L’eredità
Capitolo 10
«Nuovi focolai di guerra sorgeranno in questi e altri paesi americani, come è successo in Bolivia, e si svilupperanno con tutte le vicende che questo pericoloso mestiere di rivoluzionario moderno comporta.»
Ernesto Che Guevara, Creare due, tre… molti Vietnam è la consegna dei popoli
Il sogno rivoluzionario
Dopo il fallito tentativo rivoluzionario in Congo e alcuni mesi di permanenza in Tanzania e a Praga, il Che torna a Cuba verso la metà del 1966 per organizzare il nuovo progetto che aveva maturato: accendere un focolare di guerriglia nel cuore dell’America Latina, a partire dal quale potessero irradiarsi colonne rivoluzionarie nei diversi paesi.
Questo sua concezione della lotta su scala continentale è esposta nel suo celebre scritto “Creare due, tre … molti Vietnam”, pubblicato nell’aprile del 1967, quando Guevara si trovava già nella selva boliviana da diversi mesi. La Bolivia, confinante con 5 paesi, si presentava ai suoi occhi come il luogo ideale per dare inizio alla sua idea di internazionalizzare e coordinare la lotta guerrigliera. In una fase avanzata del conflitto, Guevara avrebbe potuto guidare la colonna argentina, coronando il suo sogno di portare la rivoluzione nel suo paese di origine.
La fine
Nonostante la grandiosità del progetto, la guerriglia del Che superò appena le fasi iniziali del piano. L’incapacità di guadagnare adesioni tra la popolazione contadina, l’isolamento del luogo scelto, la perdita di comunicazioni con la città e con L’Avana, la posizione negativa del Partito comunista boliviano sulla scelta della guerriglia, le diserzioni di alcuni combattenti e la loro successiva collaborazione con l’esercito, attraverso la professionalizzazione dei militari nella lotta controrivoluzionaria col supporto statunitense, sono solo alcuni dei fattori che favorirono l’insuccesso.
L’8 ottobre del 1967, 11 mesi dopo il suo arrivo in Bolivia, dopo un assedio militare che consumò progressivamente le forze guerrigliere, il Che venne catturato e fucilato il giorno seguente a La Higuera.
Il “Diario del Che” e la sua pubblicazione
Guevara aveva con sé diverse agende manoscritte. Due di esse costituivano il suo diario di guerriglia, secondo un costume che risaliva ai suoi primi viaggi per il continente. L’esercito boliviano e gli agenti della CIA presenti sul campo fotografarono il contenuto dei diari e presto le grandi case editrici nordamericane si interessarono alla sua pubblicazione. Tuttavia fu Fidel Castro che a metà del 1968 sorprese tutti annunciando l’imminente pubblicazione del Diario del Che in Bolivia. I cubani riuscirono ad avere una copia del manoscritto attraverso il ministro dell’Interno boliviano (che disertò con una copia) e due giornalisti della rivista cilena di sinistra Punto Final. Il 2 luglio del 1968 il libro venne distribuito gratuitamente in tutte le librerie cubane.
Per il timore di pubblicazioni apocrife all’estero, ad alcuni editori stranieri vennero ceduti i diritti dell’opera. In Italia, fu l’editore Feltrinelli a pubblicare il Diario. L’edizione ha una particolarità: in copertina, oltre all’immagine iconica di Korda, si poteva leggere che gli utili della vendita sarebbero stati devoluti interamente ai movimenti rivoluzionari dell’America Latina. Questa dichiarazione di intenti che provocò un’interrogazione parlamentare.
Guarda la photogallery
Nel percorso iconografico proposto di seguito si possono visualizzare materiali di vario tipo che documentano i mesi finali della vita di Che Guevara e l’enorme interesse suscitato dai suoi diari dopo la morte.
