Le attività del Comitato di Solidarietà con Solidarność nel Veneto
Capitolo 9
I recenti drammatici avvenimenti dovuti alla brutale repressione del regime militare polacco ci porta a riproporre la necessità di:
1) Assumere, come sindacato, una iniziativa politica nazionale. I diritti civili e la libertà vanno difesi e garantiti in tutti i paesi;
2) La predisposizione di un piano di aiuti alle famiglie degli internati e dei licenziati dal regime.
L’interesse del Veneto
Cgil, Cisl e Uil del Veneto esprimono un interesse crescente verso quanto sta accadendo in Polonia. Nel 1984 fondano il Comitato di Solidarietà con Solidarność con sede presso la Cisl di Mestre che fa capo al Comitato di Roma.
Fondamentale risulta il contributo di Joanna Burakowska, che si trasferisce in Veneto e avvia una rete di iniziative fra sindacati, parrocchie, associazioni e ed enti locali. Per un certo periodo Andrzej Chodakowski e Tadeusz Konopka si recano regolarmente da Roma a Mestre, alternandosi ogni due settimane.
La satira di Andrzej Krauze
Nell’autunno del 1984 il Comitato, con il supporto di Chodakowski, il patrocinio della Regione Veneto, dei Comuni di Venezia e Padova e la collaborazione di Cgil, Cisl e Uil del Veneto, espone la mostra La satira politica di Andrzej Krauze e documenti di stampa clandestina polacca. Krauze, residente all’estero dal 1981, è uno dei più famosi caricaturisti polacchi, collaboratore del settimanale «Tygodnik Solidarność».
Il calo delle attività
Le attività dei comitati si diradano con il passare degli anni, per le crescenti difficoltà di contatti con la Polonia, come pure per il calo di interesse in Italia e in Europa per la situazione polacca. Avranno la loro naturale conclusione con il passaggio alla legalizzazione e alle prime elezioni semi-libere del 1989, accolte in Italia con grande partecipazione.
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Le immagini proposte di seguito testimoniano l’interesse dei sindacati veneti verso Solidarność e l’intensa collaborazione che si è instaurata con alcuni attivisti e artisti polacchi, in particolare il caricaturista Andrzej Krauze.
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Noi crediamo necessario sottolineare ulteriormente la gravità della situazione in cui versa la nazione polacca in questo difficile momento; ogni aiuto che, per vostro tramite, potrà giungere in Polonia da parte della sua Azienda costituirà una prova tangibile della solidarietà del popolo italiano e dell’interessamento alle sorti della Polonia da parte degli imprenditori italiani.
Dalla lettera-tipo del 22 marzo 1982 inviata alle aziende del Piemonte da Barbara Stasiowska Randone a nome del Comitato aiuti per la Polonia (Fondo Solidarność, Fond. Feltrinelli)
Di che cosa c’è più bisogno in questo momento? Molte volte ci è pervenuta da parte dell’Episcopato Polacco la richiesta di stoffe di qualsiasi tipo, anche piccoli tagli di stoffe per cucire i vestitini per i bambini negli orfanotrofi. Manca anche il filo da cucire, gli aghi per cucire a mano e a macchina.
Se possiamo suggerire qualche cosa pensiamo che potrebbe essere utile occuparsi di trovare queste stoffe utilizzando anche i campioni, interessando le fabbriche, utilizzando le cose che non servono più in casa ecc.
Di questo potrebbe interessarsi una parrocchia, degli alimentari un’altra.
Dalla lettera di Joanna Burakowska a Don Ermis Segatti del 12 dicembre 1983 (Fondo Solidarność, Fond. Feltrinelli)
Kit didattico: Opportunità per tutti
Il “lungo autunno”: le lotte operaie degli anni settanta
Dire la verità
Solidarność, una storia lunga 25 anni
Kit didattico: Opportunità per tutti
Il 14,5% della popolazione mondiale è povero: oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, tra queste, una su tre ha meno di 13 anni. Cosa significa essere poveri? La povertà è un problema complesso e si accompagna al tema delle disuguaglianze. Lo sapevi che il 10% della popolazione globale non ha accesso ad efficienti servizi di acqua potabile? Che nel 2011 65 milioni di ragazze non hanno avuto accesso all’istruzione primaria e secondaria?
