La Russia, il mondo. 1917-1922
Idee – Capitolo 2
Il partito bolscevico dà corso al suo piano di insurrezione armata: durante la notte del 25 ottobre gli esponenti occupano il Palazzo d’Inverno, allora sede del governo.
Rivoluzione d’Ottobre, 6-7 novembre (25-26 ottobre)
1917
8 marzo (23 febbraio del calendario giuliano in uso in Russia fino al 1° febbraio 1918)
Rivoluzione di Febbraio – le proteste e gli scioperi che da settimane scuotono l’Impero zarista messo in ginocchio dalla Grande guerra trovano il culmine nella capitale San Pietroburgo (ribattezzata Pietrogrado per eliminare il suffisso -burgo, derivante dalla lingua del nemico tedesco). I soldati stremati dalla guerra si mostrano solidali con la popolazione piegata dalla fame: nell’arco di pochi giorni lo zar è costretto ad abdicare e il governo del paese passa a esponenti del partito liberale e democratico, espressione della Duma, il parlamento russo.
6 aprile
Ingresso degli USA nella Prima guerra mondiale – la crisi dell’Impero russo influisce sull’andamento della Prima guerra mondiale, giunta al suo terzo anno di massacri. A riequilibrare e anzi rovesciare l’impasse delle forze dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia e Italia) intervengono gli Stati Uniti, il cui apporto contribuirà in modo determinante alla sconfitta degli Imperi centrali (Austria-Ungheria e Germania).
7 aprile
Tesi d’Aprile – il leader bolscevico Lenin è tornato in patria dall’esilio, richiamato dalla Rivoluzione di Febbraio e dalla caduta dello zar. Sul suo giornale di partito, Pravda (“verità” in russo) pubblica il programma politico divenuto noto come Tesi d’Aprile: tra i suoi punti cardine, l’uscita dalla guerra, l’assegnazione della terra ai contadini e la conquista diretta del potere da parte del proletariato attraverso i soviet (i consigli creati per la prima volta dalla popolazione in sommossa durante la rivoluzione del 1905, stroncata nel sangue dallo zar) che in quei mesi si stavano spontaneamente ricostituendo.
31 luglio
Inizio della battaglia di Passchendaele – nove divisioni britanniche attaccano le trincee tedesche sul saliente di Ypres, nelle Fiandre. Le offensive e controffensive per conquistare e mantenere questo territorio si protrarranno fino al mese di novembre, senza risultati apprezzabili da entrambe le parti, con un bilancio finale di quasi 800.000 tra morti e feriti. È una delle battaglie più costose (in termini di perdite) e inutili (in termini di strategia militare) della Prima guerra mondiale.
24-25 ottobre
Disfatta di Caporetto – l’esercito austriaco sfonda la linea del fronte presso Caporetto, costringendo l’esercito italiano a un ripiegamento disordinato per circa 150 km, fino al Piave. Si contano 30.000 perdite, 300.000 prigionieri e altrettanti sbandati, oltre agli 800.000 profughi delle terre lasciate in mano al nemico.
6-7 novembre (25-26 ottobre)
Rivoluzione d’Ottobre – il partito bolscevico dà corso al suo piano di insurrezione armata per rovesciare il governo provvisorio di Aleksandr Kerenskij: durante la notte del 25 ottobre sono occupati tutti i centri di potere della capitale, in particolare il Palazzo d’Inverno (allora sede del governo). Il Congresso generale dei soviet di tutta la Russia, che inizia la sera stessa, vede dissociarsi dal colpo di stato i menscevichi e i socialisti rivoluzionari, consentendo di fatto ai bolscevichi di instaurare un governo senza opposizione.
1918
18 gennaio (5 gennaio)
Dittatura del proletariato – rigettando il risultato delle elezioni indette per stabilire la composizione dell’Assemblea costituente, che avevano premiato i socialisti rivoluzionari, Lenin rivendica tutto il potere ai soviet e con un nuovo colpo di stato instaura la dittatura.
3 marzo
Pace di Brest-Litovsk – una delle prime preoccupazioni del governo bolscevico è quella di uscire dalla Grande guerra. La pace però viene pagata a caro prezzo, perché la Russia perde circa 800.000 km2 di territorio, all’interno del quale sono presenti anche molti distretti produttivi.
