1917-2017. Una storia europea chiamata Rivoluzione
Propaganda – Capitolo 11
La fine della storia?
Il crollo definitivo del progetto politico fondato con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e, più generalmente, la crisi del comunismo a partire dagli anni Ottanta hanno segnato profondamente l’immaginario del tempo storico che si è aperto allora e che riguarda anche il nostro presente.È stata una crisi capace di mettere in discussione l’idea stessa di trasformazione: qualcuno ha anche presunto che ciò che si stava per inaugurare era la fine della possibilità della storia di subire svolte e trasformazioni radicali e che il destino collettivo fosse ormai segnato da un lento, progressivo processo di miglioramento.
La storia non è finita, in questi trent’anni non abbiamo smesso di sognare il cambiamento, ma spesso il sogno si è offerto sotto le vesti di un presente inaspettato, spesso inquieto e preoccupante.
La sfida del Novecento
È importante tornare a riflettere sulla storia del Novecento e provare a ripercorrere un secolo nei suoi momenti di entusiasmo e di crisi, di rilettura critica e di confronto, anche acceso, ma dove il presente era colto sempre come una sfida in cui provare a superare le proprie inadeguatezze.
Nelle tre diverse tappe del nostro percorso, dedicato alle idee, all’economia e alla propaganda del mondo sovietico, abbiamo proposto un insieme di immagini, di sogni, di preoccupazioni, ma anche e soprattutto di parole che hanno definito il linguaggio collettivo del Novecento, e che almeno in parte gli sono sopravvissute.
Un futuro sempre aperto
Questi concetti toccano le sensibilità di quel tempo e del nostro, ancora caratterizzate da quello sguardo che reciprocamente si volge “oltre il confine”, che prova a costruire e a dare forma a un dialogo e a uno scambio che non sono mai stati quieti, ma sempre turbolenti, contratti, tesi, ma in cui nessuna delle due parti ha cercato la rottura definitiva. Un dialogo e uno scambio che chiedevano di trovare forme di coabitazione, di compromesso, di confronto.
Quando la sensazione era quella di essere prossimi alla rottura, si riprendeva il discorso in modo da tenere sempre una porta aperta, scommettendo su un margine di interesse comune, per provare, magari in un momento successivo, a riannodare ciò che nel frattempo si era perduto. Perché vi è una possibilità di futuro laddove si prova a dare una chance diversa al presente, e a non assumerlo come dato e immodificabile.
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Di seguito viene riproposta la bacheca dell’undicesimo pannello della mostra, allestita con manifesti tratti dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Per iniziare la visita alla mostra virtuale, basta cliccare su una delle immagini che seguono. Potete procedere nell’ordine consigliato oppure visualizzare i singoli oggetti.
Approfondisci
Le democrazie europee stanno attraversando mutamenti intensi sul versante dei soggetti politici (partiti e movimenti), sul versante istituzionale e sul versante della comunicazione grazie alle nuove tecnologie. I profondi mutamenti che hanno innescato una transizione difficile nella nostra vita democratica hanno i loro confini segnati dalla fine dell’ordine bipolare seppellito sotto le macerie del Muro di Berlino, dalla crisi che dal 2008 ha colpito con vigore l’Occidente e in particolare l’Europa e dalla diffusione di internet e dei social media.
Le nostre democrazie sono confrontate a molteplici sfide (crisi della rappresentanza, emersione dei populismi, leaderismi, cattura oligarchica delle istituzioni, etc…) e stanno attraversando una difficile transizione che ne ridefinirà le caratteristiche. In questo epub sono raccolti alcuni dei contributi originati dalla Linea di ricerca sull’Innovazione politica della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nel corso del suo primo anno di attività.
Kit didattico: La propaganda e la società di massa nel 900 (II grado)
Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre nella Russia di Putin
1917-2017. Una storia europea chiamata Rivoluzione
1917 -2017. Russia e Europa, cento anni di rivoluzione
Kit didattico: La propaganda e la società di massa nel 900 (II grado)
Proposta percorso scuole secondarie di II grado
Dal 1917 in Russia, la propaganda diventa il mezzo dello Stato per parlare non solo della condizione materiale, ma anche della condizione morale. Perché il futuro migliore non è solo quello con più risorse, ma anche quello in cui si realizza la condizione di equilibrio tra benessere materiale e felicità. Una condizione, questa, che fa da sfondo a un lungo processo maturato nel corso del Novecento: la progressiva urgenza del problema del limite alle risorse come inquietante limite alla felicità.