Il kit didattico Opportunità per tutti stimola una riflessione su disuguaglianza e giustizia sociale collegati al tema della “cittadinanza” e prende in esame il programma di assistenza sociale brasiliano Bolsa Familia finalizzato a ridurre la povertà anche attraverso l’accesso a istruzione, servizi sanitari.
Il “lungo autunno”: le lotte operaie degli anni settanta
Descrizione dell’ebook
Sergio Bologna propone di leggere gli anni ’60 e ’70 come snodo fondamentale, non solo del movimento operaio, ma anche della storia economica e industriale di questo Paese.
L’idea è considerare il periodo che va dal 1960 a 1985 (anno del referendum sulla scala mobile) come un unico periodo di ascesa verso i moti del ’68-69 – l’inizio del “lungo autunno”, appunto – e discesa verso la nascita del “sindacato dei diritti” (per riprendere un’espressione di Bruno Trentin); quel sindacato, cioè, che si preoccuperà di tutelare il lavoro subordinato e a tempo indeterminato, trascurando tutte le altre tipologie.
Se per molti gli anni settanta sono gli “anni di piombo”, Bologna propone di guardare a quell’epoca come la stagione del coronamento di un ciclo storico: quello della trasformazione della società tramite l’emancipazione della classe operaia e il mutare dei rapporti di potere sul luogo di lavoro. Si è trattato di mettere in gioco valori morali e condizioni materiali che andavano oltre le relazioni industriali perché investivano l’intera società.
Perché l’Italia, pur tra le prime potenze economiche mondiali, sembra essere destinata, dopo la crisi del 2008, a un declino irreversibile e al peggioramento costante delle condizioni di lavoro? Da dove bisogna ripartire perché si possa andare verso una nuova riscossa? Capire oggi quegli anni è fondamentale per comprendere cosa è avvenuto dopo.
Conosci l’autore
Sergio Bologna (Trieste, 1937) si occupa principalmente di storia del movimento operaio. Dopo aver insegnato in varie Università italiane e tedesche, si dedica, espulso dall’Università, all’attività di consulenza. Nel 1964, dopo essere entrato nella cerchia dei “Quaderni Rossi”, è tra i fondatori di “Classe Operaia” e inizia una lunga collaborazione con i “Quaderni piacentini”. Nel 1967, pubblica, con Feltrinelli, la sua tesi di laurea con il titolo La chiesa confessante sotto il nazismo, 1933-1936. Negli stessi anni, dopo una breve esperienza lavorativa presso la Olivetti, ottiene un incarico all’Università di Trento. Contemporaneamente si dedica ai movimenti di protesta e diventa prolifico autore di testi per pubblicazioni quali “Potere operaio” o fondatore di riviste quali “La Classe” e “Primo Maggio”.
Tra le sue pubblicazioni, si segnalano Le multinazionali del mare, Vita da free lance, con D. Banfi, e Banche e crisi.
Dire la verità
Articolo del Laboratorio Dire la verità – riflessione pubblica su libertà di parola, libertà e potere
La verità è un processo faticoso, non un prodotto preconfezionato che qualcuno ha già costruito e assemblato per noi.
Due indicazioni di metodo.
La prima.
All’inizio della Guerra del Peloponneso, Tucidide osserva come “la maggior parte degli uomini, piuttosto che ricercare la verità, che è loro indifferente, preferisce adottare le opinioni che vengono riferite già bell’e pronte”. È un’osservazione pungente e anche saliente.
Non solo nella Grecia di Tucidide, ma anche per noi, oggi, qui.
Ciascun individuo che voglia misurarsi con il presente, deve sapere che il groviglio del reale che ci conduce a comprendere la situazione concreta, ovvero la verità dello scenario che abbiamo di fronte, va sciolto. Per scioglierlo e coglierlo non c’è nessuna scorciatoia, né nessuna verità astratta. Nella storia ci sono gli uomini e le donne che ne costruiscono la trama; che pensano e che, in base a ciò che pensano o credono di capire di ciò che vedono, decidono.
Dunque, la verità è un confronto con le decisioni che si prendono in base a ciò che si vede, si crede, si sa.
La seconda.
Nel luglio 1914, prima di andare al fronte, Marc Bloch tiene una lezione agli studenti del Liceo di Amiens, dove insegna. Critica e storica e critica della testimonianza è il testo della sua lectio (la versione italiana, da cui riprendo la traduzione si trova qui, alle pagine 11-20).