Primavera
Esplosione della guerra civile – con l’instaurarsi della dittatura bolscevica, l’opposizione si organizza militarmente per abbattere la rivoluzione. L’esercito bolscevico – l’Armata rossa, forte di quasi 5 milioni di soldati – dovrà battersi a lungo contro le armate controrivoluzionarie (dette “bianche”), sostenute anche da potenze straniere, ma alla fine (a partire dal 1920, con strascichi fino al 1922) avrà la meglio.
28 giugno
Comunismo di guerra – nel tentativo di raddrizzare le sorti di un’economia devastata dalla partecipazione alla Grande guerra e ulteriormente gravata dalle conseguenze della guerra civile, Lenin decide di applicare il cosiddetto “comunismo di guerra” e procede, tra i primi provvedimenti, a nazionalizzare diverse attività produttive e a centralizzare la raccolta e redistribuzione dei generi alimentari. Viene inoltre introdotto il divieto di sciopero.
16-17 luglio
Eliminazione della famiglia reale – a Ekaterinburg, nella regione degli Urali, dove si trovava prigioniera, la famiglia Romanov al completo viene assassinata su ordine del soviet locale.
11 novembre
Resa della Germania – l’armistizio firmato a Compiègne mette di fatto fine alla Prima guerra mondiale. A sottoscriverlo per la Germania il governo socialdemocratico, instauratosi in seguito ai moti rivoluzionari che avevano scosso le città tedesche logorate dalla guerra ed esasperate dalla sconfitta.
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Di seguito viene riproposta la bacheca del secondo pannello della mostra, allestita con quattro manifesti appartenenti al patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
I manifesti mostrano la necessità della Russia di disporre di uomini affidabili per lo sviluppo economico del Paese. Gli obiettivi economici possono essere raggiunti in meno tempo se tutti danno il loro contributo per superare se stessi.
Approfondisci
Il saggio La Russia in Asia e in Europa è stato pubblicato nel 1921 su L’Europa Orientale, la rivista mensile dell’Istituto per l’Europa Orientale di cui era segretario Ettore Lo Gatto. L’Istituto e la sua rivista sono stati durante il ventennio fascista la più importante sede di intervento degli intellettuali italiani sui problemi dell’Europa dell’Est. Nella serie delle “Pubblicazioni dell’Istituto per l’Europa Orientale”, Šmurlo ha pubblicato anche un saggio, breve ma frutto delle sue lunghe ricerche archivistiche, su JurijI Križanič (1618 – 1683). Panslavista o missionario?, tradotto da Lo Gatto. In occasione della sua partenza dall’Italia, Šmurlo ha lasciato all’Istituto la sua biblioteca di oltre 6.000 volumi. Il saggio di Šmurlo sviluppa in poche pagine una riflessione sui caratteri di lunga durata della storia della Russia, a partire dalla sua geografia, in cui si riflettono le sue posizioni contrarie al determinismo geografico e alla visione di una Russia eurasiatica. Lo scritto individua una contraddizione di fondo tra il fattore culturale (che per lui si identifica con la civiltà europea e prima di tutto con il cristianesimo) e il fattore geografico che proietta la Russia in funzione difensiva ma anche espansiva verso l’Asia, facendo della colonizzazione un elemento permanente della storia russa, ma non assimilabile agli imperialismi delle grandi potenze europeo-occidentali.
Kit didattico: La storia della rivoluzione di ottobre (II grado)
’900: un secolo di rivoluzioni e conquiste
A cent’anni dalla Terza Internazionale: una “modernità alternativa” al capitalismo
La Resistenza. Una storia europea
Kit didattico: La storia della rivoluzione di ottobre (II grado)
Proposta percorso scuole secondarie di II grado
A cent’anni dall’inizio della Rivoluzione Russa si analizzano le trasformazioni e l’impatto, anche a livello globale, che ha comportato un avvenimento storico di questa portata.
Viene ripercorsa la vicenda da un punto di vista storico attraverso le tappe di sviluppo più importanti dal 1917 a oggi. Il kit didattico approfondisce i temi che portano alla conoscenza di una “grande trasformazione” politica, sociale, culturale e economica quale fu quella portata dalla rivoluzione bolscevica che ebbe ripercussioni profonde non solo nella storia russa e europea del XX secolo, ma in quella di tutto il mondo. Il mito che essa generò fuori dalla Russia alimentò infatti aspettative e speranze di riscatto che furono alla base di molti movimenti di liberazione nazionali nel lungo e complesso processo di decolonizzazione.
