Controcultura e psichedelia
Capitolo 2
I movimenti undergroundNella grafica della pubblicistica underground, e certamente anche nei contenuti politico-culturali delle sue rappresentazioni grafiche, sta la provocazione forse più radicale nei confronti della cultura dominante. Negli anni Cinquanta c’erano stati i Beats, il movimento contro la segregazione razziale, il crescente rifiuto della morale sessuofobica e del conformismo culturale. Negli anni Sessanta tutti quei fili diventano movimenti di massa, che largamente si intersecano e cercano un “linguaggio” il più possibile comune. Non si arriverà mai a quello, anche se dopo la fine del decennio sarà addirittura l’editoria “normale” ad adottare i modi espressivi e i colori anticonvenzionali della stampa underground.
Espressioni e provocazioni
Non tutto il movimento accetta di rappresentarsi con i simboli e le immagini del misticismo orientaleggiante (qui, occasionalmente: The Fifth Estate, Rat) o una esplicita “cultura delle droghe” (la campagna per la marijuana nel Sunset Free Press; l’esaltazione dell’LSD nell’Oracle); tutti adottano invece un eclettismo espressivo in cui sono presenti – oltre agli abituali disegni, caricature, foto e fotomontaggi – i fumetti, che faranno la fortuna di Robert Crumb o Gilbert Sheldon (Iconoclast, East Village Other); i corpi nudi, come quelli di John Lennon e Yoko Ono o di Allen Ginsberg e Peter Orlovsky in una copertina famosa (Evergreen); le decorazioni sinuose, i simboli, i caratteri e le figure disegnati come un tutt’uno nelle pagine, e, quando i mezzi lo consentono, le fantasmagorie multicolori della psichedelia.
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Di seguito si possono visionare le riproduzioni di alcune copertine delle più rappresentative riviste underground americane degli ultimi anni ’60 e dei primi ’70, parte del patrimonio della Fondazione G. Feltrinelli. Si tratta, in particolare, di Rat, The Fifth Estate, Ramparts, Sunset Free Press, The East Village, Iconoclast.
Le grafiche e gli stili sono quelli che di lì a poco entreranno a far parte dell’immaginario artistico e culturale degli anni ’70. E anche i temi, diversamente dal Pannello 1, rispecchiano queste tendenze: le religioni orientali, le droghe, la psichedelia.
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dal sito di Fondazione G. Feltrinelli
Sessantotto globale, Sessantotto plurale
Un estratto dall’omonimo articolo di
Il Sessantotto è stato una temperie culturale e politica che ha spazzato gli angoli più diversi del globo, tanto da configurarsi come uno snodo storico di una World History, forse un passaggio chiave per percepire nella mentalità collettiva la dimensione globale assunta da sfide, problemi e interconnessioni che caratterizzano le società contemporanee.
Guardando ai tratti comuni di un fenomeno che, come si vedrà sulla base dei documenti presentati, è plurale, si potrebbe parlare di cosmopolitismo della contestazione dell’autorità, su tutti i piani.
Sulla base di una mobilitazione permanente e continua le contestazioni del Sessantotto si sono sostanziate innanzitutto come una rottura delle catene di trasmissione generazionale sulla base della rivendicazione di identità diverse rispetto ai contesti di appartenenza rappresentati dalla generazione adulta, con le sue tradizioni, i suoi costumi, la sua etica, le sue istituzioni.
Usa: “Rat”, 8-21 May 1970, cover
Scarica la fonte tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Siamo di fronte a nuove generazioni, cresciute in un contesto di maggior o crescente benessere rispetto a quello sperimentato dai padri nella loro giovinezza, che, proprio per questo, aspirano a qualcosa di più e di diverso e percepiscono come ormai insopportabili disuguaglianze, promesse non mantenute e costrizioni incarnate nei contesti sociali, culturali e politici nei quali iniziano a muovere i loro passi coscientemente.
In linea generale quello del 1968 è un movimento di trasgressione delle regole e di richieste di altri modi di vivere e di convivere. Un movimento composto principalmente da giovani, che non si integrano passivamente nel mondo dei padri.
Questo spiega la rottura di tabù e convenzioni, che ha rappresentato anche una rivoluzione sul piano dei costumi e dell’etica. Come ricorda la curatrice dell’Annale Memory in Movements: 1968 in 2018, Donatella della Porta, non di solo costume e di etica però si tratta. Ma di una critica profonda, irriverente e radicale, alla società, ai suoi equilibri (o disequilibri), di una rivendicazione di giustizia sociale e di riconoscimento di identità collettive alternative.
