Questo mondo non è più solo bianco
Capitolo 6
“I have a dream”
La piazza dove Martin Luther King, il 10 luglio 1966, raccoglie 35 mila persone del “Chicago Freedom Movement”, è uno stadio: il Soldier Field, di proprietà della squadra di football dei Chicago Bears. Lo scopo del movimento è combattere gli slums (le misere abitazioni delle periferie) come momento centrale della lotta alla povertà. Sono trascorsi anni dalla marcia di Washington del 28 agosto 1963, la più grande manifestazione per la libertà degli afroamericani, dove 200 mila persone avevano ascoltato il reverendo King raccontare il suo “sogno” di vedere “neri e bianchi insieme”.
Il lungo cammino per i diritti
La lunga battaglia contro la segregazione razziale e la discriminazione degli afroamericani si sviluppa nel decennio tra il 1955 e il 1965,ed è segnata da campagne di disobbedienza civile e di protesta non violenta.
A partire dall’arresto di Rosa Parks a Montgomery, in Alabama, che si era seduta su un autobus in un posto riservato ai passeggeri bianchi, la strada è stata lunga, segnata da rivolte anche violente e repressioni continue. Il Civil Rights Act del 2 luglio 1964, che dichiara illegali le disparità di registrazione nelle elezioni e la separazione razziale nelle scuole, è la prima di una serie di leggi che smantellano la segregazione.
Malgrado gli anni della prima presidenza afroamericana di Barack Obama e la nascita di movimenti per antirazzisti come i Black Lives Matter, la discriminazione razziale continua a essere fortemente presente negli Stati Uniti, dove ancora oggi sono in azione gruppi xenofobi che professano il suprematismo bianco.
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1955
1° DICEMBRE
A partire dall’arresto di Rosa Parks a Montgomery, in Alabama, “colpevole” di essersi seduta in un posto dell’autobus riservato ai passeggeri bianchi, emerge con forza il problema della segregazione razziale e della discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti.
1963
28 AGOSTO
Oltre 300 mila persone giungono da tutti gli Stati Uniti per sfilare a Washington in sostegno della cessazione della segregazione razziale e per l’introduzione di diritti civili ed economici degli afroamericani. Giunti al Lincoln Memorial, uno dei luoghi simbolo del governo statunitense, il reverendo Martin Luther King Jr pronuncia il suo celebre discorso “I have a dream”.
1964
2 LUGLIO
Il Civil Rights Act è la prima legge volta a smantellare la segregazione della popolazione non bianca negli Stati Uniti. Voluta dal presidente John Fitzgerald Kennedy, viene firmata l’anno dopo il suo omicidio e dichiara illegali le disparità di trattamento nell’esercizio di voto e la separazione razziale nelle scuole e nei luoghi pubblici.
1966
10 LUGLIO
L’acquisizione dei diritti civili nel 1964 non determina la fine delle discriminazioni degli afroamericani. Su tutte, pesa la segregazione economica a cui ancora sono soggetti. Per questo motivo, Martin Luther King Jr e il Chicago Freedom Movement organizzano una marcia di 35 mila persone per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sacche di miseria e di povertà in cui sono relegati gli afroamericani.
An army of lovers cannot lose!
Dal patrimonio: Come out! Controcultura americana e diritti civili / sfoglia la photogallery
Chi soddisfa la domanda di storia?
Underground Press. La controcultura statunitense nelle collezioni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
An army of lovers cannot lose!
La rivista della controcultura americana Come out! pubblica nel numero 7 del dicembre-gennaio 1970 un documento scaturito dalla Revolutionary People’s Constitutional Convention, che si concluse il 1° settembre 1969 (Labor Day) a Phliadelphia, con la partecipazione di oltre diecimila attivisti e militanti. Lo svolgimento della Convention fu caratterizzato da un’accesa dialettica tra la componente maschile e quella femminile del movimento gay, che si rispecchiò anche nei distinguo della comunità femminile etero e omosessuale sulla modalità di elaborazione della dichiarazione finale.
La fonte è tratta dalla sezione Periodici della controcultura americana conservata nel Patrimonio della Fondazione.