Viene illustrato il ruolo che le donne svolsero nella rivoluzione e gli apporti che alcune di loro diedero non solo alla formulazione politica della questione femminile, alla lotta per l’uguaglianza e la parità dei diritti della donna, ma anche alla realizzazione di una legislazione sociale all’avanguardia per la tutela delle donne nella Russia degli anni tra il 1917 e il 1920.
Joseph Roth, invece, rappresenta uno dei primi testimoni occidentali che raccontano come veniva percepiti gli eventi di quel periodo; infine un attento lavoro di ricerca porta alla luce il tema della costruzione della memoria nella Russia di oggi in cui, a cento anni di distanza, la Rivoluzione d’ottobre rimane un’eredità difficile da gestire, raccontare e celebrare.
’900: un secolo di rivoluzioni e conquiste
Proponiamo alcuni estratti dall’introduzione di Marcello Flores, Spartaco Puttini, Sara Troglio al testo ‘900, la stagione dei Diritti. Quando la piazza faceva la storia, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2018.
Le trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali in corso nella nostra società e nel sistema democratico interrogano le basi stesse sulle quali si fonda il patto di cittadinanza.
A partire da questo contesto, si può riflettere su almeno tre piani.
Il primo ci spinge a non dare per scontati i diritti dei quali oggi godiamo e a indagare sulla loro origine. Il loro ottenimento è stato frutto di lotte e sacrifici da parte di uomini e donne che spesso si sono giocati tutto quello che avevano per conquistare condizioni di vita migliori e una maggiore giustizia. La loro storia ci parla di gruppi sociali tenuti ai margini o ignorati, considerati “oggetto” dell’iniziativa altrui e non “soggetti” attivi, legittimamente portatori di istanze, aspettative e rivendicazioni. La loro azione ha prodotto un allargamento dello spazio di cittadinanza. Quali sono le condizioni che hanno determinato le grandi conquiste del Novecento? In quale clima culturale si sono sprigionati i movimenti sociali e rivendicativi? Queste sono alcune delle domande che vogliamo porci, mentre guardiamo al nostro passato recente e alle sue eredità.
Il secondo livello di lettura invita a riflettere sul fatto che il processo di acquisizione dei diritti individuali e collettivi non è stato lineare. Ha dovuto affrontare battute d’arresto e ripiegamenti, comportando un continuo braccio di ferro tra interessi e forze contrapposti.
Infine, si vuole sottolineare come, proprio alla luce di questi insegnamenti del passato, i diritti non possano mai essere considerati definitivi. Richiedono, al contrario, uno sforzo continuo di difesa, ridefinizione e impegno collettivo.
[…]
Con sempre maggiore enfasi, la comunità internazionale ha accettato l’idea che tutti i diritti, come ha affermato la Dichiarazione di Vienna del 1993, sono “inalienabili, universali, indipendenti e indivisibili”, rifiutando una gerarchia al loro interno. Ogni diritto, in sostanza, è necessario alla realizzazione degli altri e la violazione di alcuni comporta generalmente la violazione anche di altri.
Oggi la discussione sui diritti umani sembra focalizzata su alcune questioni, tra loro strettamente legate. La prima riguarda l’“universalità” dei diritti, la possibilità di una visione universale che riesca a coinvolgere culture e tradizioni di pensiero diverse e spesso distanti.
La seconda questione riguarda la distanza che esisterebbe tra il riconoscimento dei diritti civili e politici e quello dei diritti economici e sociali. È vero che si è fatta strada negli ultimi anni una tendenza a riproporre come “veri” diritti umani soprattutto o esclusivamente quelli civili e politici, perché si tratta di diritti “negativi” che si possono facilmente introdurre abolendo le leggi che li contrastano (abolire la censura, introdurre il diritto di voto, garantire l’indipendenza della magistratura). Ed è vero che è molto più difficile rendere concreti i diritti “positivi” economici e sociali, che hanno bisogno di un fattivo e intenzionale intervento dello stato per essere garantiti (salute e istruzione hanno bisogno di ospedali e scuole, di medici e insegnanti, e quindi di risorse importanti per garantirle a tutti).