Guardando al fenomeno più in profondità, non può però che emergere il peso esercitato dai contesti di origine diversa in cui i vari movimenti insorgono dando luogo a una contestazione che sarebbe opportuno declinare al plurale, sia per comprendere il concreto sorgere e operare del movimento contestativo nelle specifiche realtà di riferimento, sia per cogliere la ricchezza di istanze presenti nei suoi differenti rivoli, sia, ancora, per poterne comprendere le conseguenze e le eredità.
Ramparts, aprile 1969
Kit didattico: Opportunità per tutti
Come out \ controcultura americana e diritti civili
Chi soddisfa la domanda di storia?
Underground Press. La controcultura statunitense nelle collezioni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Kit didattico: Opportunità per tutti
Il 14,5% della popolazione mondiale è povero: oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, tra queste, una su tre ha meno di 13 anni. Cosa significa essere poveri? La povertà è un problema complesso e si accompagna al tema delle disuguaglianze. Lo sapevi che il 10% della popolazione globale non ha accesso ad efficienti servizi di acqua potabile? Che nel 2011 65 milioni di ragazze non hanno avuto accesso all’istruzione primaria e secondaria?
Il kit didattico Opportunità per tutti stimola una riflessione su disuguaglianza e giustizia sociale collegati al tema della “cittadinanza” e prende in esame il programma di assistenza sociale brasiliano Bolsa Familia finalizzato a ridurre la povertà anche attraverso l’accesso a istruzione, servizi sanitari.
Come out \ controcultura americana e diritti civili
Le riviste della controcultura americana, conservate da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, testimoniano la profondità storica delle battaglie per il pieno ottenimento dei diritti civili. In particolare «Come out!», pubblicata dal novembre 1969, della quale riportiamo l’editoriale del primo numero e alcuni estratti grafici e fotografici. Sfidando i pregiudizi e la violenta repressione poliziesca, esemplificata il 28 giugno 1969 dall’assalto al locale gay Stonewall Inn di New York, che darà origine dall’anno successivo alla mobilitazione annuale del Liberation Day (più noto come Gay Pride), i gruppi e le organizzazioni di omossessuali iniziano pubblicamente quella lunga marcia che non è ancora terminata.
COME OUT FOR FREEDOM! COME OUT NOW!
POWER TO THE PEOPLE! GAY POWER TO GAY PEOPLE! COME OUT OF THE CLOSET BEFORE THE DOOR IS NAILED SHUT!
COME-OUT, A NEWSPAPER FOR THE HOMOSEXUAL COMMUNITY, dedicates itself to the joy; the humor, and the dignity of the homosexual male and female. COME-OUT has COME OUT to fight for the freedom of the homosexual; to give voice to the rapidly growing militancy within our community; to provide a public forum for the discussion and clarification of methods and actions nexessary to end our oppression. COME-OUT has COME OUT indeed for “life, liberty and the pursuit of happiness”.
Make no mistake about our oppression: It is real, it is visible, it is demonstrable. IN NEW YORK A HÒMOSEXUAL IS LEGITIMATE AS AN INDIVIDUAL BUT ILLEGITIMATE AS A PARTICIP ANT IN A HOMOSEXUAL ACT. Hell, every homosexual and lesbian in this country survives solely by sufferance, not by law or even that cold state of grace known as tolerance. Our humanity is questioned, our choice of housing is circumscribed, our employment is tenuous, OUR FRIENDLY NEIGHBORHOOD TAVERN IS A MAFIOSO-ON-THE-JOB TRAINING SCHOOL FOR DUM-DUM HOODS. It is just such grievances as these which have sparked the revolutionary movements of history.
COME-OUT salutes militant oppressed groups, offers aid, but realizes that very often other oppressed people are also our own oppressors. THROUGH MUTUAL RESPECT, ACTION, AND EDUCATION COME-OUT HOPES TO UNIFY BOTH THE HOMOSEXUAL COMMUNITY AND OTHER OPPRESSED GROUPS INTO A COHESIVE BODY OF PEOPLE WHO DO NOT FIND THE ENEMY IN EACH OTHER.
COME-OUT will hasten the day when it becomes not only passe, but actual political suicide to speak of further repression of the homosexual. WE ARE COMING OUT IN COMMUNITY, A COMMUNITY THAT NUMBERS IN THE MILLIONS. We shall aggressively promote the use of the very real and potent economic power of Gay people throughout this land in order to further the interests of the homosexual community. We shall convince society at large of the reality of homosexual political power by the active use thereof.
We will not be gay bourgeoisie, searching for the sterile “American dream” of the ivy-covered cottage and the good corporation job, but neither will we tolerate the exclusion of homosexuals from any area of American life.
