Unidad Popular
Capitolo 2
Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica.
La nazionalizzazione delle industrie
Il recupero della sovranità nazionale sulle risorse naturali rappresentò il punto cardine dell’azione di governo, a cominciare dal rame, principale ricchezza del paese che era prevalentemente nelle mani del capitale statunitense.Allende poté contare sul sostegno del Congresso e, nel luglio del 1971, fece approvare un emendamento costituzionale che sanciva «la proprietà assoluta, esclusiva, inalienabile e imprescrittibile» da parte dello Stato sulle risorse minerarie del Cile.
Poi passò alla nazionalizzazione del settore finanziario e delle imprese più importanti. Non avendo una maggioranza parlamentare, l’esecutivo attuò il progetto acquistando direttamente le azioni sul mercato o ricorrendo a una legge mai applicata, che consentiva di intervenire in stabilimenti considerati di pubblica utilità che avessero interrotto la produzione o non stessero funzionando normalmente.
Dopo un solo anno di mandato, lo Stato controllava già molte imprese strategiche ed erano state nazionalizzate numerose aziende nordamericane. La spesa pubblica a carattere sociale, dall’edilizia popolare all’istruzione e alla sanità, era stata incrementata significativamente. Il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione fu rafforzato grazie a una più equa redistribuzione del reddito, una decisa politica di aumenti salariali e il congelamento dei prezzi dei principali beni di prima necessità. Altri innegabili risultati furono la crescita del PIL e della produzione industriale, la diminuzione della disoccupazione.
Il conflitto per la terra
Allende procedette poi ad approfondire la riforma agraria introdotta dal precedente governo di Eduardo Frei Montalva. Il processo si sviluppò in un contesto di altissima conflittualità e violenza per due ragioni: la resistenza, anche armata, dei latifondisti; le rivendicazioni dei contadini, che occuparono le terre, spesso appoggiati dal MIR e da esponenti locali di UP.
La politica estera
In politica estera, l’iniziativa di Allende fu finalizzata a garantire il paese sulle “frontiere pericolose” e a evitare l’isolamento nel contesto latinoamericano. Di qui, la ripresa del dialogo con la Bolivia, la sottoscrizione della “dichiarazione di Salta” con l’Argentina, il ristabilimento dei rapporti diplomatici con Cuba suggellato dalla visita, nel 1971, di Fidel Castro in Cile.
Guarda la photogallery
Con le immagini di questo pannello, il percorso espositivo intende mostrare come il governo Allende diede un nuovo corso non solo alla politica economica ma anche a quella estera, e come attirò su di sè l’attenzione di tutta l’America Latina.
Approfondisci
CORRADO CORGHI E MARCO FINI
Nuovo Cile. Una lotta per il socialismo.
Feltrinelli, Milano 1973, pp. 166-167.
“Sono nato a Colchagua dove mia madre faceva la lavandaia in casa Echenique, i latifondisti più potenti della zona. Ho cominciato a badare ai cavalli che avevo 12 anni. Ci si alzava la mattina alle 6 e si lavorava fino al tramonto. C’erano i sorveglianti che ti cacciavano come un animale e se non stavi attento ti venivano addosso coi loro cavalli. Guardavo i cavalli inglesi del padrone, quelli speciali per giocare al polo. Poi mi hanno messo a lavorare la terra. Aravo tutto il giorno metro per metro. A caricare e scaricare tutto il giorno, sacchi da 80 chili, m’è venuto il mal di cuore. Ero troppo giovane. Sono venuto a Santiago a curarmi da una sorella che lavorava qui. Dopo un po’ di tempo mi hanno preso alla fabbrica “Fabrilana”.
Testimonianza di Julio Vargas, operaio, 1973.
Kit didattico: Opportunità per tutti
Il diritto alla libertà per tutti
Memoria/memoriae
Il passato al presente. Raccontare la storia oggi
Kit didattico: Opportunità per tutti
Il 14,5% della popolazione mondiale è povero: oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, tra queste, una su tre ha meno di 13 anni. Cosa significa essere poveri? La povertà è un problema complesso e si accompagna al tema delle disuguaglianze. Lo sapevi che il 10% della popolazione globale non ha accesso ad efficienti servizi di acqua potabile? Che nel 2011 65 milioni di ragazze non hanno avuto accesso all’istruzione primaria e secondaria?
