La scomparsa dei diritti
Capitolo 9
Le Madri di Plaza de Mayo
Plaza de Mayo è la principale piazza di Buenos Aires ed è il centro della vita politica e pubblica dell’Argentina.Il 30 aprile 1977 sedici donne, madri di ragazzi e ragazze desaparecidos, arrestati e fatti scomparire dalla polizia della dittatura militare (1976-1983), si recano in Plaza de Mayo per manifestare di fronte alla Casa Rosada, la sede del governo, chiedendo notizie dei propri figli. Da allora ogni giovedì pomeriggio, sempre più numerose, le madri di Plaza de Mayo si sono ritrovate nella piazza.
Una lotta spontanea
La richiesta di verità ha rappresentato uno degli episodi più importanti nella battaglia per i diritti umani e contro la loro continua violazione da parte della dittatura argentina.
Ogni battaglia per i diritti è sempre nata dalla volontà di un piccolo gruppo di opporsi a un’ingiustizia intollerabile, trovando le forme di comunicazione per raggiungere con la propria protesta un pubblico sempre più vasto e costringere il potere a riconoscere la propria violenza. Questa lotta, nata dal basso, spontaneamente, senza indicazioni politiche, nel giro di qualche anno è diventata simbolo della resistenza contro il regime militare. I desaparecidos raggiunsero in Argentina circa le 30 mila unità ma il fenomeno fu comune a gran parte dell’America Latina dominata negli anni Settanta dai regimi militari.
La dittatura argentina, al pari degli altri “regimi del terrore” che si affermarono in quegli anni nel subcontinente, smantellò letteralmente il quadro politico, sociale ed economico preesistente, con effetti visibili fino ai giorni nostri.
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1976
24 MARZO
Negli anni settanta l’America Latina è scossa da golpe militari che instaurano, con il sostegno degli Stati Uniti, regimi dittatoriali repressivi. Dopo la caduta del governo peronista, in Argentina si succedono diverse giunte guidate da esponenti degli alti comandi militari, che mantengono un regime dittatoriale estremamente violento e liberticida.
1977
30 APRILE
Sedici donne, madri di ragazzi e ragazze desaparecidos, arrestati e fatti scomparire dalla polizia, si recano in Plaza de Mayo per manifestare di fronte alla sede del governo. La loro è una protesta silenziosa, che si ripete costante ogni giovedì: recano un fazzoletto bianco in testa e fotografie dei congiunti.
1983
A seguito della sconfitta nella guerra delle Falkland/Malvinas contro la Gran Bretagna, la giunta militare argentina lascia il potere. Nel corso della dittatura sono decine di migliaia le persone rapite e uccise dal regime.
In bilico. Quale democrazia per l’America Latina? Autoritarismo e ricerca di alternative radicali
Fare comunicazione è costruire democrazia. Il caso dei media comunitari in America Latina
La Storia dovrà tener conto dei poveri d’America
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America latina
In bilico. Quale democrazia per l’America Latina? Autoritarismo e ricerca di alternative radicali
Descrizione dell’eBook
Per l’America Latina, il colpo di Stato in Bolivia contro il governo di Evo Morales del novembre 2019 ha segnato una cesura storica rispetto all’esperienza dei governi che, per convenzione, possiamo definire progressisti. Si tratta di un ciclo storico politico rilevante caratterizzato dal fatto che, per la prima volta nella storia, la maggioranza dei paesi della regione (includendo Centro America e almeno i maggiori stati caraibici) fossero guidati da governi di centro-sinistra. Casi diversissimi, dalla persistenza della Rivoluzione cubana a esperienze decisamente più moderate, come quella di Álvaro Colom in Guatemala. Oggi quel ciclo progressista e quel processo di democratizzazione sembra a rischio. Il volume ospita interventi di economisti e scienziati politici che, da prospettive diverse, fotografano il continuum che va dai tentativi di democrazie sociali(ste) (Cuba ed Ecuador), ai paesi in crisi democratica (primo fra tutti il Brasile), passando per l’analisi di democrazie poco più che formali. Non solo uno sguardo sul subcontinente americano, ma anche prospettive latino-americane sul mondo, attraverso il racconto di casi studio che rappresentano alternative economiche radicali.