NOI CHIEDIAMO
Tutto il potere al popolo! La rivoluzione non sarà completa fino a quando tutti gli uomini non saranno liberi di esprimere il loro reciproco amore in ambito sessuale. Noi affermiamo la sessualità del nostro amore. La norma sociale che ci impedisce di esprimere il nostro amore totale e rivoluzionario è il sessismo. Il sessismo è la teoria o la pratica che il sesso o l’orientamento sessuale degli esseri umani assegni ad alcuni il diritto a determinati privilegi, poteri o ruoli, mentre ad altri neghi il dispiegamento del loro potenziale. Nel contesto della nostra società, il sessismo si manifesta primariamente attraverso la supremazia maschile e lo sciovinismo eterosessuale. Se a breve termine il sessismo può favorire determinate persone o gruppi, a lungo termine non può soddisfare tutti e impedisce la formazione di una completa consapevolezza sociale tra uomini eterosessuali. Il sessismo è irrazionale, iniquo e contro-rivoluzionario. Il sessismo impedisce la solidarietà rivoluzionaria delle persone. Noi chiediamo che la lotta contro il sessismo sia riconosciuta come parte essenziale della battaglia rivoluzionaria. Noi chiediamo che tutti i rivoluzionari si confrontino individualmente e collettivamente con il proprio sessismo. Noi consideriamo l’affermazione di Huey P. Newton sulla liberazione dei gay e delle donne un atto d’avanguardia e rivoluzionario. Noi riconosciamo il Black Panther Party come l’avanguardia della rivoluzione in America. Non ci può essere rivoluzione senza di noi! Un esercito di persone che amano non può esser sconfitto.
NOI CHIEDIAMO:
1) Il diritto di essere gay in qualsiasi momento e in ogni luogo
2) Il diritto alla libera modificazione fisica e al cambiamento del sesso su richiesta
3) Il diritto a vestirsi e agghindarsi liberamente
4) Che qualsiasi forma umana di espressione sessuale meriti la protezione della legge e abbia il consenso della società
5) Che ogni bambino abbia diritto a crescere in un ambiente non sessista e non possessivo, da creare sotto la responsabilità e con il contributo di tutti
6) Che un libero sistema educativo presenti l’intera gamma della sessualità umana, senza imporre alcuna forma o stile
7) Che il linguaggio venga modificato per non far prevalere alcun genere
8) Che il sistema giudiziario sia gestito dal popolo nei tribunali del popolo; che tutti siano processati dai propri pari
9) Che i gay siano rappresentati in tutte le istituzioni comunitarie e governative
10) Che le religioni organizzate siano condannate per aver favorito il genocidio dei gay e vengano dissuase dalla diffusione dell’odio e della superstizione
11) Che alla psichiatria e alla psicologia sia imposto di non prendere posizione a favore di una qualsiasi forma di sessualità, rafforzando tale preferenza attraverso elettroshock, lavaggio del cervello, imprigionamento, etc
12) L’abolizione della famiglia nucleare perché tramanda le false categorie di omosessualità e eterosessualità
13) L’immediato rilascio e risarcimento dei gay e degli altri prigionieri politici dai penitenziari e dagli istituti psichiatrici; il sostegno dei prigionieri politici gay per tutti gli altri prigionieri politici
14) Che i gay possano decidere il futuro delle proprie comunità
15) Che i gay condividano in egual misura il lavoro e i prodotti della società
16) Che la tecnologia sia usata per liberare tutti i popoli del mondo da lavori ingrati
17) La piena partecipazione dei gay nelle forze armate rivoluzionarie
18) In ultimo, la fine della dominazione di un individuo su un altro.
Chi soddisfa la domanda di storia?
La corsa di M. Il figlio del secolo, il libro di Antonio Scurati da poco pubblicato per Bompiani, finisce con la recensione Di Ernesto Galli Della Loggia uscita giorni fa sul Corriere della Sera. Oppure, come sembra, potrebbe proseguire e continuare a far discutere. Il botta e risposta tra lo storico e il romanziere ha le caratteristiche di una discussione dal fiato corto, che non ci permette di crescere, è una prova di forza tra posizioni (politiche, culturali, mentali,…) che vogliono misurarsi. A suo modo è un derby. E forse è il caso che rimanga confinato sui campi di gioco.