Innanzitutto, diverse foto mostrano la Bolivia di quei tempi e la permanenza in questo paese del rivoluzionario argentino. Tra queste ultime, anche la foto del cadavere del Che esposto dai militari colombiani. Poi diverse pagine del Granma, il quotidiano cubano, dedicate alla morte di Guevara; e, infine, la copertina, con la scritta incriminata, della prima edizione italiana dei diari proposta da Feltrinelli.
Dal patrimonio: in occasione della chiusura della mostra, la Fondazione propone il Kit didattico ‘900 la Stagione dei Diri
Che Guevara: oltre la storia e fuori dal mito
Più di un’icona. Sull’eredità di Che Guevara a 50 anni dalla morte
il Che Vive! Ernesto Guevara e l’America Latina nel patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Dal patrimonio: in occasione della chiusura della mostra, la Fondazione propone il Kit didattico ‘900 la Stagione dei Diritti \ Scarica il kit e visita il portale Scuoladicittadinanzaeuropea.it
Il Novecento è il secolo dei grandi cambiamenti e delle grandi conquiste: ad ogni livello della vita collettiva ha scardinato il sistema costituito.
Momenti di ribellione, lotte, riscatti hanno segnato il processo di emancipazione di soggetti prima tenuti ai margini della vita pubblica (lavoratori, donne, giovani, minoranze, popoli coloniali, etc.).
Questo processo non è stato lineare ma è stato segnato anche da arretramenti, dalla confisca di diritti dati per acquisiti, da contrattazioni sulla base dei rapporti di forza tra istanze e interessi contrapposti in cui si articolava la società.
Per i movimenti rivendicativi del Novecento è stata la piazza il luogo fisico in cui è avvenuta la presa di parola. Sono state le piazze a fare la storia, con i loro cortei, i loro assembramenti, i loro comizi, i loro momenti di condivisione e affermazione di parole d’ordine e istanze, come una nuova agorà decisionale in grado di ridisegnare i contorni della cittadinanza e della comunità.
In alcuni casi la piazza ha rappresentato il luogo in cui si sono affermate forze che hanno chiesto e ottenuto la marginalizzazione e l’annullamento dei diritti di interi gruppi sociali. Il Novecento insegna che la conquista dei diritti non deve essere data per scontata e che la loro stessa definizione dipende da condizioni sociali, culturali e politiche in continuo cambiamento. Proprio per questo la loro difesa e il loro ampliamentodipendono dall’impegno di tutti noi.
Che Guevara: oltre la storia e fuori dal mito
Che Guevara è stato per molti un simbolo, per alcuni un esempio. Dei grandi miti del Novecento, è forse quello che più di altri ha superato il passaggio del secolo. Ma appiattirsi sulla sua dimensione mitica non sarebbe rendere giustizia al personaggio storico e al suo slancio ideale.
Occorre guardare invece al contesto nel quale si è formato e alle idee forza, alle sfide alle quali la sua azione voleva rispondere.
Allora troveremo un’agenda di temi, di problemi, non ancora risolti e tuttora acuti.
Si tratta di ritrovare il percorso in cui curiosità diventa conoscenza e la conoscenza il lievito della scelta e dell’impegno politico.
Ernesto Guevara muove i suoi primi passi per amore dell’avventura e per sete di conoscenza. Il suo viaggio con l’amico Granado è un viaggio nel senso proprio del termine: non solo di scoperta di un contesto ma anche di formazione della sua persona. Guevara vuole sempre mescolarsi agli ultimi, alle persone comuni, alle masse dei diseredati dell’America Latina. Come medico prende contatto con la miseria. Come appassionato di archeologia non può che misurare la distanza che corre tra le grandezze raggiunte dalle civiltà precolombiane travolte dal colonialismo e la marginalità cui sono costretti gli indios a metà degli anni Cinquanta.
Ernesto Guevara
Durante il suo secondo viaggio è già cambiato. Vuole essere dove accade la storia, nelle pieghe del tormentato processo di cambiamento che sembra possibile nella regione: in Bolivia nel 1952 e in Guatemala nel 1954. Sono allora in corso in quei paesi tentativi diversi e parziali di cambiare la sorte delle masse popolari con politiche di riforme radicali: riforma agraria, riconoscimento dei diritti sindacali. Tentativi destinati a fallire e il cui fallimento segna il giovane Guevara. E’ in un contesto segnato da delusioni che Guevara conosce Fidel Castro e aderisce al suo movimento rivoluzionario.
Lungo le strade della sua “Mayúscula América”, Guevara incontra una realtà che lo rimanda costantemente a questo problema: le economie, anche quelle apparentemente floride, vivono in funzione dell’esportazione, non generano processi di sviluppo consistenti e solidi.
Risollevare queste economie implica riorientare la produzione verso il mercato interno, ovvero tenere conto dei bisogni delle popolazioni. Uscire dalla condizione di dipendenza economica in cui il continente latinoamericano si trova implica affrontare la questione del rapporto tra il Nord e il Sud del mondo, tra il centro e la periferia. È il tema della decolonizzazione. È la ricerca di trovare una propria strada per lo sviluppo: quella della cooperazione e dell’integrazione regionale; quella della redistribuzione della ricchezza e dell’uso consapevole delle risorse; della definizione delle forme dell’intervento pubblico e della costruzione di una cittadinanza cosciente e partecipe del processo di emancipazione.
Si esce dalla condizione di sottosviluppo adottando uno sguardo alle dimensioni umane per lo sviluppo. Includendo le popolazioni indie degli altipiani e delle migrazioni verso le città e non dimenticando le masse popolari urbane delle periferie delle megalopoli.
Una sfida aperta, che interroga il futuro dell’America Latina e non solo dell’America Latina.
Più di un’icona. Sull’eredità di Che Guevara a 50 anni dalla morte
L’anniversario della morte di Che Guevara ha rappresentato, com’era naturale e prevedibile, un’occasione per interrogarsi, al di qua e al di là dell’Atlantico, sulla forza del suo mito rivoluzionario. È rimasto per lo più in sordina il discorso sui contenuti della sua azione e della sua eredità politica. Un’eredità che pure è ancora viva e operante per il futuro dell’America Latina.
Nella ricorrenza del mezzo secolo dalla scomparsa di uno dei più celebri uomini del Novecento, il discorso pubblico si è concentrato prevalentemente sulle ragioni di una forza simbolica che si è mostrata capace di rompere ogni barriera del tempo e dello spazio: di sopravvivere alla fine del socialismo e al trionfo del neoliberismo, di suscitare commosso rimpianto – o anche indignato rigetto – in esponenti di più generazioni, di riverberare dall’America Latina fino ai più remoti angoli del pianeta.
In linea di massima, non sembra che questo anniversario sia servito a sollecitare riflessioni che provassero a dare davvero dei contenuti all’aura mitologica del personaggio, in particolare collocando la vicenda di Ernesto Che Guevara – la sua vita di rivoluzionario, la sua morte – nello scenario dell’America Latina, magari per provare a interrogarsi su quale apporto concreto, al di là delle illusioni e dei fallimenti, ha dato Guevara al cammino del continente e su quale eredità politica ha lasciato.
Per trovare qualcosa di interessante in questo senso dobbiamo lasciar perdere il discorso pubblico sollecitato dalla ricorrenza e rifarci a un articolo di qualche anno fa, pubblicato sulla rivista Recherches internationales (n° 93, janvier-mars 2012, pp.143-160) e liberamente consultabile sul sito dell’associazione francese Mémoire des luttes: La pensée du Che et les processus actuels d’émancipation en Amérique latine.
Il ragionamento dei due autori, Jean Ortiz e Marielle Nicholas, entrambi specialisti di storia e cultura dell’America Latina, lega il pensiero politico di Che Guevara ai successivi movimenti politici e sociali che, fino a oggi, hanno attraversato il subcontinente.
Copertina della rivista Bohemia sull’iconografia di Ernesto Guevara tratta dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
L’eredità politica di Guevara – sedimentata in una ricchissima messe di scritti ufficiali e appunti, che dà l’impressione di una formazione ideologica e culturale sempre in fieri, mai data per acquisita – coincide con un’idea di socialismo che non è mai dottrina: come fu, anche se in modo molto diverso, per Gramsci (il paragone è espressamente formulato dagli autori), per Guevara il marxismo è un processo e ciò che egli traccia con la sua vita di rivoluzionario è «una traiettoria insieme intellettuale e pratica, una convinzione in atto, un pensiero laboratorio» (p. 144).
È proprio questa dimensione “laboratoriale” a fare di Che Guevara, più che un’icona eterea e lontana, una vera e propria «cassetta degli attrezzi» per quanti dopo di lui hanno agito per l’emancipazione dell’America Latina dalla sua secolare dipendenza dalle logiche economiche e politiche dell’imperialismo. Che Guevara trova il suo posto in una filiera ideale che parte da Simon Bolivar e passa attraverso José Martí, proponendo una «visione continentale» dei problemi sudamericani che fa da sfondo alla ricerca di soluzioni condivise tra tutti i paesi dell’area. In un processo che è altro e diverso rispetto alle vicende del mondo occidentale, una differenza che – secondo gli autori – sta anche alla base di tanti degli equivoci che viziano la lettura eurocentrica della storia più recente dell’America Latina.
Il dibattito di questi giorni è stato invece pigro ed indolente, mancando di leggere in chiave problematica e critica le vicende di Ernesto Guevara.
La discussione globale sul mito del Che si è indissolubilmente legata a quella della sua rappresentazione iconica, cristallizzata nel ritratto dai toni messianici di Alberto Korda: un’immagine che proprio in clima di anniversario ha riconfermato la sua forza pervasiva, rimbalzando nella rete nelle sue molte declinazioni, dalle più filologiche alle più pop, e basta farsi un giro sull’hashtag cheguevara di Twitter per farsi un’idea della portata del fenomeno.
Mentre anche l’accademia si interroga sulla forza simbolica di Guevara (si veda per esempio il ricco programma di un convegno internazionale che si terrà a giorni presso l’Université Versailles Saint Quentin) e si susseguono le iniziative pubbliche che ruotano attorno all’icona (ha fatto discutere, a tal proposito, la scelta delle Poste irlandesi di dedicare al Che di Korda un francobollo, onorando le antiche radici del padre dell’eroe), sui media si è riproposta la diatriba tra la radicata memoria di sinistra che esalta lo spirito umanitario del comandante argentino e il revisionismo di chi – per lo più da destra – fa leva sui trascorsi guerriglieri di Guevara per farne emergere, come verità a lungo taciuta, i tratti più sanguinari, mentre l’Economist ha pubblicato un articolo in cui si invitano le sinistre a «seppellire Che Guevara una volta per tutte» per scegliersi dei simboli meno radicali e più dem.
il Che Vive! Ernesto Guevara e l’America Latina nel patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Ernesto Che Guevara, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dedica questa pubblicazione e un percorso espositivo alla vicenda umana e politica di una figura che come poche è riuscita a varcare le soglie del ventesimo secolo “senza invecchiare”. Un uomo che “sulla strada” scopre la passione politica, vede lo sfruttamento, incontra la miseria, vive la rivoluzione e fa la scelta di continuare a scoprire e a sperimentare fino alla fine, fino alla Bolivia del 1966. Un luogo che, oltre al tratto simbolico della rinuncia al potere, rappresenta la ricerca e l’incontro con gli ultimi, il rinvio a una “sete di sapere” che è l’origine stessa della vita pubblica di Guevara.
La passione è quella rivolta a conoscere la storia e la realtà concreta di un continente, immergendosi nella quotidianità di chi lo abita.
La mostra il Che Vive! Ernesto Guevara e l’America Latina nel patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli è allestita in Sala Polifunzionale dal 10 ottobre al 3 novembre | Vai alla pagina
Il catalogo è disponibile presso la libreria Feltrinelli di viale Pasubio 5 a Milano.