Conosci il curatore
Andrea Califano collabora, dal giugno 2018, con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, ed è ricercatore presso PoliS-Lombardia, istituto regionale per il supporto alle politiche della regione. Ha studiato a Trento e a Pavia (alunno del Collegio Ghislieri), e conseguito il dottorato in economia offerto congiuntamente da IUSS Pavia e Scuola Superiore Sant’Anna. Si occupa principalmente di macroeconomia e politica economica; nella sua attività di ricerca e nelle sue pubblicazioni ha approfondito in particolare due contesti geografici: Unione Europea e America Latina.
Nel luglio 2018 è uscito per Edward Elgar il volume Anti-Blanchard Macroeconomics, di cui è coautore assieme a Emiliano Brancaccio.
Prezzo: € 2,99
Fare comunicazione è costruire democrazia. Il caso dei media comunitari in America Latina
Non è una novità affermare che i mezzi di comunicazione giocano un ruolo sempre più importante nelle decisioni politiche ed economiche statali e internazionali, costituiscono quel quarto potere che costruisce la realtà sociale attraverso la sua rappresentazione egemonica, legittimata e naturalizzata con il controllo della produzione e della circolazione delle informazioni. Le lotte simboliche che si giocano nel campo della comunicazione sono a tutti gli effetti battaglie politiche strettamente legate alle condizioni materiali delle società in cui si sviluppano.
Già a partire dagli anni Sessanta, i movimenti sociali si sono progressivamente imposti come attori collettivi che partecipano a tali lotte simboliche, decostruendo il senso comune, proponendo alternative al pensiero unico e aprendo il dibattito nell’opinione pubblica attorno a temi di rilevanza generale come la giustizia, i modelli di democrazia, la redistribuzione della ricchezza, lo sfruttamento ambientale, la libertà d’espressione, i diritti delle minoranze etniche, sessuali, religiose.
I media digitali legati al web si sono dimostrati un potente strumento per la convocazione e diffusione dell’azione collettiva, in particolare a partire dall’ultimo ciclo di mobilitazioni aperto nel 2011 con le cosiddette primavere arabe, Occupy Wall Street, il movimento spagnolo 15M e quello studentesco in Cile, passando per le oceaniche manifestazioni di Passe Livre in Brasile nel giugno 2013, e fino al movimento contro la violenza sulle donne NiUnaMenos esploso un anno fa nelle piazze di più di 150 città in tutto il mondo.
In un contesto di crisi di sovranità degli Stati nazionali e di impoverimento delle strutture rappresentative, democratizzare la comunicazione – definita diritto umano universale dall’UNESCO già nel lontano 1980 con il rapporto MacBride – diventa una condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per accedere alla rivendicazione di altri diritti.
In America Latina l’urgenza di riappropriarsi della parola pubblica da parte di ampli strati della società civile è associata alla fine delle dittature che hanno insanguinato la regione durante gli anni Settanta; la necessità di ricostruire i legami sociali ed esercitare la libertà d’espressione ha contribuito in quel momento alla diffusione delle radio comunitarie e popolari, diretta espressione della voce dei quartieri, delle organizzazioni di base, degli strati sociali storicamente occultati e marginalizzati.
Che Guevara parla a Radio Rebelde durante la rivoluzione cubana
Assieme al ciclo di governi progressisti nella regione, negli anni Duemila si è aperta una breccia perché la comunicazione come diritto umano da proteggere e regolamentare trovasse posto nell’agenda delle istituzioni pubbliche, storicamente subordinate alla produzione mediatica privata commerciale, nelle mani di pochi gruppi imprenditoriali che hanno superato indenni gli ultimi cinquant’anni facendo accordi tanto con le giunte militari che con i governi neoliberisti che le hanno succedute.
