La liberazione sessuale
Capitolo 7
Gli ultimi movimenti
Ultimi tra i movimenti a entrare sulla scena, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, il Women’s Liberation Movement e il Gay Liberation Movement “capitalizzano” la rivoluzione del gusto e della comunicazione degli anni precedenti. È spesso presente l’urgenza pedagogica interna: A woman’s work is never done, As you become a woman.
Explicit but not exploitative
La grafica delle loro pubblicazioni è la più composita dal punto di vista stilistico. La rappresentazione dei corpi e di una sessualità disinibita diventa esplicita, ma non exploitative – cosa che invece le donne rimproveravano ad altre componenti e pubblicazioni del Movement – come nel “volantone” multicolore, graficamente di grande effetto, o nella lineare copertina di Women, o nella copertina caratterizzata da un intento sì caricaturale ma non offensivo (di un maestro dei fumetti, Robert Crumb, su uno dei giornali più importanti della controcultura, il Berkeley Barb). Viene impiegata sia una stilizzazione molto libera (anche dei caratteri disegnati) nelle copertine (Off Our Back, Women, Win, Up from Under), sia la fotografia con funzione declaratoria (Come Out), sia una grafica improntata alla cultura mistico-psichedelica dell’LSD, come quella del mandala di Rat.
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Come si è potuto vedere già nei pannelli precedenti, il tema della liberazione sessuale assume una rilevanza particolare sia nella mentalità che nella pubblicistica underground tra gli anni ’60 e ’70. Non si tratta solo di libertà dalla morale oppressiva e perbenista dell’epoca ma anche di battaglie politiche per il riconoscimento, i diritti e la pari dignità sia delle donne che degli omosessuali.
Nelle immagini proposte di seguito, tratte dal patrimonio della Fondazione, si possono vedere alcune delle pubblicazioni e illustrazioni tra le più rappresentative di questi movimenti.
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An army of lovers cannot lose!
La rivista della controcultura americana Come out! pubblica nel numero 7 del dicembre-gennaio 1969 – 1970 un documento scaturito dalla Revolutionary People’s Constitutional Convention, che si concluse il 1° settembre 1969 (Labor Day) a Phliadelphia, con la partecipazione di oltre diecimila attivisti e militanti. Lo svolgimento della Convention fu caratterizzato da un’accesa dialettica tra la componente maschile e quella femminile del movimento gay, che si rispecchiò anche nei distinguo della comunità femminile etero e omosessuale sulla modalità di elaborazione della dichiarazione finale.
La fonte è tratta dalla sezione Periodici della controcultura americana conservata nel Patrimonio della Fondazione.
NOI CHIEDIAMO
Tutto il potere al popolo! La rivoluzione non sarà completa fino a quando tutti gli uomini non saranno liberi di esprimere il loro reciproco amore in ambito sessuale. Noi affermiamo la sessualità del nostro amore. La norma sociale che ci impedisce di esprimere il nostro amore totale e rivoluzionario è il sessismo. Il sessismo è la teoria o la pratica che il sesso o l’orientamento sessuale degli esseri umani assegni ad alcuni il diritto a determinati privilegi, poteri o ruoli, mentre ad altri neghi il dispiegamento del loro potenziale. Nel contesto della nostra società, il sessismo si manifesta primariamente attraverso la supremazia maschile e lo sciovinismo eterosessuale. Se a breve termine il sessismo può favorire determinate persone o gruppi, a lungo termine non può soddisfare tutti e impedisce la formazione di una completa consapevolezza sociale tra uomini eterosessuali. Il sessismo è irrazionale, iniquo e contro-rivoluzionario. Il sessismo impedisce la solidarietà rivoluzionaria delle persone. Noi chiediamo che la lotta contro il sessismo sia riconosciuta come parte essenziale della battaglia rivoluzionaria. Noi chiediamo che tutti i rivoluzionari si confrontino individualmente e collettivamente con il proprio sessismo. Noi consideriamo l’affermazione di Huey P. Newton sulla liberazione dei gay e delle donne un atto d’avanguardia e rivoluzionario. Noi riconosciamo il Black Panther Party come l’avanguardia della rivoluzione in America. Non ci può essere rivoluzione senza di noi! Un esercito di persone che amano non può esser sconfitto.
