Ernesto Rossi (1897-1967) Volontario nella prima guerra mondiale, antifascista, dopo il delitto Matteotti pubblicò, con i fratelli Rosselli e G. Salvemini, il foglio clandestino Non mollare!. Costretto all’espatrio in Francia, torna in Italia. E’ tra i fondatori del movimento politico “Giustizia e Libertà”. Arrestato (1930) e condannato dal tribunale speciale a venti anni di reclusione, ne scontò nove e fu poi confinato a Ventotene dove con Altiero Spinelli elabora le basi teoriche del movimento federalista europeo. Fondatore del Partito d’Azione, partecipa alla Resistenza. Nel 1945 è sottosegretario alla Ricostruzione. Nel 1955 contribuisce alla fondazione del Partito radicale. Nel corso della sua attività di pubblicista, collaborò tra l’altro con l’Unità di Salvemini, la Riforma sociale, il Corriere della sera, La stampa e Il Mondo. Tra le sue opere: La riforma agraria (1945); Abolire la miseria (1946); Critica del capitalismo (1948); Settimo, non rubare (1951); Lo stato industriale (1952); I padroni del vapore (1954); Il malgoverno (1954); Il Sillabo (1957); Il manganello e l’aspersorio (1958).
Primi contatti sindacali di Solidarność con l’Italia. L’esperienza piemontese
Capitolo 6
Abbiamo aperto uno spiraglio alla libertà della quale dovevamo già assumere la responsabilità. Nel 1989 nulla però era già deciso.
Il rapporto col Piemonte
I rapporti tra i sindacati italiani e Solidarność proseguono anche a livello regionale, con una particolare partecipazione in Piemonte.
Nei giorni 7, 8 e 9 maggio 1981 si tiene a Torino, presso il Palazzo del lavoro, l’XI Congresso della Fim Cisl. È invitato in qualità di relatore Grzegorz Regulski, delegato di Solidarność FSO (Fabbrica di autovetture) Varsavia.
Un tentativo di gemellaggio
A fine maggio 1981 una delegazione della Cisl torinese si reca a Varsavia. In quell’occasione si programma il soggiorno di un centinaio di bambini polacchi in Italia, cui sarebbe seguito l’invito ad altrettanti bambini italiani.
Fra il 10 e il 14 dicembre 1981 è attesa a Torino una delegazione di sei sindacalisti per partecipare a diversi incontri e siglare il gemellaggio fra il Piemonte e la regione Mazowsze. Le autorità polacche non concedono i visti e la delegazione non può partire.
Il 14 dicembre in piazza Castello a Torino Cgil, Cisl e Uil organizzano una manifestazione di solidarietà nei confronti dei lavoratori polacchi.
Guarda la photogallery
Le immagini proposte in questo pannello riproducono alcuni volantini, una foto e dei documenti, che testimoniano la vitalità dei rapporti tra i sindacati italiani, in particolare la Cisl, e Solidarność.
Approfondisci
La Federazione Unitaria del Piemonte e di Torino:
- impegna la Federazione Nazionale CGIL CISL UIL a portare direttamente nelle assemblee dei lavoratori in Polonia la solidarietà concreta dei lavoratori italiani e a ciò si dichiara impegnata a sua volta;
- convoca le proprie strutture a una rapida riunione nella quale assumere concrete iniziative di solidarietà e sostegno nei confronti dei compagni lavoratori della Polonia […].
Dal comunicato della federazione unitaria regionale e torinese Cgil, Cisl e Uil sulla situazione in Polonia, 21 agosto 1980
Gli scioperi di agosto hanno fatto sorgere la speranza di una vita finalmente dignitosa, gli scioperi di marzo erano la difesa di queste speranze. Difendiamo e continueremo a difendere quello che abbiamo ottenuto di fronte ai tentativi dell’autorità di tornare indietro. […] Abbiamo scioperato e sciopereremo perché ogni sindacalista deve essere certo che avrà sicurezza personale e non sarà perseguitato.
Dal discorso di Grzegorz Regulski all’XI Congresso della Fim Cisl, (Torino, 7, 8, 9 maggio 1981)
Consigli di lettura
Solidali con Solidarność. Torino e il sindacato libero polacco.
La Fondazione propone un volume in formato cartaceo edito da Franco Angeli che riflette sulla vicenda di Solidarność, e ne studia le ripercussioni sul contesto italiano.
Di particolare interesse il rapporto che si instaurò a Torino con le grandi organizzazioni sindacali confederali e le problematiche che ne derivarono. In un contesto di forte conflittualità sociale, i lavoratori e i sindacati torinesi espressero, pur talvolta con reticenze e diffidenze, slanci di generosa e autentica solidarietà che li legarono idealmente e concretamente a molti polacchi.