È stata la spinta dal basso del settore mediatico socio-comunitario, che fino al 2004 si è sviluppato nell’illegalità, a promuovere la riforma giuridica dei sistemi delle comunicazioni in Venezuela (2004 e 2010), Uruguay (2007 e 2010), Argentina (2009), Bolivia (2011), Ecuador (2013) e infine México (2014). Le nuove leggi, seppur diverse tra loro, hanno in comune il riconoscimento dei media comunitari come prestatori di servizi di comunicazione audiovisuale senza fini di lucro e con caratteristiche proprie, che li distinguono sia dai media statali di servizio pubblico che dal privato commerciale, e in alcuni casi prevedono la riserva di una quota delle frequenze radiotelevisive nazionali e il sostegno economico attraverso finanziamento pubblico.
Radio Rebelde
I media comunitari, alternativi e popolari rappresentano oggi in tutta l’America Latina un movimento sociale diffuso e radicato nei territori, che mette i suoi microfoni e i suoi schermi al servizio delle lotte e delle rivendicazioni dei lavoratori, dei popoli indigeni, dei settori popolari e delle donne, ma che allo stesso tempo è promotore della campagna per un’informazione equa e democratica, che possa contendere l’egemonia culturale ai grandi proprietari mediatici contrapponendogli un modello partecipato, orizzontale, collaborativo e solidale del fare comunicazione.
La Storia dovrà tener conto dei poveri d’America
Quello che segue è un estratto del primo dei due discorsi pronunciati da Ernesto Che Guevara nella nona sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU l’11 dicembre 1964. Il comandante argentino partecipa all’assemblea in qualità di ministro dell’Industria di Cuba – carica che ricopre dal 1961 – e approfitta dell’occasione per mettere sul tavolo la questione dei gravi squilibri che minano l’ordine internazionale che le stesse Nazioni Unite puntano a consolidare.
Senza fare sconti e senza giri di parole, Che Guevara punta il dito contro gli Stati Uniti, accusandoli di operare solo nel proprio interesse di potenza imperialista e di violare senza remore l’autodeterminazione e la libertà delle nazioni che non hanno i mezzi economici per competere allo stesso livello.
In chiusura, Guevara declama davanti alle Nazioni Unite la Seconda dichiarazione dell’Avana, che fu letta per la prima volta da Fidel Castro il 2 febbraio 1962 in un comizio pubblico nella capitale cubana, chiamando a raccolta le forze dell’America Latina per l’affermazione dei propri diritti e la liberazione da ogni forma di sfruttamento.
Discorso di Ernesto Che Guevara contro il colonialismo e per il risveglio dell’America Latina, 1964
Signor presidente, signori delegati,
[…]
Cuba viene ad esporre la sua posizione sui punti più importanti di controversia e lo farà con tutto il senso di responsabilità che comporta il far uso di questa tribuna, ma al tempo stesso rispondendo al dovere imprescindibile di parlare con piena franchezza e chiarezza.
Esprimiamo il desiderio di vedere questa Assemblea mettersi alacremente al lavoro e andare avanti; vorremmo che le Commissioni iniziassero il loro lavoro senza doversi arrestare al primo confronto. L’imperialismo vuole trasformare questa riunione in un vano agone oratorio, e non vuole che vengano risolti i gravi problemi del mondo; dobbiamo impedirlo. Questa Assemblea non dovrebbe essere ricordata in futuro soltanto per il numero XIX che la contraddistingue. Al raggiungimento di questo fine sono tesi i nostri sforzi.
[…]
Vogliamo chiarire, ancora una volta, che la nostra preoccupazione per l’America latina è ispirata dai legami che ci uniscono: la lingua che parliamo, la cultura che alimentiamo, il padrone che abbiamo avuto in comune. Che non siamo animati da nessun’altra ragione per desiderare la liberazione dell’America latina dal giogo coloniale nordamericano. Se qualcuno dei paesi latinoamericani qui presenti decidesse di ristabilire le relazioni con Cuba, noi saremmo disposti a farlo sulla base dell’uguaglianza e non in base al criterio che sia un dono fatto al nostro Governo il riconoscere Cuba come un paese libero del mondo; poiché questo riconoscimento lo abbiamo conquistato con il nostro sangue nei giorni della lotta di liberazione, lo abbiamo conquistato col sangue nella difesa delle nostre spiagge dall’invasione yankee.
