I periodici polacchi: dai primi spazi di libertà alla clandestinità
Capitolo 4
Il nostro lavoro era appena iniziato quando, in seguito al colpo di Stato militare del dicembre 1981, l’organizzazione di Solidarność fu messa al bando e fu proclamata la legge marziale. A quel punto l’obiettivo principale divenne quello di salvare più materiale possibile dalla confisca e dalla distruzione.
Il fondo Feltrinelli
La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli mostra un vivo interesse verso quanto sta avvenendo in Polonia nella consapevolezza della portata storica del movimento sindacale. Data l’incertezza della situazione sociale, da cui deriva la necessità di preservare i documenti di Solidarność, nell’autunno del 1981 viene inaugurato il fondo.
La raccolta di giornali, volantini, riviste e libri è sottoposta al vaglio degli intellettuali polacchi Bronisław Baczko, Krzysztof Pomian e Aleksander Smolar.
Il fondo si compone di periodici ufficiali pubblicati fra il 1976 e il 1981, volantini delle proteste operaie del 1976, bollettini, periodici e documenti di Solidarność nel biennio 1980-1981.
I Comitati di Solidarietà con Solidarność
Il fondo rappresenta il primo nucleo della raccolta di materiali, che si arricchisce negli anni Novanta con gli archivi dei Comitati di Solidarietà con Solidarność di Torino e del Veneto, venendo così a costituire la più importante raccolta di documenti su e di Solidarność nell’Italia settentrionale.
I documenti del Comitato di Solidarietà con Solidarność in Italia si trovano a Roma, e sono presenti solo marginalmente nella raccolta, così come non vi rientrano le iniziative a sostegno di Solidarność promosse da altre associazioni.
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Di seguito, le riproduzioni delle copertine di alcune pubblicazioni clandestine polacche legate a Solidarność e raccolte dalla Fondazione G. Feltrinelli.
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«A partire dall’inverno del 1977, diversi studenti italiani, entrati in contatto a Varsavia con gli ambienti del dissenso polacco, iniziarono a portare di nascosto nel proprio paese volantini e pubblicazioni clandestine. In particolare, i primi bollettini del KOR furono trafugati per essere esposti nella mostra sul samizdat (testi autoprodotti per aggirare la censura) organizzata, in quell’anno, a Venezia nella cosiddetta Biennale del dissenso. Finita la mostra, questi materiali furono riconsegnati ai proprietari. Un consistente numero di essi fu depositato a Firenze, dall’autunno del 1978, nella soffitta dell’Istituto Gramsci Toscano. Nel 1981, lo storico Giuliano Procacci e Francesca Gori acquisirono questi materiali per farne il primitivo nucleo dell’Archivio polacco della Fondazione G. Feltrinelli.»
Francesco M. Cataluccio, all’epoca responsabile del fondo polacco della Fondazione G. Feltrinelli, Milano
«Il nostro lavoro era appena iniziato quando, in seguito al colpo di Stato militare del dicembre 1981, l’organizzazione di Solidarność fu messa al bando e fu proclamata la legge marziale. A quel punto l’obiettivo principale divenne quello di salvare più materiale possibile dalla confisca e dalla distruzione. Occorreva raccogliere la memoria di questo movimento che continuò a lavorare clandestinamente fino alla metà degli anni ottanta.»
Testimonianza di Francesca Gori in K. Jaworska, C. Simiand (a cura di), Solidali con Solidarność. Torino e il sindacato libero polacco, Franco Angeli, Milano 2011
Kit didattico: Cos’è l’Europa?
A cent’anni dalla Terza Internazionale: una “modernità alternativa” al capitalismo
Alle origini dell’approdo mancato
Europa, le grandi trasformazioni: una lezione di storia multimediale
Kit didattico: Cos’è l’Europa?
Il kit – Cos’è l’Europa? – interroga il concetto stesso di Europa e lo analizza come il frutto di espressioni geografiche, storiche, politiche e sociali che nel tempo si sono modificate e sovrapposte, costruendo di volta in volta diverse rappresentazioni (e auto-rappresentazioni) di ciò che chiamiamo Europa. Questo sguardo permette di osservare e analizzare alcuni aspetti della storia dell’Europa senza cadere nella riproposizione manualistica dei fatti e delle vicende, e produce una consapevolezza sulla continua evoluzione dell’idea stessa d’Europa che risulta fondamentale per ragionare criticamente sulle trasformazioni di oggi e comprendere gli scenari per il futuro.
È possibile ampliare alcune degli argomenti approfonditi in questo percorso grazie agli altri kit sulle tematiche della cittadinanza, dei diritti, delle migrazioni e della storia europea.
