Sviluppo possibile
Capitolo 12
«Che cos’è il sottosviluppo?
Un nano dalla testa enorme e il torace gonfio è «sottosviluppato» […]; è il prodotto di un fenomeno teratologico che ha distorto il suo sviluppo. Questo è ciò che siamo noi, blandamente detti «sottosviluppati» […]. Siamo paesi dall’economia distorta dall’azione imperiale che ha sviluppato in modo anormale i rami industriali o agricoli necessari a completare la sua complessa economia.»
Dalla Conferenza su economia e pianificazione – Università popolare, 30 aprile 1961
Il problema del sottosviluppo
Lungo le strade della sua “Maiuscola America”, Ernesto Guevara de la Serna incontra una realtà che lo rimanda costantemente a questo problema: le realtà economiche, anche quelle apparentemente floride, vivono in funzione dell’esportazione, non generano processi di sviluppo consistenti e solidi.
Risollevare queste economie implica riorientare la produzione verso il mercato interno, ovvero tenere conto dei bisogni delle popolazioni, bisogni che sono prioritariamente di carattere materiale, ma non solo. Significa impegnarsi in politiche finanziarie volte allo sviluppo e dotarsi di una cultura di governo fondata su principi diversi.
La dimensione umana
Uscire dalla condizione di dipendenza economica in cui il continente latino-americano si trova a vivere implica mettere al centro la condizione di vita materiale, ma anche quelle per un miglioramento sensibile e significativo delle condizioni sociali e generali.
Più concretamente: investire sul miglioramento di vita nelle periferie, nei servizi essenziali alla persona, nell’educazione; prestare attenzione al risollevamento dell’industria nazionale. Il principio è dunque che si esce dalla condizione di sottosviluppo non solo attraverso “più industria”, ma dedicando attenzione alle popolazioni, adottando uno sguardo alle dimensioni umane per lo sviluppo.
Una politica economica e sociale
Questo approccio riprende le suggestioni dei padri dell’indipendenza latino-americana a partire da Simon Bolivar, ma non solo: tutte le politiche che hanno avuto come preoccupazione il riscatto dell’America latina hanno sempre dovuto confrontarsi con il tema del sottosviluppo, della riscoperta dell’interesse nazionale in funzione del riscatto complessivo di un continente e in nome di un’economia di cooperazione.
Il contrario di una filosofia economica e di una politica sovranista è ciò che pensatori economici e sociali propongono pensando a politiche di investimento interno che abbiano la forza per superare le contraddizioni profonde dell’America. Per esempio: l’urbanizzazione rapida e il degrado delle periferie, il governo delle risorse naturali e il progressivo impoverimento delle popolazioni indigene, la miseria diffusa.
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Di seguito, diverse copertine di riviste cubane intente a evocare e celebrare lo sviluppo dell’isola dopo la rivoluzione e a proporre lo stesso modello di sviluppo per tutta l’America Latina. Si noti l’attenzione che viene prestata non solo all’industria e agli aspetti più strettamente economici ma anche alla qualità della vita umana e al benessere morale dei cittadini.
Kit didattico: Città vivibile, città del futuro
Lo «Sviluppo del Sottosviluppo» in America Latina
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America latina
Le trasformazioni dell’America Latina
Kit didattico: Città vivibile, città del futuro
È ormai noto che la maggior parte della popolazione vive in agglomerati urbani e che entro la metà di questo secolo questa quota arriverà a oltre due terzi. La popolazione urbana è infatti in crescita costante: ogni anno aumenta di circa 60 milioni di persone.
Sebbene le città siano luogo di vita per un numero così elevato di persone, la rappresentazione delle stesse rimane indefinita. Da una parte c’è chi vede la città come un luogo di opportunità, di incontro, di diversità e di confronto, dall’altra chi la rappresenta come luogo di disuguaglianze e individualismo, di insicurezza e di inquinamento. Andando al di là delle differenti immagini che più che essere opposti di un continuum identificano aspetti che coesistono nella città contemporanea, il kit “Città vivibile, città del futuro” offre uno sguardo sulle evoluzioni dei contesti urbani. E, attraverso l’analisi del caso di Portland (Oregon), aiuta gli studenti a mettere a fuoco i fattori di vivibilità di una città quali la mobilità sostenibile, la produzione locale di cibo, l’energia rinnovabili e energia pulita, e la vitalità dei quartieri.
Lo «Sviluppo del Sottosviluppo» in America Latina
Come accogliere le trasformazioni salvaguardando le culture locali e senza rifiutare la trasformazione?
Nel tentativo di uscire da una dimensione di dipendenza economica e di impoverimento progressivo, lo sviluppo possibile dell’America Latina teorizzato dalla fine degli anni Sessanta metteva al centro i bisogni delle popolazioni locali come i servizi, l’educazione, la salvaguardia dei consumi e incentivava forme di intervento pubblico.