Because our oppression is based on sex and the sex roles which oppress us from infancy, we must explore these roles and their meanings. We must recognize and make others recognize that BEING HOMOSEXUAL SAYS ONLY ONE THING: EMOTIONALLY YOU PREFER YOUR OWN SEX. IT SAYS NOTHING ABOUT YOUR WORTH, YOUR VALUE AS A BEING. Does society make a place for us… as a man? A woman? A homosexual or lesbian? How does the family structure affect us? What is sex, and what does it mean? What is love? As homosexuals, we are in a unique position to examine these questions from a fresh point of view. You’d better believe we are going to do so – that we are going to transform the society at large through the open realization of our own consciousness.
Dall’editoriale del primo numero di «Come out!», 1969
Photogallery
Di seguito, alcuni estratti grafici e fotografici tratti dalla Rivista «Come out!», pubblicata dal novembre 1969. I numeri delle riviste della controcultura americana sono conservati presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli:
Chi soddisfa la domanda di storia?
La corsa di M. Il figlio del secolo, il libro di Antonio Scurati da poco pubblicato per Bompiani, finisce con la recensione Di Ernesto Galli Della Loggia uscita giorni fa sul Corriere della Sera. Oppure, come sembra, potrebbe proseguire e continuare a far discutere. Il botta e risposta tra lo storico e il romanziere ha le caratteristiche di una discussione dal fiato corto, che non ci permette di crescere, è una prova di forza tra posizioni (politiche, culturali, mentali,…) che vogliono misurarsi. A suo modo è un derby. E forse è il caso che rimanga confinato sui campi di gioco.
Una delle cose che probabilmente resteranno della forma che ha preso questa discussione è, come si dice a Milano, «ofelè fa el to mesté» – traduco: «pasticcere, fai il tuo mestiere». Dunque, l’esortazione sarebbe quella che Antonio Scurati smetta di occuparsi di inquadramenti di storia e che torni a scrivere narrativa pura. I bei libri di storia sono lavoro da storici.
Vale per i molti errori, talvolta veri e propri strafalcioni, di cui è pieno il libro (ma mi chiedo: possibile che non ci sia stato un controllo affidato a uno storico di professione?). Deve essere chiaro che al netto degli errori il problema da porre è: di storia e del senso della narrazione della storia hanno diritti di parola solo gli storici? E su Mussolini, sul senso di quella storia italiana, sugli effetti soprattutto nel senso comune e nella sensibilità dell’opinione pubblica, hanno diritto di parola solo gli storici?
L’esortazione di Galli della Loggia avrebbe anche un senso, solo che da molti anni è evidente quanto il processo di costruzione dell’indagine storica e, in particolare, l’apertura di alcuni scavi nel passato non la facciano per primi, né esclusivamente, gli storici. Noi storici, ammesso che ne abbiamo voglia, veniamo sollecitati a ripensare lo scavo e l’indagine intorno a fatti di storia da parte di stimoli, provocazioni e interventi che avvengono al di fuori della disciplina storica.
Tra questi, il primo posto, si potrebbe dire, sta la letteratura. Non è forse vero che Il Dottor Zhivago ci ha costretto a rileggere la Rivoluzione d’Ottobre più dell’opera di E. H. Carr? O che Il Gattopardo ci ha raccontato il Risorgimento con più efficacia di Giorgio Candeloro o di Rosario Romeo? Quanta verità storica c’era e c’è in entrambi? Difficile dirlo.
Prendo ad esempio un fatto: l’analisi e lo scavo intorno alla personalità del terrorista contemporaneo. I testi di letteratura non contengono il vero ma è la letteratura e non la storiografia a contenere quel meccanismo che ci fa entrare nei sentimenti del terrorista, li riporta alla luce e li descrive. Basta pensare a Merry Levov, la protagonista adolescente di Pastorale americana di Philip Roth; Yazdi, il figlio deficiente del cantastorie arabo Khilmi ne Il sorriso dell’agnello di David Grossman; Lee Harvey Oswald di Don DeLillo in Libra; Nafa Walid, il protagonista di Cosa sognano i lupi di Yasmina Khadra. Hanno in comune il vuoto della vita quotidiana. Nel racconto del vissuto di quel vuoto prende corpo lentamente la forza di una scelta e di una reazione che si fa violenza e che adotta la distruzione come codice di comportamento.
Oppure: come raccontare Teheran oggi? C’è qualche storico che abbia saputo descrivere il vissuto di Teheran dall’interno più di Azar Nafisi in Leggere Lolita a Teheran o di Jafar Panahi in Taxi Teheran? E quelle due diverse creazioni in che modo indicano un percorso di scavo e di indagine possibile?