NOI CHIEDIAMO:
1) Il diritto di essere gay in qualsiasi momento e in ogni luogo
2) Il diritto alla libera modificazione fisica e al cambiamento del sesso su richiesta
3) Il diritto a vestirsi e agghindarsi liberamente
4) Che qualsiasi forma umana di espressione sessuale meriti la protezione della legge e abbia il consenso della società
5) Che ogni bambino abbia diritto a crescere in un ambiente non sessista e non possessivo, da creare sotto la responsabilità e con il contributo di tutti
6) Che un libero sistema educativo presenti l’intera gamma della sessualità umana, senza imporre alcuna forma o stile
7) Che il linguaggio venga modificato per non far prevalere alcun genere
8) Che il sistema giudiziario sia gestito dal popolo nei tribunali del popolo; che tutti siano processati dai propri pari
9) Che i gay siano rappresentati in tutte le istituzioni comunitarie e governative
10) Che le religioni organizzate siano condannate per aver favorito il genocidio dei gay e vengano dissuase dalla diffusione dell’odio e della superstizione
11) Che alla psichiatria e alla psicologia sia imposto di non prendere posizione a favore di una qualsiasi forma di sessualità, rafforzando tale preferenza attraverso elettroshock, lavaggio del cervello, imprigionamento, etc
12) L’abolizione della famiglia nucleare perché tramanda le false categorie di omosessualità e eterosessualità
13) L’immediato rilascio e risarcimento dei gay e degli altri prigionieri politici dai penitenziari e dagli istituti psichiatrici; il sostegno dei prigionieri politici gay per tutti gli altri prigionieri politici
14) Che i gay possano decidere il futuro delle proprie comunità
15) Che i gay condividano in egual misura il lavoro e i prodotti della società
16) Che la tecnologia sia usata per liberare tutti i popoli del mondo da lavori ingrati
17) La piena partecipazione dei gay nelle forze armate rivoluzionarie
18) In ultimo, la fine della dominazione di un individuo su un altro.
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Come out \ controcultura americana e diritti civili
Le riviste della controcultura americana, conservate da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, testimoniano la profondità storica delle battaglie per il pieno ottenimento dei diritti civili.
In particolare «Come out!», pubblicata dal novembre 1969, della quale riportiamo l’editoriale del primo numero e alcuni estratti grafici e fotografici. Sfidando i pregiudizi e la violenta repressione poliziesca, esemplificata il 28 giugno 1969 dall’assalto al locale gay Stonewall Inn di New York, che darà origine dall’anno successivo alla mobilitazione annuale del Liberation Day (più noto come Gay Pride), i gruppi e le organizzazioni di omossessuali iniziano pubblicamente quella lunga marcia che non è ancora terminata.
COME OUT FOR FREEDOM! COME OUT NOW!
POWER TO THE PEOPLE! GAY POWER TO GAY PEOPLE! COME OUT OF THE CLOSET BEFORE THE DOOR IS NAILED SHUT!
COME-OUT, A NEWSPAPER FOR THE HOMOSEXUAL COMMUNITY, dedicates itself to the joy; the humor, and the dignity of the homosexual male and female. COME-OUT has COME OUT to fight for the freedom of the homosexual; to give voice to the rapidly growing militancy within our community; to provide a public forum for the discussion and clarification of methods and actions nexessary to end our oppression. COME-OUT has COME OUT indeed for “life, liberty and the pursuit of happiness”.