A cent’anni dalla Terza Internazionale: una “modernità alternativa” al capitalismo
Il centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nel 2017 ha registrato innumerevoli iniziative convegnistiche, espositive e di varia natura in tutto il mondo (anche se molto meno in Russia che in Europa, negli Stati Uniti o in America Latina). Tuttavia è giusto chiedersi se quelle celebrazioni abbiano segnalato un’autentica “presenza” dell’evento 1917 nella memoria storica o non siano state invece disconnesse dal passato del nuovo secolo, un tributo offerto alla consuetudine sempre più invadente degli anniversari senza però suscitare interrogativi e questioni davvero stringenti nel presente. La Rivoluzione Russa è stata sostanzialmente rimossa dal piedistallo storico centrale che ha occupato per molti decenni e che ha trovato la sua sistemazione storiografica a posteriori nel “secolo breve” di Hobsbawm. Un quarto di secolo più tardi, la formula e la periodizzazione del “secolo breve” ci appaiono irrimediabilmente invecchiati. Gli storici coltivano prospettive e visioni diverse, per lo più declinate con i vari paradigmi della modernità globale. Proprio queste prospettive possono però suggerire nuovi significati e gerarchie di senso, ricollocando l’evento 1917 in una dimensione storica che non potrà più essere quella del secolo scorso, ma neppure dovrà andare smarrita tra narrazioni metastoriche e damnatio memoriae.
È questa una necessaria premessa al centenario della Terza Internazionale (marzo 1919), la cui nascita fu una conseguenza diretta dell’Ottobre 1917 e un evento fortemente voluto da Lenin per stabilire sul piano politico e simbolico la centralità della rivoluzione mondiale nelle aspirazioni e nei progetti dei bolscevichi. La “rimozione” della rivoluzione ha investito ancora più il “partito mondiale della rivoluzione”, gerarchico e centralizzato, come si rappresentò il Comintern e come venne percepito dai suoi nemici. Senza contare il fatto che la sua storia fu sostanzialmente fallimentare anche agli occhi dei contemporanei. Il Comintern presiedette alla nascita dei partiti comunisti in Europa e nel mondo, ma non conquistò la maggioranza della classe operaia fedele alle socialdemocrazie e non scatenò nessuna rivoluzione mondiale. Anzi, la sua sigla si legò a un lungo elenco di rivoluzioni abortite: in Ungheria, la Repubblica dei Consigli (aprile-agosto 1919); in Germania, l’ “azione di marzo” (marzo 1921) e soprattutto “l’Ottobre tedesco” (ottobre 1923); in Bulgaria (settembre 1923); in Cina (1926-27); a Cuba (1933); in Brasile (1935). Dopo il 1923, i tentativi di scatenare una rivoluzione nei paesi capitalistici dell’Europa cessarono per sempre, ma non per questo le rivoluzioni nel mondo coloniale conobbero particolari impulsi. La “costruzione del socialismo” in Unione Sovietica divenne una priorità rispetto alla “rivoluzione mondiale“. La subordinazione del Comintern agli interessi dello Stato sovietico fu un dato conclamato sotto Stalin.
Anche le “svolte” strategiche cominterniste generarono soprattutti insuccessi clamorosi. La teoria del “socialfascismo” lanciata nel 1929 contribuì a dividere la sinistra tedesca e favorì l’ascesa di Hitler nel 1933, portando alla distruzione del Partito comunista tedesco. La formula dei Fronti Popolari lanciata nel 1935 portò alla vittoria elettorale delle alleanze delle sinistre in Francia e in Spagna nel 1936 e al consolidamento di partiti di massa in questi paesi, ma le forze antifasciste furono sconfitte nella guerra civile spagnola (luglio 1936-marzo 1939). L’abbandono della linea antifascita imposto dal Patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939 ridusse il movimento in Europa ai minimi termini e provocò la distruzione del Partito comunista francese, messo al bando subito dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il Comintern riprese a svolgere un certo ruolo di propaganda e attività cospirative nell’Europa dominata da Hitler dopo l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel giugno 1941. Ma la sua stessa esistenza era palesemente anacronistica alla luce della ricerca di legittimazione nazionale dei partiti comunisti nel tempo di guerra. Quando Stalin ne decise lo scioglimento, nel giugno 1943, ritenendo che la centralizzazione organizzativa non fosse un criterio adeguato agli sviluppi dei partiti comunisti su basi nazionali, tutti i principali dirigenti si dissero d’accordo e nessuno rimpianse la fine del Comintern.