Questo processo conosce un primo punto di svolta con la crisi energetica dei primi anni Settanta, quando inizia la sfida per pensare a un altro sviluppo e dotarsi di un’altra immagine utopistica di futuro. L’arte di regime diventa il mezzo per realizzare questi intenti e attraverso le sue opere deve far apparire l’URSS come “il paese più felice del mondo”.
Il kit didattico affronta quindi questo tema, i suoi sviluppi e la sua evoluzione dalla Rivoluzione di Ottobre fino ai tempi recenti di Putin. In particolare, i contenuti sono sviluppati per analizzare il codice visivo che fu il mezzo predominante, soprattutto nell’età staliniana, di diffusione dei messaggi politici e dei modelli di comportamento promossi dalla nuova ideologia comunista.
Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre nella Russia di Putin
La Russia è un paese con un passato imprevedibile
Yuri Nikolaevich Afanasiev
Il centenario della Rivoluzione Russa, che ricorre questo Novembre, è una data che pone un dilemma sulla sua celebrazione: come dialogare con uno degli eventi più importanti della storia del ‘900 senza incorrere in vuote esaltazioni o denigrazioni facili? L’esperienza del 1917 ha influenzato significativamente la storia del XX secolo, ma valutarne criticamente l’impatto nella costruzione e nella memoria della storia europea è un’operazione difficile, inevitabilmente condizionata dalla fine della guerra fredda e dal crollo dell’URSS. Oltre il confine, questo dilemma è particolarmente sentito nella Russia di Vladimir Putin, dove la necessità di preservare l’unità nazionale prevale sulla possibilità di celebrare uno dei momenti più importanti della storia del paese.
Manifesto di propaganda russa.
Nepomniashij, “Fertilizzanti in primavera per un buon raccolto d’estate”, 1977.
A differenza della rivoluzione del 1789 per la Francia, il nuovo stato nato dalle ceneri dell’URSS non si è riconosciuto apertamente con il portato storico del 1917, mantenendo nel ricordo una certa ambivalenza di fondo. Se il centenario è occasione di dibattito in Europa, per la società russa la questione è molto più spinosa e rischia di porre dei seri problemi di legittimità al potere di Putin. In che modo parlare della Rivoluzione d’Ottobre nella narrativa nazionale russa evitando facili divisioni? Astenersi dal segnare in qualche modo un evento così importante sembrava pressoché impossibile, un evento che ha portato al potere un gruppo politico, quello comunista, di cui lo stesso Putin ha fatto parte. Eppure, il 25 Ottobre scorso il Presidente russo ha domandato ai giornalisti “e cosa ci sarebbe esattamente da celebrare?”. Come a voler negare che ci sia anche un’eredità culturale della rivoluzione d’Ottobre, una componente innegabile del profilo del paese, le cui celebri figure storiche, letterarie ed artistiche sono inevitabilmente legate al suo passato sovietico.
Quale Rivoluzione?
La prima difficoltà posta dal centenario risiede nell’atto stesso di celebrare una rivoluzione in quanto tale. Negli ultimi 20 anni lo spazio post-sovietico ha visto l’avvicendarsi delle cosiddette rivoluzioni colorate, movimenti che hanno determinato un distacco dall’ex madrepatria per un avvicinamento ai valori e sistemi politici occidentali. Il caso ucraino è particolarmente emblematico, un paese che ha visto la sua rivoluzione colorata nel 2004 e un’altra sollevazione nel 2014, portando i russi ad intervenire militarmente e a contribuire alla spaccatura definitiva della società e del suo territorio. Celebrare una rivoluzione vorrebbe dire, dunque, veicolare il messaggio politico che “ribellarsi è giusto”, ancor più che la possibilità di una rivoluzione colorata in Russia è argomento di discussione anche da parte di esponenti del governo (che ovviamente smentiscono).
In secondo luogo, la Russia nel 1917 ha affrontato non una ma due rivoluzioni, a Febbraio ed Ottobre, i cui propositi erano molto diversi. La prima di Febbraio fu quella che rovesciò il potere zarista e portò al potere il governo provvisorio – composto in maggioranza da moderati e favorevole alla continuazione delle belligeranze – contrapposto al Soviet (consiglio) di Pietrogrado, che chiedeva invece a gran voce l’uscita dal primo conflitto mondiale. La rivoluzione d’Ottobre fu il momento in cui presero il potere i bolscevichi, i Rossi, gettando il paese in una guerra civile animata dai Bianchi, i controrivoluzionari. Per il governo attuale, paradossalmente, risulta molto più semplice ricollegarsi alla tradizione della rivoluzione di Febbraio – più fedele alle istanze democratiche che hanno portato alla fine del regime sovietico – piuttosto che a quella d’Ottobre – un evento divisorio che ha portato ad anni di profondo disordine e instabilità.