Make no mistake about our oppression: It is real, it is visible, it is demonstrable. IN NEW YORK A HÒMOSEXUAL IS LEGITIMATE AS AN INDIVIDUAL BUT ILLEGITIMATE AS A PARTICIP ANT IN A HOMOSEXUAL ACT. Hell, every homosexual and lesbian in this country survives solely by sufferance, not by law or even that cold state of grace known as tolerance. Our humanity is questioned, our choice of housing is circumscribed, our employment is tenuous, OUR FRIENDLY NEIGHBORHOOD TAVERN IS A MAFIOSO-ON-THE-JOB TRAINING SCHOOL FOR DUM-DUM HOODS. It is just such grievances as these which have sparked the revolutionary movements of history.
COME-OUT salutes militant oppressed groups, offers aid, but realizes that very often other oppressed people are also our own oppressors. THROUGH MUTUAL RESPECT, ACTION, AND EDUCATION COME-OUT HOPES TO UNIFY BOTH THE HOMOSEXUAL COMMUNITY AND OTHER OPPRESSED GROUPS INTO A COHESIVE BODY OF PEOPLE WHO DO NOT FIND THE ENEMY IN EACH OTHER.
COME-OUT will hasten the day when it becomes not only passe, but actual political suicide to speak of further repression of the homosexual. WE ARE COMING OUT IN COMMUNITY, A COMMUNITY THAT NUMBERS IN THE MILLIONS. We shall aggressively promote the use of the very real and potent economic power of Gay people throughout this land in order to further the interests of the homosexual community. We shall convince society at large of the reality of homosexual political power by the active use thereof.
We will not be gay bourgeoisie, searching for the sterile “American dream” of the ivy-covered cottage and the good corporation job, but neither will we tolerate the exclusion of homosexuals from any area of American life.
Because our oppression is based on sex and the sex roles which oppress us from infancy, we must explore these roles and their meanings. We must recognize and make others recognize that BEING HOMOSEXUAL SAYS ONLY ONE THING: EMOTIONALLY YOU PREFER YOUR OWN SEX. IT SAYS NOTHING ABOUT YOUR WORTH, YOUR VALUE AS A BEING. Does society make a place for us… as a man? A woman? A homosexual or lesbian? How does the family structure affect us? What is sex, and what does it mean? What is love? As homosexuals, we are in a unique position to examine these questions from a fresh point of view. You’d better believe we are going to do so – that we are going to transform the society at large through the open realization of our own consciousness.
Dall’editoriale del primo numero di «Come out!», 1969
Photogallery
Di seguito, alcuni estratti grafici e fotografici tratti dalla Rivista «Come out!», pubblicata dal novembre 1969. I numeri delle riviste della controcultura americana sono conservati presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli:
Dal patrimonio: in occasione della chiusura della mostra, la Fondazione propone il Kit didattico ‘900 la Stagione dei Diri
Come out \ controcultura americana e diritti civili
Per cosa lottare – Le frontiere del progressismo
Il diritto alla libertà per tutti
Dal patrimonio: in occasione della chiusura della mostra, la Fondazione propone il Kit didattico ‘900 la Stagione dei Diritti \ Scarica il kit e visita il portale Scuoladicittadinanzaeuropea.it
Il Novecento è il secolo dei grandi cambiamenti e delle grandi conquiste: ad ogni livello della vita collettiva ha scardinato il sistema costituito.
Momenti di ribellione, lotte, riscatti hanno segnato il processo di emancipazione di soggetti prima tenuti ai margini della vita pubblica (lavoratori, donne, giovani, minoranze, popoli coloniali, etc.).
Questo processo non è stato lineare ma è stato segnato anche da arretramenti, dalla confisca di diritti dati per acquisiti, da contrattazioni sulla base dei rapporti di forza tra istanze e interessi contrapposti in cui si articolava la società.
Per i movimenti rivendicativi del Novecento è stata la piazza il luogo fisico in cui è avvenuta la presa di parola. Sono state le piazze a fare la storia, con i loro cortei, i loro assembramenti, i loro comizi, i loro momenti di condivisione e affermazione di parole d’ordine e istanze, come una nuova agorà decisionale in grado di ridisegnare i contorni della cittadinanza e della comunità.