Tuttavia gli storici non dovrebbero trascurare l’eredità del Comintern. Esso fu il principale network politico globale dell’epoca tra le due guerre. Contribuì alla nascita di una politica di massa in Europa e, ancor più, nel mondo coloniale, dove i partiti comunisti furono espressione della modernità politica, seppure con fortune alterne. Gettò le fondamenta ideologiche e culturali delle élites comuniste destinate a svolgere un ruolo molto importante nella guerra fredda e nella decolonizzazione dopo la fine della guerra. È scontato rilevare che i quadri formati nell’organizzazione tra le due guerre consolidarono il potere comunista nell’Europa centrale e orientale occupata dall’Armata Rossa, diventando in gran parte personale di governo delle “democrazie popolari“. Ma l’eredità cominternista è molto più ampia di così. Negli anni tra le due guerre, il Comintern fallì tutti i suo principali obiettivi, ma fu una scuola di formazione politica e un centro di connessioni transnazionali. Si intrecciò con i più diversi movimenti a carattere anti-imperialista e anti-razzista su una scala mondiale. Costruì e smantellò perennemente reti di collegamento, mobilitando ingenti risorse materiali fornite dallo Stato sovietico, ma anche risorse simboliche e culturali che diffusero un po’ ovunque le visioni e i linguaggi del comunismo. La sua attività si svolse lungo un asse centro-periferia che si voleva operativo e coeso, ma in realtà creò o influenzò connessioni molto più ampie anche se molto meno funzionali, non necessariamente espressione delle intenzioni degli attori in scena.
Sotto questo profilo, il fuoco della ricostruzione storica dovrebbe spostarsi dal classico tema della subordinazione o insubordinazione dei partiti nazionali alle strategie di Mosca, al tema delle molteplici implicazioni, significati e pratiche che l’azione dei comunisti promosse in una prospettiva globale. Dopo il giugno 1943, l’apparato del Comintern venne incorporato nella burocrazia del Partito comunista sovietico, divenendo il suo Dipartimento internazionale. Nei due anni successivi, si verificò un enorme salto di qualità del movimento comunista, che acquisisce dimensioni di massa mai viste prima in molti paesi europei e fuori d’Europa. Il prestigio conquistato dall’Unione Sovietica grazie alla vittoria militare sul nazismo e la partecipazione dei comunisti alle resistenze antifasciste in Europa e anti-imperialiste in Asia rappresentarono una duplice fonte di nuova legittimità, che rilanciava l’idea di un soggetto portatore di una “modernità alternativa” al capitalismo, alle sue crisi e degenerazioni nel periodo tra le due guerre. Questa nuova dimensione di massa del comunismo internazionale poggiava sull’esistenza di leader e quadri dirigenti sopravvissuti al terrore staliniano e ai massacri anticomunisti, sull’accumulo di collegamenti transnazionali che non si interruppero mai completamente, sulla capacità di veicolare discorsi classisti e nazionali destinati a lanciare ipoteche credibili sulle nuove generazioni nel mondo del dopoguerra.
Questo capitale politico consentì ai comunisti di esercitare una significativa influenza combinando vocazione internazionalista e nazionalizzazione dopo la Seconda guerra mondiale, principalmente nel Terzo Mondo. I tentativi di ricostruire organizzazioni internazionali del comunismo diverse dal Comintern ebbero invece vita breve e stentata. Nel 1947 Stalin creò il Cominform, un organismo limitato all’Europa e incentrato sulla guerra fredda, che non ebbe alcun ruolo nell’Asia rivoluzionaria. Dopo il 1956, i successori di Stalin convocarono conferenze del comunismo mondiale rivolte soprattutto a includere i partiti dei paesi emergenti dalla fine del colonialismo, ma la rottura tra Unione Sovietica e Cina ne compromise il significato. L’eredità del Comintern conobbe un inesorabile logoramento. Oggi vediamo però meglio che il tramonto della tradizione internazionalista del comunismo non fu un caso a sè stante, legato alle fratture del “campo socialista” e al declino ideologico del marxismo-leninismo. Fu anche l’annuncio del tramonto di tutti gli internazionalismi, in un mondo che nell’ultimo mezzo secolo ha portato all’estremo la contraddizione esplosiva tra la globalizzazione economica e il nazionalismo risorgente della politica.
Qui di seguito alcuni documenti tratti dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli sulla Terza Internazionale tra i quali spiccano le pubblicazioni in differenti lingue del Primo Congresso del Komintern, il periodico in lingua russa dell’Internazionale comunista, gli atti sulla questione coloniale, l’intervento del segretario dell’organizzazione Georgi Dimitrov contro il fascismo che apre la stagione dei “fronti popolari”.