Anche se respingiamo la pretesa volontà di ingerenza negli affari interni degli altri paesi che ci viene attribuita, non possiamo negare la nostra simpatia verso i popoli che lottano per la propria liberazione e dobbiamo onorare l’impegno del nostro governo e del nostro popolo di esprimere apertamente al mondo intero il nostro appoggio morale e la nostra solidarietà con i popoli che lottano in qualsiasi parte del mondo per rendere reali i diritti di piena sovranità proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite.
Cuba, signori delegati, libera e sovrana, senza catene che la leghino a nessuno, senza investimenti stranieri nel suo territorio, senza proconsoli che orientino la sua politica, può parlare a fronte alta in questa Assemblea e dimostrare la giustezza della frase: “Territorio Libero di America” con cui è stata battezzata.
[…]
E se il nemico non è piccolo neppure la nostra forza è disprezzabile, poiché i popoli non sono isolati. Come afferma la Seconda Dichiarazione dell’Avana:
[…]
Nessun popolo dell’America latina è debole, perché fa parte di una famiglia di duecento milioni di fratelli che soffrono le stesse miserie, sono animati dagli stessi sentimenti, hanno lo stesso nemico, aspirano tutti ad uno stesso destino migliore e godono della solidarietà di tutti gli uomini e le donne del mondo.
Questa epopea che sta davanti a noi la scriveranno le masse affamate degli indios, dei contadini senza terra, degli operai sfruttati; la scriveranno le masse progressiste, gli intellettuali onesti e brillanti che sono così abbondanti nelle nostre sofferenti terre d’America latina. Lotta di masse e di idee, epopea che sarà portata avanti dai nostri popoli maltrattati e disprezzati dall’imperialismo, i nostri popoli sconosciuti fino ad oggi, che già cominciano a non farlo più dormire. Ci considerava come un gregge impotente e sottomesso e già comincia ad aver timore di questo gregge, gregge gigante di duecento milioni di latinoamericani nei quali il capitalismo monopolistico yankee vede già i suoi affossatori.
L’ora della sua rivincita, l’ora che essa stessa si è scelta, viene indicata con precisione da un estremo all’altro del continente. Ora questa massa anonima, questa America di colore, scura, taciturna, che canta in tutto il continente con la stessa tristezza e disinganno; ora questa massa è quella che comincia ad entrare definitivamente nella sua storia, comincia a scriverla col suo sangue, comincia a soffrirla e a morire; perché ora per le campagne e per i monti d’America, per le balze delle sue terre, per i suoi piani e le sue foreste, fra la solitudine o il traffico delle città, lungo le coste dei grandi oceani e le rive dei fiumi comincia a scuotersi questo mondo ricco di cuori ardenti, pieni di desiderio di morire per “quello che è suo”, di conquistare i suoi diritti irrisi per quasi cinquecento anni da questo o da quello. Ora sì la storia dovrà prendere in considerazione i poveri d’America, gli sfruttati e i vilipesi, che hanno deciso di cominciare a scrivere essi stessi, per sempre, la propria storia”.
Guarda il video del discorso di Ernesto Che Guevara all’Assemblea Generale dell’ONU l’11 dicembre 1964:
durata: 6:20 min.
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America latina
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina ripercorre le vicende politiche, economiche e sociali di alcuni paesi dell’America Latina nell’arco dell’ultimo quarto di secolo.
Stato di salute della democrazia, gestione di politica economica, pulsioni populiste e tentazioni autoritarie, protagonismo di movimenti sociali e politici rappresentano le chiavi interpretative dei saggi qui raccolti.
Saggi che consentono di delineare una visione d’insieme della parabola del ciclo progressista che ha caratterizzato la regione in questa prima parte del XXI secolo.
Prezzo: € 2,99