Festival della luce a San Pietroburgo a tema 1917:
Un popolo con una grande storia e un futuro comune
“L’uomo russo ha bisogno di qualcosa in cui credere. Qualcosa di elevato, di sublime. Comunismo e impero sono radicati nel profondo del nostro cervello. Capiamo meglio ciò che è eroico. Il socialismo obbligava l’uomo a vivere nella storia… ad assistere a eventi grandiosi. E come se siamo spirituali, specialissimi! Non si è vista nessuna democrazia. Noi, lei, io, saremmo dei democratici? La perestrojka è stata l’ultimo grande avvenimento della nostra vita.”
Svetlana Aleksievič, Tempo di seconda mano, 2013
Con il crollo dell’Unione Sovietica, la popolazione russa si è dovuta confrontare con la fine di un’epoca caratterizzata da una ideologia, un’identità e una lettura della storia molto precise. Allo scollamento identitario causato dal collasso dell’URSS, è seguita la progressiva presa di coscienza di molti lati oscuri del suo passato, con cui quasi nessuna elite politica è ancora venuta a patti dopo più di 25 anni. Il risultato è una mancanza di consenso generale sul passato sovietico, tra fautori del crollo dell’URSS, comunisti nostalgici e giovani disincantati sul futuro del paese. Dal suo insediamento, Putin ha tentato di ricostruire una grande narrativa storica nazionale che limasse gli aspetti di rottura causati dal periodo sovietico e favorisse una lettura riconciliante – se non addirittura esaltante – di alcuni momenti della storia russa. Una delle operazioni più riuscite è stata sicuramente quella sulla Seconda Guerra Mondiale, per i russi la Grande Guerra Patriottica. Il governo di Putin, e quello di Medvedev poi, hanno reso il 9 Maggio – giorno della celebrazione – una festa popolare in cui ad essere celebrata è più la vittoria della memoria, un momento di riconciliazione con il trauma della guerra, di creazione di una comunità sociale, un modo di narrare la storia della Russia e le sfide che è stata chiamata a superare. Il passato diventa così uno degli strumenti principali per ricostruire l’identità nazionale, spesso eliminando problemi come colpa e responsabilità, e trattando argomenti scomodi come dei miti minori, piccole deviazioni di percorso in una storia epica e gloriosa (Elizabeth A. Wood, 2011).
I casi di uso politico della storia sono dunque piuttosto comuni. In tempi recenti, gli avventori della capitale russa non avranno potuto far a meno di notare la statua di 17 metri di Vladimir il Grande, inaugurata a Novembre 2016 e fortemente voluta da un altro Vladimir, Putin. La costruzione è stata fortemente osteggiata dagli abitanti, spaventati dalla mole del monumento, ma a scatenare scompiglio è stata soprattutto la problematicità della figura storica di Vladimir. Vladimir il Grande, detto Vladimir di Kiev, è infatti considerato come uno dei padri fondatori sia in Ucraina che in Russia, nonché colui che ha portato il cristianesimo nel mondo slavo. Erigere una statua simile non sembra un omaggio alla storia, ma risulta come un atto molto forte alla base del quale c’è una rivendicazione territoriale e culturale, nonché un grande segno di riconoscimento per la Chiesa Ortodossa.
Un altro esempio emblematico è il decreto del 2005 con cui il giorno di festa nazionale del 7 Novembre – giorno della Rivoluzione d’Ottobre – è stato abolito per preferirgli la data del 4 dello stesso mese. La ricorrenza storica alla base di questa scelta sembra essere sconosciuta a gran parte della popolazione russa, ma trattasi del giorno della liberazione della città di Mosca dagli occupanti polacchi nel 1612. Lo spostamento di data era stato caldeggiato da un appello al Parlamento dell’Unione interreligiosa russa: la resistenza del popolo moscovita era un momento meno problematico da ricordare rispetto agli eventi del ’17. Questo è il primo segnale della difficoltà di inquadrare la Rivoluzione d’Ottobre in una narrativa unificante.