Kit didattico: Europa. La storia fa le rime
Alcune considerazioni sul voto di protesta in Europa. Tra luoghi comuni ed evidenze empiriche
Ripensiamo l’Europa. Una scuola per i cittadini di domani
Per un’ Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto
Kit didattico: Europa. La storia fa le rime
Il kit “La storia fa le rime” conduce gli studenti attraverso un viaggio nella storia, alla scoperta delle analogie e dei segnali che il passato ci ha lasciato al fine di comprendere la complessità dei processi che avvengono nel presente.
Conoscere la storia europea, in particolare le vicende legate alla Seconda guerra mondiale e al dramma delle leggi razziali e delle deportazioni, permette di affrontare un tema “caldo” come quello dei rifugiati e delle persone in fuga dalle persecuzioni e dalla guerra, attraverso una sorta di “modello”, distante da noi nel tempo, a partire dal quale è possibile estrapolare alcuni “segni” utili a interpretare il presente.
È possibile ampliare alcuni degli argomenti approfonditi in questo percorso grazie agli altri kit didattici sulle tematiche della cittadinanza, dei diritti, delle migrazioni e della storia europea.
Alcune considerazioni sul voto di protesta in Europa. Tra luoghi comuni ed evidenze empiriche
Da alcuni anni a questa parte in Europa, ogniqualvolta ci si lascia alle spalle un periodo di campagna elettorale, il dibattito pubblico viene puntualmente pervaso da espressioni che paiono oramai una conditio sine qua non della riflessione sui veri motivi per cui gli elettori votano nel modo in cui votano. Tra queste, immancabile, è quella del cosiddetto voto di protesta. Da quando, in particolare, nuovi imprenditori politici hanno cercato – in un ampio numero di democrazie occidentali – di mobilitare consenso sui fallimenti dei partiti tradizionali nel fronteggiare la crisi economica iniziata nel 2008, commentatori e analisti hanno identificato nella protesta la chiave di volta per la comprensione di risultati elettorali altrimenti percepiti come difficilmente spiegabili. Un primo caso lampante da questo punto di vista, almeno per l’esperienza a noi più vicina, è certamente quello delle elezioni politiche italiane del 2013. In effetti appare difficile pensare che l’inaspettato successo ottenuto dal Movimento 5 Stelle in quell’occasione avrebbe potuto verificarsi in assenza di una protesta collettiva nei confronti delle politiche di austerity messe in atto dal Governo Monti e dai maggiori partiti che lo sostenevano, PD e PDL. Lo stesso può dirsi, sebbene su scala più larga, anche delle successive elezioni per il Parlamento europeo del 2014. A detta di molti, quelle furono la prima vera occasione per gli elettori di tutta Europa di mostrare il proprio disagio verso classi politiche ‘inadempienti’ nei confronti della crisi economica a livello continentale, e infatti la crescita dei voti per partiti euroscettici fu in quel caso senza precedenti.
In qualunque contesto la si applichi, in definitiva, la vulgata del voto protesta sembra seguire ogni volta il medesimo canovaccio. In principio vi è sempre (o quasi) uno scenario di crisi della rappresentanza, per cui i principali attori che fino ad allora avevano articolato il sistema politico si trovano nella sostanza incapaci, per via di limiti interni e/o strutturali, di soddisfare le domande politiche provenienti da una porzione significativa dei loro elettori. In seguito, il “vuoto” lasciato da tali soggetti viene colmato da nuovi attori – di ‘protesta’, appunto – i quali non avrebbero però – specie in tempi di crisi economica – alcun particolare merito se non quello di organizzare il dissenso esistente verso altri soggetti. Poco o nulla dovrebbe importare infatti agli elettori di questi partiti in sé, o della loro offerta programmatica, quanto del loro costituire un’opportunità per punire l’élite partitica di riferimento. Questo almeno secondo chi sostiene questo genere di interpretazione.
Strasburgo, parlamento europeo
Al di là di come il voto di protesta appare nelle menti dei commentatori, uno sguardo ai lavori empirici sul tema dimostra che il terreno su cui ci muoviamo non è poi tanto solido quanto ci può sembrare. Nello specifico, alcuni studi – a dire il vero neanche troppo recenti – hanno mostrato come alcuni partiti dell’Europa Occidentale, abitualmente considerati “di protesta”, vengano in realtà votati su basi non dissimili da quelle che caratterizzano il voto a tutti gli altri partiti. Il riferimento è qui in particolare a valutazioni improntate su temi di policy, e nello specifico l’immigrazione. Altre ricerche hanno invece sostenuto che la protesta, intesa come scontento nei confronti delle élite e del sistema politico in generale, può sì influenzare il comportamento degli elettori, ma in favore di partiti il cui carattere di protesta non appare poi così chiaro nel dibattito pubblico. Questi possono essere infatti tanto piccoli partiti marginali, dotati di posizioni estreme su alcuni temi, quanto attori più centrali che per una qualche ragione vengono giudicati dagli elettori come idonei depositari del proprio messaggio di scontento. Su questa stessa linea si pongono anche i risultati di una mia recente analisi svolta su dati di tipo europeo (European Election Studies), all’interno della quale ho dimostrato come il binomio composto da “motivazioni di protesta da parte dell’elettore” e “successo elettorale dei cosiddetti partiti di protesta” non sia poi così scontato.