Una delle cose che probabilmente resteranno della forma che ha preso questa discussione è, come si dice a Milano, «ofelè fa el to mesté» – traduco: «pasticcere, fai il tuo mestiere». Dunque, l’esortazione sarebbe quella che Antonio Scurati smetta di occuparsi di inquadramenti di storia e che torni a scrivere narrativa pura. I bei libri di storia sono lavoro da storici.
Vale per i molti errori, talvolta veri e propri strafalcioni, di cui è pieno il libro (ma mi chiedo: possibile che non ci sia stato un controllo affidato a uno storico di professione?). Deve essere chiaro che al netto degli errori il problema da porre è: di storia e del senso della narrazione della storia hanno diritti di parola solo gli storici? E su Mussolini, sul senso di quella storia italiana, sugli effetti soprattutto nel senso comune e nella sensibilità dell’opinione pubblica, hanno diritto di parola solo gli storici?
L’esortazione di Galli della Loggia avrebbe anche un senso, solo che da molti anni è evidente quanto il processo di costruzione dell’indagine storica e, in particolare, l’apertura di alcuni scavi nel passato non la facciano per primi, né esclusivamente, gli storici. Noi storici, ammesso che ne abbiamo voglia, veniamo sollecitati a ripensare lo scavo e l’indagine intorno a fatti di storia da parte di stimoli, provocazioni e interventi che avvengono al di fuori della disciplina storica.
Tra questi, il primo posto, si potrebbe dire, sta la letteratura. Non è forse vero che Il Dottor Zhivago ci ha costretto a rileggere la Rivoluzione d’Ottobre più dell’opera di E. H. Carr? O che Il Gattopardo ci ha raccontato il Risorgimento con più efficacia di Giorgio Candeloro o di Rosario Romeo? Quanta verità storica c’era e c’è in entrambi? Difficile dirlo.
Prendo ad esempio un fatto: l’analisi e lo scavo intorno alla personalità del terrorista contemporaneo. I testi di letteratura non contengono il vero ma è la letteratura e non la storiografia a contenere quel meccanismo che ci fa entrare nei sentimenti del terrorista, li riporta alla luce e li descrive. Basta pensare a Merry Levov, la protagonista adolescente di Pastorale americana di Philip Roth; Yazdi, il figlio deficiente del cantastorie arabo Khilmi ne Il sorriso dell’agnello di David Grossman; Lee Harvey Oswald di Don DeLillo in Libra; Nafa Walid, il protagonista di Cosa sognano i lupi di Yasmina Khadra. Hanno in comune il vuoto della vita quotidiana. Nel racconto del vissuto di quel vuoto prende corpo lentamente la forza di una scelta e di una reazione che si fa violenza e che adotta la distruzione come codice di comportamento.
Oppure: come raccontare Teheran oggi? C’è qualche storico che abbia saputo descrivere il vissuto di Teheran dall’interno più di Azar Nafisi in Leggere Lolita a Teheran o di Jafar Panahi in Taxi Teheran? E quelle due diverse creazioni in che modo indicano un percorso di scavo e di indagine possibile?
E ancora. Rimaniamo in Italia. Prima e dopo Vajont, 9 ottobre 1963. Orazione civile di Paolini in che forma abbiamo parlato del Vajont? Usciamo di nuovo dall’Italia. Cos’era la consapevolezza della Francia di Vichy nell’opinione pubblica della Francia prima del film Lacombe Lucien di Louis Malle girato nel 1974? Non sono stati i processi Papon e Touvier, ma un film e, in subordine, una produzione storiografica, che ha avuto poi bisogno di uno storico statunitense (Paxton,Vichy France: Old Guard and New Order, 1940-1944, 1972) e di uno storico franco-israeliano (Zeev Sternhel Ni droite, ni gauche. L’ideologie fasciste en France, 1983), perché quella discussione pubblica assumesse la dimensione di un confronto non più eludibile. Lo stesso si potrebbe dire della narrativa di Javier Cercas in Spagna con L’impostore, ma soprattutto con Anatomia di un istante.