In alcuni casi la piazza ha rappresentato il luogo in cui si sono affermate forze che hanno chiesto e ottenuto la marginalizzazione e l’annullamento dei diritti di interi gruppi sociali. Il Novecento insegna che la conquista dei diritti non deve essere data per scontata e che la loro stessa definizione dipende da condizioni sociali, culturali e politiche in continuo cambiamento. Proprio per questo la loro difesa e il loro ampliamentodipendono dall’impegno di tutti noi.
Come out \ controcultura americana e diritti civili
Le riviste della controcultura americana, conservate da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, testimoniano la profondità storica delle battaglie per il pieno ottenimento dei diritti civili. In particolare «Come out!», pubblicata dal novembre 1969, della quale riportiamo l’editoriale del primo numero e alcuni estratti grafici e fotografici. Sfidando i pregiudizi e la violenta repressione poliziesca, esemplificata il 28 giugno 1969 dall’assalto al locale gay Stonewall Inn di New York, che darà origine dall’anno successivo alla mobilitazione annuale del Liberation Day (più noto come Gay Pride), i gruppi e le organizzazioni di omossessuali iniziano pubblicamente quella lunga marcia che non è ancora terminata.
COME OUT FOR FREEDOM! COME OUT NOW!
POWER TO THE PEOPLE! GAY POWER TO GAY PEOPLE! COME OUT OF THE CLOSET BEFORE THE DOOR IS NAILED SHUT!
COME-OUT, A NEWSPAPER FOR THE HOMOSEXUAL COMMUNITY, dedicates itself to the joy; the humor, and the dignity of the homosexual male and female. COME-OUT has COME OUT to fight for the freedom of the homosexual; to give voice to the rapidly growing militancy within our community; to provide a public forum for the discussion and clarification of methods and actions nexessary to end our oppression. COME-OUT has COME OUT indeed for “life, liberty and the pursuit of happiness”.
Make no mistake about our oppression: It is real, it is visible, it is demonstrable. IN NEW YORK A HÒMOSEXUAL IS LEGITIMATE AS AN INDIVIDUAL BUT ILLEGITIMATE AS A PARTICIP ANT IN A HOMOSEXUAL ACT. Hell, every homosexual and lesbian in this country survives solely by sufferance, not by law or even that cold state of grace known as tolerance. Our humanity is questioned, our choice of housing is circumscribed, our employment is tenuous, OUR FRIENDLY NEIGHBORHOOD TAVERN IS A MAFIOSO-ON-THE-JOB TRAINING SCHOOL FOR DUM-DUM HOODS. It is just such grievances as these which have sparked the revolutionary movements of history.
COME-OUT salutes militant oppressed groups, offers aid, but realizes that very often other oppressed people are also our own oppressors. THROUGH MUTUAL RESPECT, ACTION, AND EDUCATION COME-OUT HOPES TO UNIFY BOTH THE HOMOSEXUAL COMMUNITY AND OTHER OPPRESSED GROUPS INTO A COHESIVE BODY OF PEOPLE WHO DO NOT FIND THE ENEMY IN EACH OTHER.
COME-OUT will hasten the day when it becomes not only passe, but actual political suicide to speak of further repression of the homosexual. WE ARE COMING OUT IN COMMUNITY, A COMMUNITY THAT NUMBERS IN THE MILLIONS. We shall aggressively promote the use of the very real and potent economic power of Gay people throughout this land in order to further the interests of the homosexual community. We shall convince society at large of the reality of homosexual political power by the active use thereof.
We will not be gay bourgeoisie, searching for the sterile “American dream” of the ivy-covered cottage and the good corporation job, but neither will we tolerate the exclusion of homosexuals from any area of American life.