Nel corso di quella lezione Marc Bloch, più di cento anni fa, propone un’affermazione di metodo che ancora oggi nel senso comune fa scandalo. Dice infatti Bloch, riprendendo la lezione di Tucidide, “Talvolta, i documenti stessi costringono al dubbio e alla ricerca del vero. Ciò avviene quando si contraddicono”.
Bene, come fanno i documenti a contraddirsi? Quando le fonti si moltiplicano, ci sono due indicazioni lontane o non identiche dello stesso dato.
Non è l’unico caso. I documenti si contraddicono anche quando ciò che si mette in discussione è il soggetto, colui chi è – o non è – autorizzato a distribuirli.
La prima operazione di chi vuol mettere in discussione la verità del potere che subisce, e dell’autoritarismo che impone il suo giogo, è produrre documenti, lasciare fotografie, consegnare tracce e metterle nelle mani di persone fidate (è ciò che è accaduto nel dicembre 1981 a Varsavia all’indomani della messa fuori legge di Solidarność; o a Piazza Tien An Men nel giugno 1989). O è, all’inverso ma mossi dal medesimo intento, nascondere quelle “prove” perché siano ritrovate a repressione finita per documentare l’oppressione subita. E’ accaduto nel ghetto di Varsavia nel 1942, come racconta Chi ricostruirà la nostra storia di Roberta Grossman; nei rapporti sulla repressione e sulle violenze nell’Italia fascista degli anni ’30, o nelle controinchieste sulle stragi degli anni ‘70.
Piazza Tien An Men, giugno 1989, rivoltoso blocca i carri armati
Ma il tema non è solo accumulare documentazione alternativa, salvarla, consegnarla a futura memoria. La questione, direbbe lo storico Jacques Le Goff nel suo saggio Documento/monumento, è anche la mole di documenti che modifica la complicata geometria variabile della storia: si i monumenti – intesi come le fonti ufficiali nate perché una memoria fosse trasmessa ai posteri – hanno rappresentato a lungo la materia privilegiata della storia, nel corso del Novecento irrompono nella storia e “rompono la storia” i documenti: testi, registri, scritture che ci arrivano come testimonianze involontarie. “È una rivoluzione insieme quantitativa e qualitativa. L’interesse della memoria collettiva e della storia non si cristallizza più esclusivamente sui grandi uomini, sugli avvenimenti, la storia che corre in fretta, la storia politica, diplomatica, militare. Essa si occupa di tutti gli uomini, comporta una nuova gerarchia più o meno sottintesa dei documenti, colloca per esempio in primo piano per la storia moderna il registro parrocchiale (…) in cui sono segnati, parrocchia per parrocchia, le nascite, i matrimoni e le morti, rappresenta l’ingresso nella storia delle «masse dormienti» e inaugura l’era della documentazione di massa”.
Jacques Le Goff
Questo ci dice non solo che si danno contemporaneamente più documenti che magari reciprocamente si criticano o magari si contraddicono, ma soprattutto ci dice non c’è più una sola agenzia delegata a raccontare come sono andate le cose. Il racconto ora chiede che ci siano molte versioni che devono incrociarsi, guardarsi, dimostrare ciascuna la propria verità. “Al limite, non esiste un documento-verità. Ogni documento è menzogna. Sta allo storico di non fare l’ingenuo”.
Sta allo storico, ma sta a ciascuno di noi nel presente che vive. Facciamoci una seconda domanda che riguarda questo nostro tempo.
Perché il potere che trent’anni fa non godeva di alcun credito, oggi (per esempio all’indomani della repressione in Turchia messa in atto dal dittatore Erdogan, o nella repressione a Budapest o a Varsavia, o a Mosca) non ha, oggi, nessuna difficoltà a raccontare la sua versione dei fatti senza muovere o produrre obiezioni, mentre invece spetta solo ai suoi avversari dimostrare un diverso svolgimento dei fatti? Che fine ha fatto il contro-potere o quel senso comune che era anche senso critico e spirito dialettico?