Il momento al Principe Vladimir inaugurato a Mosca nel 2016
Bianchi vs Rossi
Vladimir Medinskii, Ministro della Cultura dal 2012, è colui che ha in parte aiutato Putin a sciogliere questo nodo fondamentale. La sua narrativa sul 1917 si basa sul principio della riconciliazione. Nel 2013, ha dichiarato che era indifferente scegliere chi avesse ragione, se i bianchi o i rossi. In alcuni discorsi pubblici successivi, ha proposto una versione semplificata della storia e, a suo modo, chiarificatrice, dove la guerra civile nasce dal conflitto tra due parti entrambe in lotta per il bene della Russia; ed il passaggio dal regime zarista allo stato sovietico è stato un momento storico particolarmente turbolento che ha fatto durare la guerra più del dovuto. Depotenziando totalmente il peso politico e rivoluzionario dei bolscevichi, Medinskij li presenta come coloro in grado di riprendere le redini dello stato Russo e ricostruirlo. I Bianchi sono invece ricondotti alle istanze della rivoluzione di Febbraio e a quelle post 1991, che hanno portato alla fine del regime zarista e dello stato russo nella versione sovietica. Ma quindi, chi ha vinto alla fine? Chi aveva ragione? Ovviamente c’è un terzo vincitore, e si tratta della Grande Russia, l’unica a rimanere invariata nella storia da ben prima dei Romanov fino ai nostri giorni.
Questa lettura semplicistica sicuramente assolve il suo compito di presentare la storia come un lungo cammino di potenza, evidentemente destinato a durare sotto il governo di Putin. Questa versione, però, è priva di riflessione critica, non rende giustizia alla storia di chi ha lottato per idee di futuro contrastanti, elimina completamente il ruolo delle minoranze di quello stato multi-etnico che era l’impero, prima, e l’URSS, dopo. La cosa veramente interessante però è un’altra: in questa lettura i bolscevichi sono la pars construens, mentre il ruolo destruens è affidato ai bianchi, che hanno prima interrotto il potere degli zar e dopo contribuito alla fine dell’URSS. Questo significa riconoscere apertamente lo stato attuale come una continuazione del regime precedente. Ed è proprio questo che non ha convinto del tutto Putin.
Il consenso prima di tutto
La politica di Putin riguardo il centenario è emersa più o meno chiaramente nel suo discorso annuale al Parlamento del Dicembre 2016:
“Il prossimo anno, il 2017, ricorrerà il centesimo anniversario delle rivoluzioni di Febbraio e di Ottobre. Questo è un buon momento per guardare alle cause e alla natura di queste rivoluzioni in Russia. Non dovrebbero farlo solo gli storici e gli studiosi; la società russa ha bisogno di un’analisi obiettiva, onesta e profonda di questi eventi. Questa è la nostra storia comune e dobbiamo trattarla con rispetto. Si tratta di qualcosa di cui ha parlato il grande filosofo russo e sovietico Alexei Losev: “Sappiamo la strada spinosa che il nostro paese ha attraversato”, scrisse. “Conosciamo i lunghi e stancanti anni di lotta, desiderio e sofferenza, e per i figli della nostra madrepatria questo è il loro patrimonio natio e inalienabile”. Sono sicuro che la maggioranza del nostro popolo ha la stessa attitudine verso la loro madrepatria, e abbiamo bisogno di lezioni di storia in primis per la riconciliazione e il rafforzamento della concordia civile, sociale e politica che abbiamo raggiunto. È inaccettabile far prendere la nostra vita di oggi dal rancore, rabbia e amarezza del passato, nel perseguire i propri interessi politici e altri interessi per speculare su delle tragedie che coinvolgono praticamente ogni famiglia russa, non importa in quale parte della barricata fossero i nostri antenati. Ricordiamoci che siamo un unico popolo unito e che abbiamo una sola Russia.”[1]
Ecco, dunque, esplicitata la difficoltà nel celebrare un evento così importante, il cui ricordo suscita ancora sentimenti contrastanti e per cui è impossibile esaltarne gli elementi positivi a favore di una narrazione unilaterale, come nel caso della seconda guerra mondiale. L’uso della storia in termini propagandistici che emerge dai casi citati, qui presenta dei problemi di consenso molto forti, e il consenso è una delle risorse principali del potere di Putin. A differenza della posizione di Medinskij, non c’è una parte a prevalere sull’altra, c’è solo un lungo cammino di sofferenza in cui a trionfare è l’unità civile e politica della Grande Russia.