Ciò è stato in particolare possibile attraverso una serie di modelli statistici ‘controfattuali’. Purtroppo non vi è qui modo di soffermarsi approfonditamente sui dettagli tecnici del caso, tuttavia è importante quantomeno considerare che tale strategia di analisi permette di stimare con relativa facilità non solo le percentuali di voto ai vari partiti, ma anche quelle che questi otterrebbero entro una serie limitata di ulteriori scenari fittizi. In questo caso essi sono definiti da una importanza crescente (ogni volta duplicata rispetto al caso precedente) delle motivazioni di protesta nel ragionamento di voto degli elettori, qui misurate attraverso una serie di domande sulla fiducia nelle istituzioni politiche e sulla soddisfazione circa l’operato dei partiti al governo. La Tabella 1 riporta gli esiti di questa procedura in relazione al contesto italiano. I risultati sono a dir poco sorprendenti. Se infatti apparirebbe lecito attendersi un consenso sempre maggiore per partiti come il Movimento 5 Stelle lungo i diversi scenari controfattuali, a discapito magari di forze governative come il PD, quel che si nota è invece come la distribuzione dei voti rimanga complessivamente stabile.
Ora, è chiaro che risultati a tal punto contro-intuitivi richiedono inevitabilmente ulteriori approfondimenti. Tuttavia essi già appaiono come un primo, importante segnale del fatto che le conseguenze elettorali della protesta potrebbero in realtà non essere così scontate come spesso le immaginiamo. Da una prospettiva generale, ciò apre tra l’altro a un’ulteriore serie interrogativi circa l’effettiva capacità che addetti ai lavori, media ed élites politiche possono mettere in campo per leggere la protesta insita nei risultati di un’elezione. Infatti, se la realtà della protesta elettorale non corrisponde (in parte o del tutto) all’idea che intuitivamente sviluppiamo di essa, sulla base delle retoriche utilizzate dai partiti, il rischio principale che si corre è di fraintendere il significato – se non la presenza – della protesta stessa. Eppure, come già suggeriva in tempi non sospetti uno dei maestri degli studi elettorali – Philip Converse – in un Handbook of Political Science del 1975, un conto sono gli elettori, con le loro opinioni e attitudini, un altro conto sono i partiti e le strategie che questi usano per ottenere consenso. I contenuti di queste due dimensioni possono talvolta sovrapporsi, ma ciò non è da darsi per scontato. Nel caso qui discusso, stranamente, sembra che finora questa distinzione non sia mai stata adeguatamente considerata. In ottica futura, tuttavia, comprendere il meccanismo che contribuisce a rendere un partito una credibile opzione di protesta agli occhi del suo elettore – e indipendentemente da quelli di osservatori esterni, come esponenti politici e analisti – è una sfida che la ricerca politico-elettorale deve necessariamente cogliere.
Tab 1 – Esito di analisi controfattuale relativa alle probabilità di voto (PTVs) verso i principali partiti italiani
Fonte: 2014 European Election Voter Study
Ripensiamo l’Europa. Una scuola per i cittadini di domani
Definire l’Europa, per molti, significa fissare le sue frontiere. Con un duplice significato: dove finisce l’Europa e chi ne rappresenta lo spirito. La fine della Guerra Fredda ci aveva illusi sull’avvento di un mondo senza confini, invece le frontiere continuano ad esistere e nuovi muri – fisici ed emotivi – vengono costruiti di fronte alla paura dei flussi migratori e le sfide poste da un sistema sempre più globale. È difficile determinare quali siano i confini geografici e culturali di questa Europa che viene continuamente richiamata se non messa in discussione. Ma è davvero la delimitazione fisica ed emotiva la soluzione per sentirsi nuovamente parte del progetto Europa? La crisi dell’immaginario europeo è legata ad un senso di impotenza rispetto alle sfide globali che ci troviamo ad affrontare, che sommato al continuo richiamo dello stato-nazione pone una profonda crisi di identità. Crediamo che uno dei modi per uscire da questa impasse sia la costruzione di un nuovo significato di Europa che guardi oltre i suoi confini, e metta a valore tutte le esperienze e gli scambi che hanno determinato la sua costruzione, in una prospettiva inclusiva, multiculturale e aperta al cambiamento. Non immaginiamo l’Europa come uno scenario a priori, ma come un progetto che può essere costruito, alimentato e cambiato solo grazie alla piena consapevolezza e partecipazione dei suoi cittadini.