Lo stesso, inoltre, si potrebbe dire a proposito della discussione pubblica e del confronto (non per tifoserie), sul fascismo in Italia e sulla Resistenza.
Certo tutti possono ricordare e fare i paragoni con la monumentale biografia di Mussolini stesa da Renzo De Felice; tuttavia, perché quei temi si ponessero all’attenzione pubblica, occorreva che venisse sollevato l’interesse ed è accorso, in questo senso, Sergio Zavoli con Nascita di una dittatura; perché la discussione sul terrorismo, sulle BR, sul rapimento Moro ottenesse una dovuto approfondimento Il memoriale della Repubblica di Miguel Gotor è stato indispensabile ma senza Sergio Zavoli non avremmo fatto grandi passi avanti nella coscienza pubblica. Così non è un caso che, nonostante il Giorno della Memoria e nonostante le pietre d’inciampo, alla fine solo con una trasmissione di Alberto Angela sul 16 ottobre 1943 quella questione è diventata questione.
Infine, solo con Una guerra civile di Claudio Pavone, si è aperta in Italia, finalmente, una discussione non solo sulla Resistenza ma, soprattutto, sulla legittimità di altre fonti rispetto a quelle presenti nell’Archivio Centrale dello Stato come: i diari privati, le lettere, i racconti, la narrativa, la filmografia. In breve, si è aperta la possibilità di utilizzare e ricorrere a tutte le fonti e a tutti i linguaggi contemporanei.
Considero ancora, a trent’anni di distanza Una guerra civile. Saggio sulla moralità della Resistenza (1991) di Claudio Pavone (uno dei miei maestri) un testo fondamentale, per molti aspetti insuperato. E tuttavia, credo che quel libro non possa costituire il testo definitivo, soprattutto perché si ferma al 25 aprile 1945. Di quel libro, come progetto e contenuto, non solo è importante il titolo, ma anche, e per me soprattutto, il sottotitolo. Per questo ritenevo allora e ritengo tuttora che quel libro, così decisivo, dovesse spingersi oltre quella data. Quando cessarono gli spari, quella conflittualità proseguì, segnò molte vite e si innervò oltre il 1945 fino ai nostri giorni. Questa storia ancora deve essere raccontata con la stessa acribia, con la stessa capacità di saper leggere e usare le fonti, con la stessa voglia di scavo che c’è nel libro di Pavone, contro la facile narrativa di propaganda che va molto di moda da tempo e che ancora svetta nelle classifiche dei libri più venduti in Italia.
Dunque il tema è come si affronta con pacatezza e possibilmente senza tifoserie, ma con passione questa questione Il tema non riguarda come si scrive il vero, ma come si produce racconto e scavo nel passato in grado di riaprire la discussione sui luoghi comuni nel presente.
Non riguarda solo l’Italia, anzi dall’estero ci vengono molte suggestioni di lavoro.
Ne vogliamo parlare? Possibilmente senza tifoseria?
Underground Press. La controcultura statunitense nelle collezioni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Il movimento di contestazione statunitense, tra gli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta ha innescato il fenomeno dell’underground
press, capace di diffondersi da un capo all’altro degli Stati Uniti senza trascurare i centri di medie dimensioni.
Con questa pubblicazione viene presentata la collezione della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che consente di entrare in diretto contatto con la voce del Movement in tutte le sue articolazioni: dalle elaborazioni della New Left e dai giornali sorti dall’iniziativa studentesca nei campus contro la guerra in Vietnam ai periodici del movimento di rivendicazione dei diritti della comunità afroamericana, dai fogli delle comunità hippie alla cultura psichedelica, dalla stampa femminista alle prime testate dei gruppi di attivisti omosessuali, dagli organi dei sindacati indipendenti di lavoratori di colore fino ai fogli dei GI dissidenti. Documenti indispensabili per la ricostruzione della temperie culturale che influenzato il resto del mondo.