La maggiore lentezza con cui i diritti sociali ed economici possono venire implementati, e la maggiore rapidità con cui si possono abolire o limitare reintroducendo discriminazioni sui diritti che sembravano superate, in realtà sono accompagnate da un identico processo che coinvolge anche i diritti civili e politici, e in qualche caso in modo ancora più marcato i diritti di solidarietà o quelli di ultima generazione. Sono le decisioni politiche di governi e stati che modificano la loro impostazione a seguito di vittorie elettorali (o di restrizioni autoritarie di varia natura) a costituire il terreno di arretramento dei diritti, dati troppo facilmente per permanenti una volta acquisiti. Quello cui assistiamo in questi ultimi anni mostra come la battaglia per difendere i diritti faticosamente conquistati chiama in causa la vigilanza, l’attivismo e il senso di responsabilità di tutti.
A cent’anni dalla Terza Internazionale: una “modernità alternativa” al capitalismo
Il centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nel 2017 ha registrato innumerevoli iniziative convegnistiche, espositive e di varia natura in tutto il mondo (anche se molto meno in Russia che in Europa, negli Stati Uniti o in America Latina). Tuttavia è giusto chiedersi se quelle celebrazioni abbiano segnalato un’autentica “presenza” dell’evento 1917 nella memoria storica o non siano state invece disconnesse dal passato del nuovo secolo, un tributo offerto alla consuetudine sempre più invadente degli anniversari senza però suscitare interrogativi e questioni davvero stringenti nel presente. La Rivoluzione Russa è stata sostanzialmente rimossa dal piedistallo storico centrale che ha occupato per molti decenni e che ha trovato la sua sistemazione storiografica a posteriori nel “secolo breve” di Hobsbawm. Un quarto di secolo più tardi, la formula e la periodizzazione del “secolo breve” ci appaiono irrimediabilmente invecchiati. Gli storici coltivano prospettive e visioni diverse, per lo più declinate con i vari paradigmi della modernità globale. Proprio queste prospettive possono però suggerire nuovi significati e gerarchie di senso, ricollocando l’evento 1917 in una dimensione storica che non potrà più essere quella del secolo scorso, ma neppure dovrà andare smarrita tra narrazioni metastoriche e damnatio memoriae.
È questa una necessaria premessa al centenario della Terza Internazionale (marzo 1919), la cui nascita fu una conseguenza diretta dell’Ottobre 1917 e un evento fortemente voluto da Lenin per stabilire sul piano politico e simbolico la centralità della rivoluzione mondiale nelle aspirazioni e nei progetti dei bolscevichi. La “rimozione” della rivoluzione ha investito ancora più il “partito mondiale della rivoluzione”, gerarchico e centralizzato, come si rappresentò il Comintern e come venne percepito dai suoi nemici. Senza contare il fatto che la sua storia fu sostanzialmente fallimentare anche agli occhi dei contemporanei. Il Comintern presiedette alla nascita dei partiti comunisti in Europa e nel mondo, ma non conquistò la maggioranza della classe operaia fedele alle socialdemocrazie e non scatenò nessuna rivoluzione mondiale. Anzi, la sua sigla si legò a un lungo elenco di rivoluzioni abortite: in Ungheria, la Repubblica dei Consigli (aprile-agosto 1919); in Germania, l’ “azione di marzo” (marzo 1921) e soprattutto “l’Ottobre tedesco” (ottobre 1923); in Bulgaria (settembre 1923); in Cina (1926-27); a Cuba (1933); in Brasile (1935). Dopo il 1923, i tentativi di scatenare una rivoluzione nei paesi capitalistici dell’Europa cessarono per sempre, ma non per questo le rivoluzioni nel mondo coloniale conobbero particolari impulsi. La “costruzione del socialismo” in Unione Sovietica divenne una priorità rispetto alla “rivoluzione mondiale“. La subordinazione del Comintern agli interessi dello Stato sovietico fu un dato conclamato sotto Stalin.