Guardando alla dimensione umana dello sviluppo lo scopo era quello di mettere in moto un’economia basata sulla cooperazione, per scardinare la dimensione centro/periferia tra paesi “supersviluppati” e paesi “sottosviluppati” generata dal sistema capitalistico e dal liberismo.
Questo opuscolo del CENDAC di Pistoia del 1973, conservato nel patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, racconta un “Terzo Mondo” di possibilità e di trasformazione.
Lo «Sviluppo del Sottosviluppo» in America Latina
La storia dell’America Latina, dalla conquista coloniale ai nostri giorni, è anche la storia dell’instaurazione e del consolidamento, nel corso dei secoli, delle strutture di dipendenza esterna e di dominio interno che hanno generato il fenomeno del sottosviluppo.
I legami formali di dipendenza politica delle colonie latino-americane rispetto alle metropoli europee – Spagna e Portogallo – furono spezzati nel corso del secondo decennio del XIX secolo, in un momento di indebolimento dei paesi iberici, entrambi occupati dalle armate napoleoniche. Questa formale indipendenza fu subito sostenuta, contro i tentativi di ricolonizzazione intrapresi poco dopo dalla Spagna e dal Portogallo, dalle nuove potenze in ascesa – Inghilterra e Stati Uniti – che vedevano nei nuovi paesi latino-americani un fertile terreno per la loro espansione economica e commerciale.
L’indipendenza, tuttavia, è stata solamente formale: i paesi latino-americani sventolavano ormai una bandiera nazionale, ma le loro ricchezze continuavano ad appartenere all’estero. Vi è stato un cambiamento solo nella forma di sfruttamento (paesaggio dal saccheggio coloniale diretto alla dominazione economica e commerciale) e una costituzione delle potenze dominanti (rimpiazzo dei decadenti paesi iberici da parte dei pionieri della rivoluzione industriale: Inghilterra e Stati Uniti). In effetti, un secolo dopo le vittorie ottenute nelle «guerre di indipendenza», l’economia dei paesi latino-americani continuava a seguire un modello neo-coloniale: da una parte, l’esportazione delle materie prime (oro, argento, rame, stagno, ferro e petrolio) e dei beni alimentari (caffè, cacao, tabacco, zucchero, frutti tropicali) verso i paesi industrializzati; d’altra parte l’importazione dei manufatti (in special modo dei prodotti di lusso destinati al consumo delle locali classi dominanti) provenienti da queste stesse metropoli industrializzate.
Dal punto di vista della struttura economica interna ad ogni paese, c’era coesistenza fra un piccolo settore agricolo o minerario, dedito all’esportazione e spesso controllato direttamente da imprese straniere, e un immenso settore agricolo dedito all’economia di sussistenza (cioè alla produzione di alimenti necessari a nutrire la popolazione del paese) e controllato politicamente da una oligarchia di grandi proprietari terrieri . Ogni dinamismo economico proveniva da quel settore esportatore, in genere specializzato nella produzione di un singolo prodotto alimentare o nell’estrazione di una singola ricchezza mineraria. Si trattava di vere «enclaves» straniere localizzate nel territorio nazionale, che erano integrate in un sistema di produzione ed in un circuito commerciale controllato dai paesi industrializzati, sotto due aspetti:
- lo sfruttamento di questi «enclaves» si fondava su un rapporto di capitale e di tecnologie esterne;
- di mercato consumatore per i prodotti di piantagioni tropicali o per i giacimenti minerari si trovava anche all’estero.
In queste condizioni, l’impatto di queste «enclaves» nell’economia nazionale era estremamente ridotto. L’unico contatto di queste isole straniere con il paese in cui essi si trovavano consisteva nell’utilizzazione intensiva della locale mano d’opera, sempre abbondante e pronta a lavorare per un compenso spesse volte inferiore a quello che ricevevano gli operai delle metropoli, già organizzati politicamente in sindacati o gruppi di pressione.
Dal punto di vista politico, il governo era monopolio della classe dei grandi proprietari terrieri, in questa società in cui la stasi economica andava al passo con una paralisi sociale e politica. Dato che il dinamismo economico proveniva unicamente dal settore dedito all’estero, le società latino-americane sembravano congelate nel tempo. In effetti, è solo conseguenza di due avvenimenti esterni ai paesi latino-americani – la grande crisi economica mondiale degli anni trenta e in seguito la seconda guerra mondiale – che questo schema neo-coloniale di dipendenza e questo equilibrio politico e sociale fondato sulla stati verrà messo in discussione.
Di seguito le fonti digitalizzate tratte dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, clicca sull’immagine per scaricare il documento.
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America latina
Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina ripercorre le vicende politiche, economiche e sociali di alcuni paesi dell’America Latina nell’arco dell’ultimo quarto di secolo.
Stato di salute della democrazia, gestione di politica economica, pulsioni populiste e tentazioni autoritarie, protagonismo di movimenti sociali e politici rappresentano le chiavi interpretative dei saggi qui raccolti.