E ancora. Rimaniamo in Italia. Prima e dopo Vajont, 9 ottobre 1963. Orazione civile di Paolini in che forma abbiamo parlato del Vajont? Usciamo di nuovo dall’Italia. Cos’era la consapevolezza della Francia di Vichy nell’opinione pubblica della Francia prima del film Lacombe Lucien di Louis Malle girato nel 1974? Non sono stati i processi Papon e Touvier, ma un film e, in subordine, una produzione storiografica, che ha avuto poi bisogno di uno storico statunitense (Paxton,Vichy France: Old Guard and New Order, 1940-1944, 1972) e di uno storico franco-israeliano (Zeev Sternhel Ni droite, ni gauche. L’ideologie fasciste en France, 1983), perché quella discussione pubblica assumesse la dimensione di un confronto non più eludibile. Lo stesso si potrebbe dire della narrativa di Javier Cercas in Spagna con L’impostore, ma soprattutto con Anatomia di un istante.
Lo stesso, inoltre, si potrebbe dire a proposito della discussione pubblica e del confronto (non per tifoserie), sul fascismo in Italia e sulla Resistenza.
Certo tutti possono ricordare e fare i paragoni con la monumentale biografia di Mussolini stesa da Renzo De Felice; tuttavia, perché quei temi si ponessero all’attenzione pubblica, occorreva che venisse sollevato l’interesse ed è accorso, in questo senso, Sergio Zavoli con Nascita di una dittatura; perché la discussione sul terrorismo, sulle BR, sul rapimento Moro ottenesse una dovuto approfondimento Il memoriale della Repubblica di Miguel Gotor è stato indispensabile ma senza Sergio Zavoli non avremmo fatto grandi passi avanti nella coscienza pubblica. Così non è un caso che, nonostante il Giorno della Memoria e nonostante le pietre d’inciampo, alla fine solo con una trasmissione di Alberto Angela sul 16 ottobre 1943 quella questione è diventata questione.
Infine, solo con Una guerra civile di Claudio Pavone, si è aperta in Italia, finalmente, una discussione non solo sulla Resistenza ma, soprattutto, sulla legittimità di altre fonti rispetto a quelle presenti nell’Archivio Centrale dello Stato come: i diari privati, le lettere, i racconti, la narrativa, la filmografia. In breve, si è aperta la possibilità di utilizzare e ricorrere a tutte le fonti e a tutti i linguaggi contemporanei.
Considero ancora, a trent’anni di distanza Una guerra civile. Saggio sulla moralità della Resistenza (1991) di Claudio Pavone (uno dei miei maestri) un testo fondamentale, per molti aspetti insuperato. E tuttavia, credo che quel libro non possa costituire il testo definitivo, soprattutto perché si ferma al 25 aprile 1945. Di quel libro, come progetto e contenuto, non solo è importante il titolo, ma anche, e per me soprattutto, il sottotitolo. Per questo ritenevo allora e ritengo tuttora che quel libro, così decisivo, dovesse spingersi oltre quella data. Quando cessarono gli spari, quella conflittualità proseguì, segnò molte vite e si innervò oltre il 1945 fino ai nostri giorni. Questa storia ancora deve essere raccontata con la stessa acribia, con la stessa capacità di saper leggere e usare le fonti, con la stessa voglia di scavo che c’è nel libro di Pavone, contro la facile narrativa di propaganda che va molto di moda da tempo e che ancora svetta nelle classifiche dei libri più venduti in Italia.
Dunque il tema è come si affronta con pacatezza e possibilmente senza tifoserie, ma con passione questa questione Il tema non riguarda come si scrive il vero, ma come si produce racconto e scavo nel passato in grado di riaprire la discussione sui luoghi comuni nel presente.
Non riguarda solo l’Italia, anzi dall’estero ci vengono molte suggestioni di lavoro.
Ne vogliamo parlare? Possibilmente senza tifoseria?
Underground Press. La controcultura statunitense nelle collezioni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Il movimento di contestazione statunitense, tra gli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta ha innescato il fenomeno dell’underground
press, capace di diffondersi da un capo all’altro degli Stati Uniti senza trascurare i centri di medie dimensioni.
Con questa pubblicazione viene presentata la collezione della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che consente di entrare in diretto contatto con la voce del Movement in tutte le sue articolazioni: dalle elaborazioni della New Left e dai giornali sorti dall’iniziativa studentesca nei campus contro la guerra in Vietnam ai periodici del movimento di rivendicazione dei diritti della comunità afroamericana, dai fogli delle comunità hippie alla cultura psichedelica, dalla stampa femminista alle prime testate dei gruppi di attivisti omosessuali, dagli organi dei sindacati indipendenti di lavoratori di colore fino ai fogli dei GI dissidenti. Documenti indispensabili per la ricostruzione della temperie culturale che influenzato il resto del mondo.