Because our oppression is based on sex and the sex roles which oppress us from infancy, we must explore these roles and their meanings. We must recognize and make others recognize that BEING HOMOSEXUAL SAYS ONLY ONE THING: EMOTIONALLY YOU PREFER YOUR OWN SEX. IT SAYS NOTHING ABOUT YOUR WORTH, YOUR VALUE AS A BEING. Does society make a place for us… as a man? A woman? A homosexual or lesbian? How does the family structure affect us? What is sex, and what does it mean? What is love? As homosexuals, we are in a unique position to examine these questions from a fresh point of view. You’d better believe we are going to do so – that we are going to transform the society at large through the open realization of our own consciousness.
Dall’editoriale del primo numero di «Come out!», 1969
Photogallery
Di seguito, alcuni estratti grafici e fotografici tratti dalla Rivista «Come out!», pubblicata dal novembre 1969. I numeri delle riviste della controcultura americana sono conservati presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli:
Per cosa lottare – Le frontiere del progressismo
Descrizione
Democrazia radicale e cambiamento climatico, femminismo e orgoglio LGBT, black activism e nuovo internazionalismo, inclusione al tempo dei big data e migrazioni come processi di ridefinizione della cittadinanza.
Quali sono oggi i temi di frontiera che tracciano le rotte per una nuova politica progressista? Guardando alle tesi più radicali della letteratura internazionale, il libro prende in esame le prospettive che hanno il coraggio di cambiare e di proporre orizzonti per cui valga la pena lottare.
Una raccolta di saggi che, da prospettive differenti e con un approccio globale che guarda ai processi di liberazione ed emancipazione a partire dalla nostra interdipendenza planetaria, pensano al progresso come all’esito di azioni reali e concrete, messe in campo da soggetti e gruppi che si attivano, si mobilitano, fanno e cambiano la storia.
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La pubblicazione è disponibile in tutte le Librerie Feltrinelli
Conosci i curatori
Corrado Fumagalli è un ricercatore e uno dei fondatori di A-id: Agenda for International Development. I suoi interessi di ricerca riguardano innovazione politica, pluralismo, disaccordo e rappresentanza.
Enrico Biale insegna Etica Pubblica all’Università del Piemonte Orientale e Sociologia all’Università di Genova. Si occupa di teoria normativa della democrazia con particolare attenzione alla democrazia deliberativa e ai partiti.
Il diritto alla libertà per tutti
Parigi, Sabato 19 giugno 1937. È il giorno dei funerali di Carlo e Nello Rosselli. Quella scena, nonché la scenografia, ma anche la sceneggiatura (come testimonia l’album fotografico dei funerali che qui riproduciamo), esprimono almeno due cose.
La prima: l’occasione in cui gli antifascisti possono darsi pubblicamente appuntamento per omaggiare un proprio morto caduto “per mano nemica”. Dal 1924, dai funerali di Giacomo Matteotti, non accadeva. Il funerale, ogni volta era stato un rito “clandestino” e “sotto sorveglianza” del tiranno e della sua polizia. La polizia del tiranno è comunque lì ma non può far altro che assistere. Non detiene il possesso del campo, né può impedire alcunché.
La seconda: il funerale pubblico di un “morto per le proprie idee”, è la possibilità di esercitare il diritto di parola della sua parte trasformando il lutto in occasione di lotta. Il rito del dolore diventa la testimonianza del guerriero che “non viene a patti”.
Riconsideriamo la scena concreta di quei funerali almeno come ce la consegnano la cronaca e le fotografie, in particolare si veda il testo di Chiara Colombini sui funerali in questo volume.
Cominciamo dalla cronaca. Centocinquantamila persone, gli interventi di: Alberto Cianca per l’antifascismo italiano; di Garcia Oliver a nome dei miliziani che in Spagna combattono per la libertà, di Chaligné, deputato del partito radicale; Georges Cogniot, deputato del Pcf; di Alexandre Bracke deputato socialista; di Emile Khan, in nome di Victor Basch, presidente della lega dei Diritti del’Uomo. In apertura, nella sala delle conferenze della “Maison des Syndicats”, l’esecuzione della Settima sinfonia di Beethoven, una composizione che comunica vitalismo.