1917-2017. Una storia europea chiamata Rivoluzione
Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre è l’occasione per una riflessione sulla sua storia, le idee, i modelli, i linguaggi e gli immaginari che hanno condizionato le nostre odierne categorie di progresso, lavoro e felicità sociale. Il contesto storico che ha reso possibile la rivoluzione, la creazione di miti fondativi e la costruzione dell’utopia politica, il lavoro e i nuovi modelli di progresso, la propaganda e la costruzione del cittadino 1.0, sono parte di un bagaglio culturale e politico che, a distanza di oltre 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, possono essere guardati da altre prospettive per comprendere ciò che di originale e potente ha portato il ’17 nel nostro vissuto di cittadini europei. Lo scopo non è farne un bilancio distaccato, ma indagarne i codici culturali e simbolici alla luce degli scambi, delle influenze e delle divisioni tra il mondo sovietico e il resto d’Europa.
In uscita, con l’inaugurazione della mostra 1917-2017. Una storia europea chiamata Rivoluzione, il catalogo, a cura della Fondazione. Il catalogo sarà in vendita presso le librerie Feltrinelli di Milano con i contributi di Massimiliano Tarantino, Gian Piero Piretto, Marcello Flores, Silvio Pons, Boris F. Martynov, Federico Rossin, Vittore Armanni, Chiara Missikoff.
Il catalogo è in vendita presso le librerie Feltrinelli di Milano
1917 -2017. Russia e Europa, cento anni di rivoluzione
Quello tra Russia ed Europa è un confronto che definisce una costante nella storia moderna e contemporanea.
Il processo di costruzione dell’Europa in età moderna ha vissuto un’idea permeabile e mobile di confine. Un confine che a Ovest appariva segnato da un limite naturale rappresentato dal mare, mentre a Est non solo era mutevole, ma si costruiva sul contatto con la Russia e con la sua realtà culturale e linguistica, assunta sia come sfida che come dialogo e confronto.
L’Europa riesce a definire se stessa se include la Russia; la Russia definisce una immagine di sé soltanto se si pensa in dialogo e in rapporto con il resto dell’Europa. L’avvicinarsi del centenario del 1917 è l’occasione per ripercorrere questo rapporto complesso: quanta parte della storia e della cultura russa è nel profondo dell’Europa? Che cosa è andata cercando l’Europa “guardando alla Russia” a partire dal XIX secolo? Che cosa cambia a partire dal 1917? Che cosa resta oggi?
Nel corso dell’Ottocento il punto di riferimento del dispotismo agli occhi dell’Europa si identifica con la Russia. La Russia è il luogo in cui l’Europa misura la distanza dal suo passato. Questo registro si modifica a partire dal 1917, quando il processo rivoluzionario da una parte è percepito come un momento di possibile avvicinamento, ma dall’altra anche come il confronto con un avversario cui contendere il futuro del continente.
Manifesto. I. Ovasapov, Siamo fieri dei nostri diritti scritti a lettere d’oro nella Costituzione del Paese!, 1979
Uno sguardo che si alimenta dell’immaginario sociale degli strumenti di comunicazione propri del Novecento: e dunque i manifesti pubblici, vero luogo in cui si costruisce il linguaggio collettivo.
Per questo abbiamo pensato che il centenario potesse essere un’occasione per scavare intorno al rapporto inquieto, spesso conflittuale, quasi mai amico e tuttavia mai ritenuto superfluo o inutile tra Russia ed Europa, e che nel tempo le ha legate in forma mutevole. Un confronto in cui gli interessi, le domande, lo stimolo al cambiamento sono avvenuti attraverso uno sguardo che reciprocamente si spingeva “oltre il confine”, in cui la realtà russa, e poi sovietica, e le molte realtà dell’Europa in forme discontinue, distinte nel tempo, hanno continuato a dialogare, spesso con diffidenza ma sempre con curiosità. Una storia che si presta a una riflessione sui modelli, i linguaggi e gli immaginari che hanno condizionato le nostre odierne categorie di lavoro, progresso e felicità sociale.