Anche le “svolte” strategiche cominterniste generarono soprattutti insuccessi clamorosi. La teoria del “socialfascismo” lanciata nel 1929 contribuì a dividere la sinistra tedesca e favorì l’ascesa di Hitler nel 1933, portando alla distruzione del Partito comunista tedesco. La formula dei Fronti Popolari lanciata nel 1935 portò alla vittoria elettorale delle alleanze delle sinistre in Francia e in Spagna nel 1936 e al consolidamento di partiti di massa in questi paesi, ma le forze antifasciste furono sconfitte nella guerra civile spagnola (luglio 1936-marzo 1939). L’abbandono della linea antifascita imposto dal Patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939 ridusse il movimento in Europa ai minimi termini e provocò la distruzione del Partito comunista francese, messo al bando subito dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il Comintern riprese a svolgere un certo ruolo di propaganda e attività cospirative nell’Europa dominata da Hitler dopo l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel giugno 1941. Ma la sua stessa esistenza era palesemente anacronistica alla luce della ricerca di legittimazione nazionale dei partiti comunisti nel tempo di guerra. Quando Stalin ne decise lo scioglimento, nel giugno 1943, ritenendo che la centralizzazione organizzativa non fosse un criterio adeguato agli sviluppi dei partiti comunisti su basi nazionali, tutti i principali dirigenti si dissero d’accordo e nessuno rimpianse la fine del Comintern.
Tuttavia gli storici non dovrebbero trascurare l’eredità del Comintern. Esso fu il principale network politico globale dell’epoca tra le due guerre. Contribuì alla nascita di una politica di massa in Europa e, ancor più, nel mondo coloniale, dove i partiti comunisti furono espressione della modernità politica, seppure con fortune alterne. Gettò le fondamenta ideologiche e culturali delle élites comuniste destinate a svolgere un ruolo molto importante nella guerra fredda e nella decolonizzazione dopo la fine della guerra. È scontato rilevare che i quadri formati nell’organizzazione tra le due guerre consolidarono il potere comunista nell’Europa centrale e orientale occupata dall’Armata Rossa, diventando in gran parte personale di governo delle “democrazie popolari“. Ma l’eredità cominternista è molto più ampia di così. Negli anni tra le due guerre, il Comintern fallì tutti i suo principali obiettivi, ma fu una scuola di formazione politica e un centro di connessioni transnazionali. Si intrecciò con i più diversi movimenti a carattere anti-imperialista e anti-razzista su una scala mondiale. Costruì e smantellò perennemente reti di collegamento, mobilitando ingenti risorse materiali fornite dallo Stato sovietico, ma anche risorse simboliche e culturali che diffusero un po’ ovunque le visioni e i linguaggi del comunismo. La sua attività si svolse lungo un asse centro-periferia che si voleva operativo e coeso, ma in realtà creò o influenzò connessioni molto più ampie anche se molto meno funzionali, non necessariamente espressione delle intenzioni degli attori in scena.
Sotto questo profilo, il fuoco della ricostruzione storica dovrebbe spostarsi dal classico tema della subordinazione o insubordinazione dei partiti nazionali alle strategie di Mosca, al tema delle molteplici implicazioni, significati e pratiche che l’azione dei comunisti promosse in una prospettiva globale. Dopo il giugno 1943, l’apparato del Comintern venne incorporato nella burocrazia del Partito comunista sovietico, divenendo il suo Dipartimento internazionale. Nei due anni successivi, si verificò un enorme salto di qualità del movimento comunista, che acquisisce dimensioni di massa mai viste prima in molti paesi europei e fuori d’Europa. Il prestigio conquistato dall’Unione Sovietica grazie alla vittoria militare sul nazismo e la partecipazione dei comunisti alle resistenze antifasciste in Europa e anti-imperialiste in Asia rappresentarono una duplice fonte di nuova legittimità, che rilanciava l’idea di un soggetto portatore di una “modernità alternativa” al capitalismo, alle sue crisi e degenerazioni nel periodo tra le due guerre. Questa nuova dimensione di massa del comunismo internazionale poggiava sull’esistenza di leader e quadri dirigenti sopravvissuti al terrore staliniano e ai massacri anticomunisti, sull’accumulo di collegamenti transnazionali che non si interruppero mai completamente, sulla capacità di veicolare discorsi classisti e nazionali destinati a lanciare ipoteche credibili sulle nuove generazioni nel mondo del dopoguerra.