Le fotografie. La più simbolica, credo, è quella in cui Aldo Garosci, cammina da solo esibendo i simboli di quella lotta e del perché di quella morte: il casco e la tuta da miliziano di combattente volontario in Spagna.
Lo stile e il messaggio è rendere omaggio all’idea. L’idea è quella dell’azione diretta, non della parola. Scelta non casuale collegata al testo che “Giustizia e Libertà” pubblica nel numero che stampa il 18 giugno 1937 (il giorno prima dei funerali e che è distribuito ai funerali) e che contiene, tra gli altri un testo inedito: il discorso che Carlo Rosselli aveva tenuto il 10 febbraio 1937 ad Argenteuil, nella banlieu Nord Ovest di Parigi, ai volontari in partenza per la Spagna, proposto col titolo Perché andammo in Spagna. Il nocciolo politico di quel testo è nelle righe di esordio, laddove Rosselli enuncia che cosa voglia dire combattere per la libertà.
Dopo lunghi anni di esilio – dice Carlo Rosselli in quell’occasione – io confesso che fu solo quando varcai le frontiere della Spagna, quando mi iscrissi nelle milizie popolari e rivestii la tuta, divisa simbolica del lavoro armato e imbracciai un fucile, che mi sentii ridiventare uomo libero, nella pienezza della mia dignità. All’estero siamo sempre e sempre saremo dei minorati, degli esuli. In Spagna no. In Spagna ci sentiamo pari, fratelli. Dopo essere stati obbligati tanti anni a chiedere, magari solo il sacrosanto diritto al lavoro e ala residenza, in Spagna abbiamo la gioia di dare.
La decisione di combattere include alcuni aspetti che è opportuno considerare.
Il primo dato riguarda l’elemento della militanza. Si combattere in relazione a un’idea di riscatto che si ha e si vuol comunicare.
Il secondo dato, che discende direttamente da questo, rinvia al tema della scelta.
La scelta di voler andare in guerra, in una guerra che non riguarda il proprio territorio, ma che si svolge in terra straniera, a un primo livello dice che ci sono battaglie che si condividono e a cui si aderisce perché sentite come proprie. La categoria su cui lavorano è quella della solidarietà. Ma quella scelta non testimonia solo di questo sentimento (anche se, certamente, conta).
Il combattentismo in casa d’altri, sin dalla fine del Settecento testimonia di una idea di libertà. Così è per Lafayette che va a combattere in America dalla parte con i rivoluzionari contro l’Inghilterra. Così è per Santorre di Santarosa a che va in Grecia e lì muore nel 1825, perché quella guerra per la libertà è anche la sua ed è quella che non può combattere in Italia.
Da quel momento ogni volta che è in gioco la libertà da conquistare e rompere il giogo dell’oppressione, andare a combattere in casa d’altri (il combattentismo civile) Non è un omaggio agli altri, ma un modo per confermare che la battaglia per la libertà riguarda chiunque, ovunque.
Quel sentimento che inizia a prendere corpo nell’Europa della Restaurazione con l’idealizzazione dell’eroe civile che si trasforma in eroe nazionale, dell’uomo non destinato alle armi o alla gloria, ma che sente che la sua battaglia per la libertà non si limita a quella che può combattere a casa propria. Nella condizione dell’impossibilità di combatterla in alcuni momenti storici, allora la sua scelta è di non perdere l’opportunità laddove essa si presenti perché convinto che per quella via anche la battaglia a casa sua, può diventare possibile.
È un’esperienza che attraversa molti processi e battaglia per l’indipendenza nel corso dell’Ottocento, compreso il Risorgimento italiano (per tutti certamente la Repubblica Romana).
Talvolta si va in guerra in un altro paese per ritrovare il senso di una guerra che si è precedentemente perduta (è ciò che accade ai garibaldini italiani che vanno in Francia a combattere nel 1870 contro la Prussia o che nel 1897 vanno a Creta a combattere per l’indipendenza dell’isola contro i turchi).