Per questo, tramite la Scuola di Cittadinanza Europea, vogliamo scavare nella storia del “vecchio continente” per comprendere e vivere l’Europa di domani, esplorando le grandi trasformazioni della storia del novecento raccontata dalle voci di chi l’ha vissuta, l’ha scritta, la studia. Una storia sociale che recupera il gusto della narrazione, dell’esperienza diretta, della complessità delle vicende umane. Una storia europea che ragioni in ottica di world-history, e quindi racconti la storia umana al di fuori dei singoli confini delle comunità geografiche per valorizzarne gli scambi, le influenze, le innovazioni portate dal suo continuo migrare e confrontarsi con ciò che è altro da sé. Questo bagaglio è ciò che è alla base del nostro vivere insieme, ed interrogarlo è il punto di partenza per la formazione di nuovi cittadini in grado di rapportarsi alla complessità del mondo globale, aperti al confronto e capaci di rivendicare i propri diritti.
L’Europa del 1915
Le attività che Fondazione Giangiacomo propone per gli studenti delle scuole secondarie di II grado riguardo questo tema sono, dunque, le seguenti:
16 gennaio – Scuola secondaria di II grado
Europa. Educare alla cittadinanza
Europa. Educare alla cittadinanza approfondisce il concetto di cittadinanza per poi declinarlo a livello nazionale e sovranazionale. L’Europa dei cittadini convive con l’Europa dei non cittadini, ma chi sono i cittadini e chi sono i non cittadini? La sfida dell’allargamento della cittadinanza corrisponde alla sfida per l’Europa di saper includere le persone che la abitano, garantendo a queste diritti e opportunità.
Kit didattico digitale e attività laboratoriale restitutiva presso la sede della Fondazione
18 gennaio – Scuola secondaria di II grado
Europa. Rappresentazioni e scenari
Europa. Rappresentazioni e scenari è un percorso di approfondimento tematico che interroga il concetto stesso di Europa e lo analizza come il frutto di espressioni geografiche, storiche, politiche e sociali che nel tempo si sono modificate e sovrapposte, costruendo di volta in volta diverse rappresentazioni di ciò che chiamiamo Europa.
Kit didattico digitale e attività laboratoriale restitutiva presso la sede della Fondazione.
24 gennaio – Scuola secondaria di II grado
Europa. La storia fa le rime
La storia fa le rime conduce gli studenti attraverso un viaggio nella storia, alla scoperta delle analogie e dei segnali che il passato ci ha lasciato al fine di comprendere la complessità dei processi che avvengono nel presente. Conoscere la storia europea, in particolare le vicende legate alla Seconda guerra mondiale e al dramma delle leggi razziali e delle deportazioni, permette di affrontare un tema “caldo” come quello dei rifugiati e delle persone in fuga dalle persecuzioni e dalla guerra, per estrapolare alcuni elementi utili a interpretare il presente.
Si propone un kit didattico digitale e un’attività laboratoriale restitutiva presso la sede della Fondazione.
6 marzo – Scuola secondaria di II grado
Europa. Frontiere e migrazioni
Frontiere e migrazioni approfondisce la questione migratoria che vive l’Europa oggi.
Cosa sta succedendo, quali le sfide e le possibili soluzioni? Comprendere e analizzare la questione dei flussi migratori permette di acquisire maggiore consapevolezza sulle sfide cui fanno fronte gli stati nazionali europei e sulla deriva anti-europea che rischia di prendere l’Unione.
Si propone un kit didattico digitale e un’attività laboratoriale restitutiva presso la sede della Fondazione.
Per un’ Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto
Descrizione dell’eBook
L’Europa che vorremmo e quella che c’è sono percepite come due realtà che si parlano con difficoltà e che spesso confliggono. Per un’Europa libera e unita indica dove avrebbe senso riprendere a riannodare le fila del ragionamento per provare di nuovo, ancora una volta, a riprendere un percorso, molte volte annunciato, non sviluppato, quasi mai intrapreso per davvero.
Autori
Altiero Spinelli (1907-1986) è stato membro della Commissione delle Comunità europee e deputato al Parlamento italiano ed europeo. A Ventotene, tra l’inverno del 1941 e la primavera del 1942, dopo un’approfondita elaborazione, cui partecipa un gruppetto di confinati – tra i quali Eugenio Colorni – scrive, in collaborazione con Ernesto Rossi, il Manifesto per un’Europa libera ed unita (Manifesto di Ventotene), il documento di base del federalismo europeo.