Alle origini dell’approdo mancato
L’immagine dell’Italia industriale che coltiviamo oggi è quella di un Paese di piccole e medie imprese e di distretti industriali. Se è vero che dal distretto emerge in diversi casi una media impresa fortemente dinamica, vera e propria “multinazionale tascabile” in grado di dominare nicchie globali, occorre sottolineare come i settori nei quali distretti e medie imprese operano non siano quelli sui quali si gioca la partita per la supremazia mondiale del XXI secolo. Per elettronica, chimica fine, biotecnologie, nuovi materiali, telecomunicazioni, trasporto aereo, robotica è necessaria la grande impresa. L’Italia è relegata in seconda fila.
C’è stato un momento nella storia italiana contemporanea in cui sembrava possibile raggiungere o competere su questi settori che delineano il presente. E’ accaduto tra anni ’50 e anni ’60.
Le scelte che allora furono intraprese, ma soprattutto le strade che furono interrotte e le figure imprenditoriali che attente a quelle trasformazioni, furono contrastate con successo, purtroppo, dalla politica, sono all’origine non solo della crisi, ma dell’approdo mancato dell’Italia all’economia mondiale, una frontiera raggiunta da un Paese lontano ma per molti versi paragonabile al nostro, il Giappone.
Mario Pirani, nel 1991 pubblica un saggio, denso e breve, che qui riproponiamo.
L’odierna debolezza del nostro apparato industriale, questa la riflessione di Mario Pirani, ha radici lontane: con la fine prematura delle esperienze di Enrico Mattei nel settore petrolifero, di Felice Ippolito nel nucleare, e di Roberto Olivetti nell’elettronica, l’industria del nostro paese vide svanire alcune opportunità strategiche di sviluppo, che avrebbero potuto qualificare la crescita italiana ponendo le premesse per un destino di tipo “giapponese”.
Tre appuntamenti mancati dell’industria italiana è un saggio che indica con acume i problemi strutturali della debolezza dell’Italia industriale e anticipa con chiarezza molte questioni che ancora oggi sono sul tavolo della discussione pubblica. L’Annale della Fondazione mette a tema quelle questioni e propone di riconsiderare le cause della nostra crisi presente.
Leggi l’eBook che accompagna l’Annale della Fondazione: “Tre appuntamenti mancati dell’industria italiana“
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Leggi l’Annale della Fondazione: “L’approdo Mancato. Economia, politica e società in Italia dopo il miracolo economico“
L’approdo mancato è un concetto che Mario Pirani propone nel 1991 in un testo pubblicato sulla rivista “Il Mulino”. Tre le occasioni mancate su cui Pirani invitava a riflettere – l’elettronica, il nucleare, la distribuzione petrolifera – sostenendo che se avessimo colto queste opportunità saremmo pervenuti a un approdo giapponese.
Franco Amatori riprende questa suggestione e proponendo di intendere, con questa espressione, approdo alla frontiera dell’economia mondiale
Era un fatto scontato che l’Italia, giunta alla fine del secolo scorso al quinto posto nel mondo per ricchezza prodotta annualmente, dovesse arretrare, così com’era inevitabile che subisse i rigori della crisi scoppiata negli Stati Uniti nel settembre del 2008.
L’avvento della globalizzazione e l’ascesa dei cosiddetti Brics, in particolare della Cina, fanno sì che l’Italia non possa mantenere le sue posizioni. Allo stesso tempo, l’enorme massa dei titoli tossici non poteva non avere effetti sull’economia già gravata da un debito pubblico fra i più alti del mondo. Tuttavia, questi veri e propri uragani sarebbero stati affrontati in modo ben diverso se l’apparato economico e, in particolare, industriale italiano fosse stato di maggiore consistenza; se il paese avesse potuto avvalersi di una grande industria chimica, elettronica, automobilistica; se avesse avuto una più vasta diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione; se fosse stato più autonomo dal punto di vista energetico.
La storia la si comprende se si studiano “come sono realmente andate” le cose. E tuttavia la questione rimane: Che cosa sarebbe accaduto se lo snodo del post miracolo (fine anni Sessanta, anni Settanta) avesse avuto un esito diverso?
Europa, le grandi trasformazioni: una lezione di storia multimediale
Il 9 novembre, alle ore 12.00, in occasione dell’anniversario della caduta del Muro di Berlino, si terrà presso il Liceo Parini di Milano una lezione di storia multimediale a cura di David Bidussa, Responsabile Editoriale di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
La lezione prevede l’utilizzo della piattaforma digitale di Fondazione Feltrinelli Europa, le grandi trasformazioni, e proporrà agli studenti video, ebook, fonti dal patrimonio e percorsi didattici con l’obiettivo di indagare e studiare le grandi trasformazioni del Novecento europeo.
La lezione sarà preceduta da un saluto istituzionale da parte dell’Assessore all’Istruzione Anna Scavuzzo e dal Segretario Generale di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Massimiliano Tarantino.
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