Questo capitale politico consentì ai comunisti di esercitare una significativa influenza combinando vocazione internazionalista e nazionalizzazione dopo la Seconda guerra mondiale, principalmente nel Terzo Mondo. I tentativi di ricostruire organizzazioni internazionali del comunismo diverse dal Comintern ebbero invece vita breve e stentata. Nel 1947 Stalin creò il Cominform, un organismo limitato all’Europa e incentrato sulla guerra fredda, che non ebbe alcun ruolo nell’Asia rivoluzionaria. Dopo il 1956, i successori di Stalin convocarono conferenze del comunismo mondiale rivolte soprattutto a includere i partiti dei paesi emergenti dalla fine del colonialismo, ma la rottura tra Unione Sovietica e Cina ne compromise il significato. L’eredità del Comintern conobbe un inesorabile logoramento. Oggi vediamo però meglio che il tramonto della tradizione internazionalista del comunismo non fu un caso a sè stante, legato alle fratture del “campo socialista” e al declino ideologico del marxismo-leninismo. Fu anche l’annuncio del tramonto di tutti gli internazionalismi, in un mondo che nell’ultimo mezzo secolo ha portato all’estremo la contraddizione esplosiva tra la globalizzazione economica e il nazionalismo risorgente della politica.
Qui di seguito alcuni documenti tratti dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli sulla Terza Internazionale tra i quali spiccano le pubblicazioni in differenti lingue del Primo Congresso del Komintern, il periodico in lingua russa dell’Internazionale comunista, gli atti sulla questione coloniale, l’intervento del segretario dell’organizzazione Georgi Dimitrov contro il fascismo che apre la stagione dei “fronti popolari”.
La Resistenza. Una storia europea
Descrizione
Dalla Resistenza è nata una coscienza europea. Aspetto questo certamente da non sopravvalutare ma neppure da sottovalutare, poiché ha contribuito in modo determinante a ricostruire l’identità europea nel periodo successivo alla guerra. Se è incontestabile, precisa Wieviorka, che la resistenza sia stata un fenomeno insieme nazionale e patriottico, è anche vero che in Europa occidentale è stata anche un fenomeno europeo e progressista, sotto una doppia influenza: da una parte gli anglo-americani hanno contribuito, attraverso il loro sostegno, a modellarla, in termini ideologici e organizzativi; dall’altra i movimenti clandestini, di fronte ad un’occupazione barbara e sanguinosa, hanno dovuto lasciare le rive del patriottismo per abbracciare orizzonti più ampi.
Tutto questo, sottolinea Wieviorka, indica una differenza significativa che distingue la prima guerra mondiale dalla seconda. Tra il 1914 – o il 1915 – e il 1918, quando i belligeranti avevano combattuto prima di tutto per difendere il loro paese.
Conosci gli autori
Antonino De Francesco (Milano, 1954) è professore ordinario di storia moderna presso l’Università degli studi di Milano ed attualmente ricopre l’incarico di Direttore del Dipartimento di Studi storici. I suoi interessi di ricerca fanno centro sull’epoca rivoluzionaria e napoleonica, nonché sull’Ottocento politico italiano. Fra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano: Storie dell’Italia rivoluzionaria e napoleonica (1796-1814), Milano, Bruno Mondadori 2016; The Antiquity of the Italian Nation.The Cultural Origins of a Political Myth in Modern Italy (1796-1943), Oxford, Oxford University Press 2013; Republics at War (1776-1840). Revolutions, Conflicts and Geopolitics in Europe and the Atlantic World (con P. Serna, J. Miller), London, Palgrave 2013; La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale, Milano, Feltrinelli 2012; L’Italia di Bonaparte. Politica, statualità e nazione nell’Italia tra due rivoluzioni (1796-1821), Torino, UTET 2011.
Olivier Wieviorka, storico contemporaneista. Professore all’École Normale Supérieure di Cachan. Membro del comitato di redazione della rivista “Vingtième siècle”, e della rivista “L’Histoire. Specialista riconosciuto della Resistenza e della Seconda guerra mondiale, a cui ha dedicato diversi libri. Ricordiamo, tra questi, Lo sbarco in Normandia (il Mulino 2009) e Histoire de la résistance. 1940- 1945 (Perrin 2013), un’opera acclamata dalla critica, premiata dall’Académie française e apprezzata dal pubblico. Ha diretto, inoltre, insieme a Jean Lopez, Les mythes de la Seconde Guerre mondiale (Perrin 2015). L’ultimo suo libro tradotto in italiano è Storia della Resistenza nell’Europa occidentale. 1940-1945 (Einaudi 2018; versione originale Perrin 2017).