Se prendiamo per buona l’indicazione di non essere ingenui, può essere utile ripartire da qui per chiederci in che rapporto stiamo oggi con il potere, con l’adesione – potremmo dire – al conformismo dei monumenti. E che margini di autonomia abbiamo, invece, per essere dei testimoni parziali e viventi che dicono un pezzo della verità. Che la dicono, appunto, non come dato, ma come processo laico: come un continuo movimento di approssimazione, che chiama in causa il rapporto aperto e controverso che ciascuno tiene con se stesso e il proprio tempo.
Solidarność, una storia lunga 25 anni
Le rivendicazioni sindacali che conducono il 31 agosto del 1980 alla nascita del Sindacato Indipendente Autogestito Solidarność accrescono l’interesse verso la Polonia sia nel mondo politico e sindacale sia nell’opinione pubblica italiana.
Scambi di idee, visite di delegazioni ufficiali e viaggi informali si chiudono drasticamente il 13 dicembre 1981 quando il generale Wojciech Jaruzelski dichiara lo stato di guerra e pone Solidarność nell’illegalità.
I legami stretti nei mesi precedenti, però, non si recidono, ma si trasformano. I tre sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, pur con le differenze legate alla loro storia, esprimono vicinanza alla Polonia e si attivano nel sostegno politico, con il supporto delle istituzioni, delle parrocchie, delle associazioni di polacchi in Italia.
In particolare a Torino, prima del colpo di stato, nasce un Comitato di Solidarietà con Solidarność che dopo il 13 dicembre 1981 organizza spedizioni di generi di prima necessità, realizza iniziative di informazione sulla situazione polacca, promuove raccolte di firme, redige e diffonde appelli, prende contatti con personalità del sindacato e delle istituzioni. Nel 1984 anche in Veneto si forma un Comitato di Solidarietà con il supporto delle sedi locali dei sindacati.
Entrambi fanno capo al Comitato di Solidarietà con Solidarność in Italia di Roma. Sono anni di grande impegno, di sostegno a distanza delle famiglie dei delegati di Solidarność, molti dei quali detenuti o licenziati, di scambi di informazioni e di pubblicazioni clandestine, di aiuti materiali e di supporto spirituale che accompagnano la Polonia verso la rinnovata legalizzazione del sindacato e le prime elezioni parzialmente libere del 4 giugno 1989.
La mostra narra questi avvenimenti a partire dal prezioso fondo conservato presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano, avviato nell’autunno del 1981 con la raccolta di documenti e pubblicazioni di Solidarność e dopo il 1989 ampliato con gli archivi dei comitati di Torino e del Veneto. Arricchita da immagini provenienti dall’Europejskie Centrum Solidarności di Danzica e dalla Fondazione Vera Nocentini di Torino, la mostra illustra uno degli aspetti più significativi delle molteplici attività coordinate a livello nazionale dal Comitato di Solidarietà con Solidarność in Italia e testimonia un capitolo importante di storia comune tra Italia e Polonia, un capitolo fatto da molte persone che si impegnarono disinteressatamente e che dedicarono tempo ed energia per la causa di Solidarność. Purtroppo alcuni dei protagonisti non possono più narrare quella straordinaria vicenda in quanto prematuramente scomparsi e alla loro memoria vorremmo dedicare questa mostra.
Arricchita da immagini provenienti dall’Europejskie Centrum Solidarności di Danzica e dalla Fondazione Vera Nocentini di Torino, la mostra illustra uno degli aspetti più significativi delle molteplici attività coordinate a livello nazionale dal Comitato di Solidarietà con Solidarność in Italia e testimonia un capitolo importante di storia comune tra Italia e Polonia, un capitolo fatto da molte persone che si impegnarono disinteressatamente e che dedicarono tempo ed energia per la causa di Solidarność. Purtroppo alcuni dei protagonisti non possono più narrare quella straordinaria vicenda in quanto prematuramente scomparsi e alla loro memoria vorremmo dedicare questa mostra. Krystyna Jaworska e Donatella Sasso Curatrici della mostra
Multimedia
Solidarity Poland 1981
Approfondimenti
la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e il Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano organizzano la mostra Solidarność nei documenti della Fondazione Feltrinelli in collaborazione con l’Europejskie Centrum Solidarności (Centro Europeo di Solidarność di Danzica), con il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Torino e con l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini. L’evento si avvale del patrocinio del Comune di Milano. Scopri la mostra: Solidarność nei documenti della Fondazione Feltrinelli