Saggi che consentono di delineare una visione d’insieme della parabola del ciclo progressista che ha caratterizzato la regione in questa prima parte del XXI secolo.
Prezzo: € 2,99
Le trasformazioni dell’America Latina
Per lo storico Eric Hobsbawm l’America Latina era “un laboratorio del cambiamento storico, un continente fatto apposta per scardinare le verità convenzionalmente accettate”.
L’America Latina è un altro occidente, sospeso tra la modernità di megalopoli punteggiate da grattacieli e gli arcaismi degli altopiani andini e delle giungle. Un continente sospeso tra sviluppo e sottosviluppo, tra l’Ovest e il Sud del mondo. Un continente cha si è ispirato alle culture politiche mutuate dall’Europa, ma che le ha riadattate al proprio contesto e alle proprie sfide, forgiando fenomeni e vocabolari politici non perfettamente decifrabili con i canoni interpretativi che segnano le coordinate del dibattito pubblico europeo. Un continente attraversato da trasformazioni che interrogano anche noi, dall’altra parte dell’Atlantico. Che ci parla di sperimentazioni politiche, economiche e sociali di un mondo in divenire che sembra destinato ad esercitare un peso crescente nella vita internazionale del prossimo futuro. Un mondo in cui sono emblematiche e cruciali, forse più che in altri contesti, le sfide dell’utilizzo delle risorse, della risoluzione delle diseguaglianze, del riconoscimento dei diritti.
Nonostante tutte le diversità che attraversano da un capo all’altro l’America Latina, il subcontinente sembra essere tenuto insieme da una sorta di “comunità di destino” che ammette poche eccezioni. Dopo aver vissuto il trauma delle dittature militari tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, il ritorno alla democrazia è stato accompagnato per due decenni dall’adozione delle ricette economiche neoliberiste dettate dai piani di aggiustamento strutturale promossi da Fondo monetario internazionale e Banca mondiale. Piani di aggiustamento caratterizzati dalla dismissione del settore pubblico in economia; dalle liberalizzazioni, dalle deregolamentazioni, dalle misure di austerità nel tentativo di contenere il mostro del debito, dal taglio alle spese sociali. Molti hanno definito questo periodo “il decennio perduto” per le conseguenze economiche e le ricadute sociali che quelle scelte hanno prodotto.
Sul finire degli anni Novanta, la crisi economica, il disagio sociale, la delegittimazione della classe politica hanno prodotto grida di rabbia e di sfiducia che hanno echeggiato nell’intero Cono Sud, da Caracas a Buenos Aires.
E’ in questo contesto che all’inizio del XXI secolo diversi paesi dell’America Latina sono stati teatro di un significativo cambio di paradigma politico. Nuovi movimenti e nuovi leader si sono imposti in libere consultazioni elettorali e, con modalità e radicalità differenti, hanno dato corso a un nuovo ciclo progressista. Un cambiamento che è stato definito marea rosada.
Questa marea ha avuto alla sua base dei tratti portanti comuni: il rifiuto delle politiche neoliberiste; la ricerca di uno sviluppo diverso, basato su un ruolo attivo del settore pubblico in economia e sul sostegno al welfare nel tentativo di realizzare un modello che tenesse in un rapporto simbiotico la crescita economica e l’inclusione sociale.
L’attenzione posta nell’azione di governo agli strati più marginali della popolazione nel campo dei diritti sociali ha dato risultati lusinghieri in termini di riduzione della povertà e di rafforzamento delle classi medie.
La povertà nella regione è diminuita dal 42 al 25% grazie alle politiche redistributive. Passi avanti significativi sono stati compiuti anche sulla strada dell’integrazione regionale e della cooperazione con gli altri Sud del mondo.
In questo quindicennio l’America Latina ha rappresentato un interessante laboratorio.
E’ stato questo scenario che ha fatto parlare, con qualche forzatura, il sociologo brasiliano Emir Sader, dell’Università di San Paolo, di un “modello latinoamericano”. Un modello che veniva vantato non solo come superiore dal punto di vista economico rispetto al modello neoliberale nordamericano ma che veniva valorizzato in quanto superiore anche dal punto di vista politico, sociale e morale.
Tuttavia la marea rosada, come è stata definita, sembra essere ormai rifluita in gran parte in una risacca grigia (resaca gris). Il ciclo progressista è riuscito a redistribuire la ricchezza ma non è riuscito a cambiare la realtà di economie dipendenti dall’esportazione di materie prime. La sua sfida pare essersi arenata contro gli scogli costituiti del calo del prezzo delle commodities e dall’appannamento della capacità dei governi di sinistra di costruire consenso attorno alle loro proposte nella nuova e difficile congiuntura.
Oggi la risacca disegna un continente che assomiglia più a un caleidoscopio che a una realtà definibile in termini di “modello” e i paesi del subcontinente attraversano una fase di incertezza e inquietudine circa la direzione di fondo da perseguire per determinare le loro politiche.
Spartaco Puttini
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli