Il Che vive!
Capitolo 11
Il Che disse un giorno ai suoi guerriglieri in Bolivia: “Questo genere di lotta ci dà l’occasione di trasformarci in rivoluzionari, il più alto gradino a cui può giungere l’uomo, ma anche di diventare uomini nel senso più completo della parola […]”
Il lascito
Al termine della biografia di Carlo Pisacane, pubblicata nel 1932, a proposito della sua morte in seguito alla spedizione di Sapri (2 luglio 1857) – che molti hanno visto come la “scena madre” della morte del Che più o meno 110 anni dopo –, Nello Rosselli scrive: «Il viandante ansioso di varcare il torrente getta pietre una sull’altra, nel profondo dell’acqua, poi posa sicuro il suo piede sulle ultime, che affiorano, perché sa che quelle scomparse nel gorgo sosterranno il suo peso. Pisacane, anche lui, pareva sparito nel nulla. Ma sulla sua vita, sulla sua morte poteva posare, e posa, uno dei pilastri granitici dell’edificio italiano».
Così è anche per Ernesto Guevara, sottraendolo al mito e guardando le idee forza, le sfide cui la sua azione voleva rispondere. Vuol dire chiedersi quale forma di sviluppo intraprendere e condividere; quale prospettiva di rapporto tra Nord e Sud del mondo condividere e fare propria; quale idea scegliere e praticare di presenza, di impegno nella vita quotidiana.
Sulle orme del Che
Per farlo bisogna ritrovare il percorso in cui curiosità diventa conoscenza. Un percorso in cui “andare a guardare la realtà com’è” implica sapere dove stiano i punti cruciali delle questioni del proprio tempo, affrontare con “voglia di sapere”, prima ancora che con la “voglia di fare”, i nodi della realtà di cui si è parte, comprendere che quelle sfide non sono un ripiegamento “a casa propria”, ma hanno un significato se si preoccupano di coniugarsi con le sfide che il presente propone.
Perché questo avvenga occorre avere curiosità, e soprattutto tenere gli occhi aperti. Ovvero dotarsi di uno “sguardo dall’alto”, fare proprio il vocabolario e le questioni del proprio tempo e vederle oltre il proprio tempo. Significa non accontentarsi di ciò che c’è, ma cercare di dare alle scene del presente uno sfondo. Di fornirle di un vocabolario fatto di categorie che danno il senso alle questioni drammatiche del proprio presente. Cercare, essere inquieti, non “fare di necessità virtù”.
Sfidare il presente per cambiarlo significa avere “nostalgia del futuro”. Come ha detto varie volte Vittorio Foa, quella nostalgia non nasce dal sogno, ma dalla passione per il cambiamento, talvolta anche “abbandonando le cose care per cercare”.
Guarda la photogallery
Le immagini che seguono, tutte riproduzioni di copertine di pubblicazioni, ci mostrano un “Che” ormai iconizzato e “vivo” nella memoria di molti come simbolo di riscatto e di rivoluzione.
Kit didattico: La storia della rivoluzione di ottobre (II grado)
Che Guevara: oltre la storia e fuori dal mito
Più di un’icona. Sull’eredità di Che Guevara a 50 anni dalla morte
Carlo Pisacane
Kit didattico: La storia della rivoluzione di ottobre (II grado)
Proposta percorso scuole secondarie di II grado
A cent’anni dall’inizio della Rivoluzione Russa si analizzano le trasformazioni e l’impatto, anche a livello globale, che ha comportato un avvenimento storico di questa portata.
Viene ripercorsa la vicenda da un punto di vista storico attraverso le tappe di sviluppo più importanti dal 1917 a oggi. Il kit didattico approfondisce i temi che portano alla conoscenza di una “grande trasformazione” politica, sociale, culturale e economica quale fu quella portata dalla rivoluzione bolscevica che ebbe ripercussioni profonde non solo nella storia russa e europea del XX secolo, ma in quella di tutto il mondo. Il mito che essa generò fuori dalla Russia alimentò infatti aspettative e speranze di riscatto che furono alla base di molti movimenti di liberazione nazionali nel lungo e complesso processo di decolonizzazione.
Viene illustrato il ruolo che le donne svolsero nella rivoluzione e gli apporti che alcune di loro diedero non solo alla formulazione politica della questione femminile, alla lotta per l’uguaglianza e la parità dei diritti della donna, ma anche alla realizzazione di una legislazione sociale all’avanguardia per la tutela delle donne nella Russia degli anni tra il 1917 e il 1920.
Joseph Roth, invece, rappresenta uno dei primi testimoni occidentali che raccontano come veniva percepiti gli eventi di quel periodo; infine un attento lavoro di ricerca porta alla luce il tema della costruzione della memoria nella Russia di oggi in cui, a cento anni di distanza, la Rivoluzione d’ottobre rimane un’eredità difficile da gestire, raccontare e celebrare.
Che Guevara: oltre la storia e fuori dal mito
Che Guevara è stato per molti un simbolo, per alcuni un esempio. Dei grandi miti del Novecento, è forse quello che più di altri ha superato il passaggio del secolo. Ma appiattirsi sulla sua dimensione mitica non sarebbe rendere giustizia al personaggio storico e al suo slancio ideale.
Occorre guardare invece al contesto nel quale si è formato e alle idee forza, alle sfide alle quali la sua azione voleva rispondere.
Allora troveremo un’agenda di temi, di problemi, non ancora risolti e tuttora acuti.
Si tratta di ritrovare il percorso in cui curiosità diventa conoscenza e la conoscenza il lievito della scelta e dell’impegno politico.
Ernesto Guevara muove i suoi primi passi per amore dell’avventura e per sete di conoscenza. Il suo viaggio con l’amico Granado è un viaggio nel senso proprio del termine: non solo di scoperta di un contesto ma anche di formazione della sua persona. Guevara vuole sempre mescolarsi agli ultimi, alle persone comuni, alle masse dei diseredati dell’America Latina. Come medico prende contatto con la miseria. Come appassionato di archeologia non può che misurare la distanza che corre tra le grandezze raggiunte dalle civiltà precolombiane travolte dal colonialismo e la marginalità cui sono costretti gli indios a metà degli anni Cinquanta.
Ernesto Guevara
Durante il suo secondo viaggio è già cambiato. Vuole essere dove accade la storia, nelle pieghe del tormentato processo di cambiamento che sembra possibile nella regione: in Bolivia nel 1952 e in Guatemala nel 1954. Sono allora in corso in quei paesi tentativi diversi e parziali di cambiare la sorte delle masse popolari con politiche di riforme radicali: riforma agraria, riconoscimento dei diritti sindacali. Tentativi destinati a fallire e il cui fallimento segna il giovane Guevara. E’ in un contesto segnato da delusioni che Guevara conosce Fidel Castro e aderisce al suo movimento rivoluzionario.
Lungo le strade della sua “Mayúscula América”, Guevara incontra una realtà che lo rimanda costantemente a questo problema: le economie, anche quelle apparentemente floride, vivono in funzione dell’esportazione, non generano processi di sviluppo consistenti e solidi.
Risollevare queste economie implica riorientare la produzione verso il mercato interno, ovvero tenere conto dei bisogni delle popolazioni. Uscire dalla condizione di dipendenza economica in cui il continente latinoamericano si trova implica affrontare la questione del rapporto tra il Nord e il Sud del mondo, tra il centro e la periferia. È il tema della decolonizzazione. È la ricerca di trovare una propria strada per lo sviluppo: quella della cooperazione e dell’integrazione regionale; quella della redistribuzione della ricchezza e dell’uso consapevole delle risorse; della definizione delle forme dell’intervento pubblico e della costruzione di una cittadinanza cosciente e partecipe del processo di emancipazione.
Si esce dalla condizione di sottosviluppo adottando uno sguardo alle dimensioni umane per lo sviluppo. Includendo le popolazioni indie degli altipiani e delle migrazioni verso le città e non dimenticando le masse popolari urbane delle periferie delle megalopoli.
Una sfida aperta, che interroga il futuro dell’America Latina e non solo dell’America Latina.
Più di un’icona. Sull’eredità di Che Guevara a 50 anni dalla morte
L’anniversario della morte di Che Guevara ha rappresentato, com’era naturale e prevedibile, un’occasione per interrogarsi, al di qua e al di là dell’Atlantico, sulla forza del suo mito rivoluzionario. È rimasto per lo più in sordina il discorso sui contenuti della sua azione e della sua eredità politica. Un’eredità che pure è ancora viva e operante per il futuro dell’America Latina.
Nella ricorrenza del mezzo secolo dalla scomparsa di uno dei più celebri uomini del Novecento, il discorso pubblico si è concentrato prevalentemente sulle ragioni di una forza simbolica che si è mostrata capace di rompere ogni barriera del tempo e dello spazio: di sopravvivere alla fine del socialismo e al trionfo del neoliberismo, di suscitare commosso rimpianto – o anche indignato rigetto – in esponenti di più generazioni, di riverberare dall’America Latina fino ai più remoti angoli del pianeta.
In linea di massima, non sembra che questo anniversario sia servito a sollecitare riflessioni che provassero a dare davvero dei contenuti all’aura mitologica del personaggio, in particolare collocando la vicenda di Ernesto Che Guevara – la sua vita di rivoluzionario, la sua morte – nello scenario dell’America Latina, magari per provare a interrogarsi su quale apporto concreto, al di là delle illusioni e dei fallimenti, ha dato Guevara al cammino del continente e su quale eredità politica ha lasciato.
Per trovare qualcosa di interessante in questo senso dobbiamo lasciar perdere il discorso pubblico sollecitato dalla ricorrenza e rifarci a un articolo di qualche anno fa, pubblicato sulla rivista Recherches internationales (n° 93, janvier-mars 2012, pp.143-160) e liberamente consultabile sul sito dell’associazione francese Mémoire des luttes: La pensée du Che et les processus actuels d’émancipation en Amérique latine.
Il ragionamento dei due autori, Jean Ortiz e Marielle Nicholas, entrambi specialisti di storia e cultura dell’America Latina, lega il pensiero politico di Che Guevara ai successivi movimenti politici e sociali che, fino a oggi, hanno attraversato il subcontinente.
Copertina della rivista Bohemia sull’iconografia di Ernesto Guevara tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
L’eredità politica di Guevara – sedimentata in una ricchissima messe di scritti ufficiali e appunti, che dà l’impressione di una formazione ideologica e culturale sempre in fieri, mai data per acquisita – coincide con un’idea di socialismo che non è mai dottrina: come fu, anche se in modo molto diverso, per Gramsci (il paragone è espressamente formulato dagli autori), per Guevara il marxismo è un processo e ciò che egli traccia con la sua vita di rivoluzionario è «una traiettoria insieme intellettuale e pratica, una convinzione in atto, un pensiero laboratorio» (p. 144).
È proprio questa dimensione “laboratoriale” a fare di Che Guevara, più che un’icona eterea e lontana, una vera e propria «cassetta degli attrezzi» per quanti dopo di lui hanno agito per l’emancipazione dell’America Latina dalla sua secolare dipendenza dalle logiche economiche e politiche dell’imperialismo. Che Guevara trova il suo posto in una filiera ideale che parte da Simon Bolivar e passa attraverso José Martí, proponendo una «visione continentale» dei problemi sudamericani che fa da sfondo alla ricerca di soluzioni condivise tra tutti i paesi dell’area. In un processo che è altro e diverso rispetto alle vicende del mondo occidentale, una differenza che – secondo gli autori – sta anche alla base di tanti degli equivoci che viziano la lettura eurocentrica della storia più recente dell’America Latina.
Il dibattito di questi giorni è stato invece pigro ed indolente, mancando di leggere in chiave problematica e critica le vicende di Ernesto Guevara.
La discussione globale sul mito del Che si è indissolubilmente legata a quella della sua rappresentazione iconica, cristallizzata nel ritratto dai toni messianici di Alberto Korda: un’immagine che proprio in clima di anniversario ha riconfermato la sua forza pervasiva, rimbalzando nella rete nelle sue molte declinazioni, dalle più filologiche alle più pop, e basta farsi un giro sull’hashtag cheguevara di Twitter per farsi un’idea della portata del fenomeno.
Mentre anche l’accademia si interroga sulla forza simbolica di Guevara (si veda per esempio il ricco programma di un convegno internazionale che si terrà a giorni presso l’Université Versailles Saint Quentin) e si susseguono le iniziative pubbliche che ruotano attorno all’icona (ha fatto discutere, a tal proposito, la scelta delle Poste irlandesi di dedicare al Che di Korda un francobollo, onorando le antiche radici del padre dell’eroe), sui media si è riproposta la diatriba tra la radicata memoria di sinistra che esalta lo spirito umanitario del comandante argentino e il revisionismo di chi – per lo più da destra – fa leva sui trascorsi guerriglieri di Guevara per farne emergere, come verità a lungo taciuta, i tratti più sanguinari, mentre l’Economist ha pubblicato un articolo in cui si invitano le sinistre a «seppellire Che Guevara una volta per tutte» per scegliersi dei simboli meno radicali e più dem.
Carlo Pisacane
Carlo Pisacane è moderno, afferma Franco Venturi in questo testo, una lectio tenuta all’Università di Genova nel dicembre 1956 alle soglie del centenario della morte di Pisacane.
“Moderno ce lo rende il suo insaziabile desiderio di analizzare, di penetrare la società, i rapporti fra gli uomini, unite, e tormentosamente unito, alla decisione di incidere sulla realtà, di dedicarsi integralmente ad un immediato e totale compimento del suo ideale politico. Analisi della società e azione risoluta stanno in lui in un rapporto che ci attrae dopo cent’anni e che ce lo fa ancora sentire contemporaneo”.
E questo perché al contrario di quanto si può dedurre dalla scena della morte che rischia di mangiarsi tutto il corpo e tutta la vita di Pisacane (così come di Che Guevara di cui a ottobre ricorrerà il cinquantesimo della morte) egli è la testimonianza della vita reale.
Pisacane, più di molti altri esuli, è un irregolare della vita. È, almeno apparentemente, un uomo d’infinite contraddizioni. Proprio per questo è un individuino vero e non una caricatura: è il nobile che esalta la plebe e predica l’anarchia; il teorico che odia i dottrinari, il celebratore dell’istinto, preoccupato di giustificare la sua condotta e di ridurre a logico sistema la sua dottrina, lo scrittore militare e l’anti garibaldino che muore con un pugno di uomini in una spedizione infelice, l’antimazziniano che getta la vita in un tentativo mazziniano, il materialista, il propugnatore del diritto contro il dovere, esule per amore e per passione di patria, e disperatamente votato alla morte , il soldato avido di gloria che rifugge dal parlar di sé, sdegna la lode ed il biasimo.
Una importante lezione di storia e di riflessione che un grande storico ci dà su come il presente va a leggere il passato e lo ripropone nel presente.
Conosci gli autori
Franco Venturi (1914 – 1994) Esponente attivo del movimento “Giustizia e Libertà”. Condannato al carcere e al confino dal regime fascista. Prof. di storia moderna, dal 1959 al 1994 fu direttore responsabile della Rivista storica italiana. Socio nazionale dei Lincei (1984). Studioso dei rapporti tra cultura e politica nel Settecento europeo e nell’Ottocento russo, svolse ricerche fondamentali sull’illuminismo e sulle origini del socialismo moderno, mettendo in luce il nesso tra passione intellettuale, utopia e riforme. Tra le sue opere: Le origini dell’Enciclopedia (Einaudi 1946); Il populismo russo (Einaudi 2 voll., 1952); Utopia e riforma nell’Illuminismo (Einaudi 1970); Settecento riformatore (Einaudi 5 voll., 1969-90).
David Bidussa (1955) è il responsabile delle attività editoriali di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Tra le sue pubblicazioni: La France de Vichy (Feltrinelli, 1997); Leo Valiani tra politica e storia (Feltrinelli, 2009), Dopo l’ultimo testimone (Einaudi 2009) e Il passato al presente con Paolo Rumiz e Carlo Greppi (Fondazione Feltrinelli, 2016). Ha curato Antonio Gramsci, La città futura (Aragno 2017) e Victor Serge, Da Lenin a Stalin (Bollati Boringhieri 2017).