andrea Panaccione è docente all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore scientifico della Fondazione Giacomo Brodolini di Milano. E’ autore, fra l’altro, di Socialisti europei (Milano, Angeli, 2000) e Il 1956 (Milano, Unicopli, 2006).
€ 2,99