Lo scopo è indagarne i codici culturali e simbolici che sono alla base del nostro vissuto di cittadini europei. Il contesto storico che ha reso possibile la Rivoluzione d’Ottobre, la creazione di miti fondativi e la costruzione dell’utopia politica, il lavoro e i nuovi modelli di progresso, la propaganda e la costruzione del cittadino 1.0, sono parte di un bagaglio culturale e politico che, a distanza di oltre venticinque anni dalla dissoluzione dell’Urss, possono essere guardati con occhi nuovi e come parte di ciò che di originale e potente ha portato il 1917 in Europa.
Manifesto di propaganda russa (anni ’30)
In questa ricerca ci hanno guidato le sollecitazioni che abbiamo ricavato dall’immersione nel patrimonio di Fondazione. Un patrimonio ricco di volumi e periodici, di manifesti e di affiches che documentano la storia culturale, economica, sociale, politica ma anche visiva dell’immaginario della Russia dagli inizi del XIX secolo a oggi.
La storia come modo di pensare i nodi del presente, ma anche ricostruire il senso della sua genealogia.
Il 1917 è un anno fondamentale del processo storico mondiale e in particolare europeo. Prorompe sulla scena in una situazione tragica: l’Europa è nel pieno della Prima guerra mondiale e la Russia è un groviglio di contraddizioni, dove lo sviluppo economico e sociale dei decenni precedenti non trova riscontro nelle arretrate strutture politiche del regime zarista. Lo scoppio della rivoluzione spezza secolari strutture feudali e rende di colpo la Russia il faro europeo del socialismo, il posto in cui più di mezzo secolo di pensiero radicale anti-sistema trova una fulminea attuazione. Questo territorio ai margini, che poco aveva assorbito dei precedenti stimoli al progresso del tempo, recupera il suo ritardo con la modernità grazie a un evento cruciale quanto repentino, una modalità che poi diventerà cifra distintiva di tutto il Novecento.
Abbiamo scelto tre diversi percorsi di significato cui abbiamo cercato di dare un volto: le idee, le economie, la propaganda sono i tre diversi codici che proponiamo e attraverso i quali raccontare il confronto stretto tra Russia e Europa nel corso del Novecento.
In breve:
Le idee. La storia della Rivoluzione d’Ottobre, da due punti di vista diversi: da una parte come i russi stessi l’hanno raccontata, dall’altra come alcune voci europee l’hanno vissuta, interrogandosi sul loro futuro e sempre avendo presente cosa lì stava avvenendo, convinti che simpatetici o avversari, quella storia riguardava anche loro.
L’economia. Il grande processo di modernizzazione portato avanti nei primi anni di esistenza dell’Unione Sovietica è stato accompagnato da una ridefinizione dei concetti e delle pratiche di lavoro, casa ed economia. Il lavoro come diritto fondamentale, la collettivizzazione delle campagne e dei nuclei residenziali, i ritmi forzati della pianificazione economica, sono tutte tappe che hanno profondamente segnato la storia della Russia e fanno parte di ciò che viene considerata l’eredità politica e sociale del modello di sviluppo sovietico.
La propaganda. La nuova élite politica mobilita, orienta e educa l’opinione pubblica. Funzionale a questo scopo è l’arte di regime, che con le sue opere doveva far apparire l’Urss come “il paese più felice del mondo”, ma anche è attenta a invocare la costruzione di un nuovo cittadino, corazzato di una nuova etica, “e perciò virtuoso, libero dai vizi storici del carattere russo, per esempio dall’uso, più spesso dall’abuso dell’alcool.
Manifesto di propaganda russa (anni ’30)
Un insieme di immagini, di sogni, di preoccupazioni, ma anche e soprattutto di parole che hanno definito il linguaggio collettivo del Novecento, ma anche che fanno ancora parte dell’immaginario pubblico. Parole che toccano le sensibilità di quel tempo e del nostro, ancora caratterizzate da quello sguardo che reciprocamente si volge “oltre il confine”, che prova a costruire e a dare forma a un dialogo e a uno scambio che non sono mai stati quieti o tranquilli, ma sempre turbolenti, contratti, tesi, ma in cui nessuna delle due parti ha cercato la rottura definitiva. Un dialogo e uno scambio che chiedevano di trovare forme di coabitazione, di compromesso, di confronto. Quando la sensazione era quella di essere prossimi alla rottura, infatti riprendeva una pratica di confronto il cui fine era tenere sempre una porta aperta, scommettendo su un margine di interesse comune, per “non perdersi di vista” e provare, magari in un momento successivo, a riannodare ciò che nel frattempo si era perduto.