È l’esperienza che nel corso del Novecento si riapre con la guerra civile spagnola.
Si va in Spagna tra il 1936 e il 1939 non in nome di un ideale nazionale da difendere, ma di un’idea di libertà da affermare. Le parole di Carlo Rosselli alludono a questo.
Ma non solo. Quel discorso, importante per chi lo pronuncia, e per chi il 10 febbraio lo ha ascoltato, lo diventa anche, mesi dopo, per chi lo legge nel giorno in cui viene pubblicato.
La scelta di includerlo sul settimanale “Giustizia e Libertà” del 18 giugno 1937, il numero pubblicato e distribuito nel giorno dei funerali di Carlo e Nello Rosselli, indica che, contrariamente a quanto pretendeva Mussolini, i morti raccontano la storia, e continuano a raccontarla anche da morti. In ogni caso la loro morte non li mette a tacere, come invece si proponevano i loro assassini.
Questo è, probabilmente, il motivo principale che spiega la scelta, allora, da parte di “Giustizia e Libertà” di includere quel testo nel numero che rende omaggio al “Capo” come si intitola l’editoriale che scrive Garosci e che apre quel numero.
Tuttavia siccome rileggere i testi non serve solo a ricostruisce la scena ma ha un valore anche per chi, in altra condizione e situazione oggi, ritorna su quel testo, e su quell’operazione editoriale, allora è anche opportuno sottolineare un secondo motivo. Leggere quel testo è importante anche per noi, ora.
La scelta della battaglia per la libertà e di quella morte dice anche un’altra cosa che, probabilmente, non era necessario precisare nel 1937, ma che è essenziale e imprescindibile per noi dichiarare oggi, proprio per evitare utilizzazioni strumentali e demagogiche Ovvero il fatto che si debba distinguere.
È possibile che qualcuno assimili le Brigate di Spagna alle Brigate di Siria. Allora non è inutile sottolineare dove sta il punto di frattura e dove quel passaggio è falso.
La battaglia per la propria libertà passa anche per la scelta di aderire alle battaglie degli altri se il nemico è il tiranno, se quella battaglia per la libertà ha come fondamento il riconoscimento dell’idea di eguaglianza, di pari dignità, ovvero se fondata su un principio universalistico.
Diversamente, si aderisce a un progetto di dominio sugli altri spesso arrogandosi il diritto di decidere della loro morte e dichiarando di possedere il momento del loro fine vita, magari ricorrendo strumentalmente alla retorica di una battaglia per la libertà.
È una retorica falsa. Al centro di quel gesto, che include spesso anche il sacrificio di sé, presiede l’istanza di onnipotenza, di dominio del corpo degli altri, e di totale amministrazione del proprio. Al di là della retorica, la scelta di andare a combattere in casa d’altri – per come avviene, per i gesti che compie, per la modalità di uccisione del nemico, spesso, per il “ritorno a casa” trasformandosi in “uomo-bomba” – dice essenzialmente due cose: colpire ovunque e colpire chiunque.
Quel percorso, in tutti i suoi diversi stadi, è la dichiarazione di qualcuno che si candida a superuomo. Di qualcuno che interpreta quel gesto come obliterazione di ingresso nella sfera del potere. Non ci parla di riscatto, ma di dominio del corpo, della vita e della morte degli altri. Qualcosa che appartiene al rituale delle religioni politiche della morte più che narrarci la incerta e disperata lotta di emancipazione dei «dannati della terra».
Guarda l’album fotografico:
La photogallery propone un breve percorso che ha origine dalle immagini familiari di Amelia Rosselli e dei figli. Dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli una selezione di foto dall’album dei funerali, conservato nel fondo Angelo Tasca, e le copertine di alcuni opuscoli della Guerra civile di Spagna che alludono all’intervento dei volontari della brigate internazionali a fianco della repubblica.