Il kit didattico Opportunità per tutti stimola una riflessione su disuguaglianza e giustizia sociale collegati al tema della “cittadinanza” e prende in esame il programma di assistenza sociale brasiliano Bolsa Familia finalizzato a ridurre la povertà anche attraverso l’accesso a istruzione, servizi sanitari.
Il diritto alla libertà per tutti
Parigi, Sabato 19 giugno 1937. È il giorno dei funerali di Carlo e Nello Rosselli. Quella scena, nonché la scenografia, ma anche la sceneggiatura (come testimonia l’album fotografico dei funerali che qui riproduciamo), esprimono almeno due cose.
La prima: l’occasione in cui gli antifascisti possono darsi pubblicamente appuntamento per omaggiare un proprio morto caduto “per mano nemica”. Dal 1924, dai funerali di Giacomo Matteotti, non accadeva. Il funerale, ogni volta era stato un rito “clandestino” e “sotto sorveglianza” del tiranno e della sua polizia. La polizia del tiranno è comunque lì ma non può far altro che assistere. Non detiene il possesso del campo, né può impedire alcunché.
La seconda: il funerale pubblico di un “morto per le proprie idee”, è la possibilità di esercitare il diritto di parola della sua parte trasformando il lutto in occasione di lotta. Il rito del dolore diventa la testimonianza del guerriero che “non viene a patti”.
Riconsideriamo la scena concreta di quei funerali almeno come ce la consegnano la cronaca e le fotografie, in particolare si veda il testo di Chiara Colombini sui funerali in questo volume.
Cominciamo dalla cronaca. Centocinquantamila persone, gli interventi di: Alberto Cianca per l’antifascismo italiano; di Garcia Oliver a nome dei miliziani che in Spagna combattono per la libertà, di Chaligné, deputato del partito radicale; Georges Cogniot, deputato del Pcf; di Alexandre Bracke deputato socialista; di Emile Khan, in nome di Victor Basch, presidente della lega dei Diritti del’Uomo. In apertura, nella sala delle conferenze della “Maison des Syndicats”, l’esecuzione della Settima sinfonia di Beethoven, una composizione che comunica vitalismo.
Le fotografie. La più simbolica, credo, è quella in cui Aldo Garosci, cammina da solo esibendo i simboli di quella lotta e del perché di quella morte: il casco e la tuta da miliziano di combattente volontario in Spagna.
Lo stile e il messaggio è rendere omaggio all’idea. L’idea è quella dell’azione diretta, non della parola. Scelta non casuale collegata al testo che “Giustizia e Libertà” pubblica nel numero che stampa il 18 giugno 1937 (il giorno prima dei funerali e che è distribuito ai funerali) e che contiene, tra gli altri un testo inedito: il discorso che Carlo Rosselli aveva tenuto il 10 febbraio 1937 ad Argenteuil, nella banlieu Nord Ovest di Parigi, ai volontari in partenza per la Spagna, proposto col titolo Perché andammo in Spagna. Il nocciolo politico di quel testo è nelle righe di esordio, laddove Rosselli enuncia che cosa voglia dire combattere per la libertà.
Dopo lunghi anni di esilio – dice Carlo Rosselli in quell’occasione – io confesso che fu solo quando varcai le frontiere della Spagna, quando mi iscrissi nelle milizie popolari e rivestii la tuta, divisa simbolica del lavoro armato e imbracciai un fucile, che mi sentii ridiventare uomo libero, nella pienezza della mia dignità. All’estero siamo sempre e sempre saremo dei minorati, degli esuli. In Spagna no. In Spagna ci sentiamo pari, fratelli. Dopo essere stati obbligati tanti anni a chiedere, magari solo il sacrosanto diritto al lavoro e ala residenza, in Spagna abbiamo la gioia di dare.
La decisione di combattere include alcuni aspetti che è opportuno considerare.
Il primo dato riguarda l’elemento della militanza. Si combattere in relazione a un’idea di riscatto che si ha e si vuol comunicare.
Il secondo dato, che discende direttamente da questo, rinvia al tema della scelta.
La scelta di voler andare in guerra, in una guerra che non riguarda il proprio territorio, ma che si svolge in terra straniera, a un primo livello dice che ci sono battaglie che si condividono e a cui si aderisce perché sentite come proprie. La categoria su cui lavorano è quella della solidarietà. Ma quella scelta non testimonia solo di questo sentimento (anche se, certamente, conta).
Il combattentismo in casa d’altri, sin dalla fine del Settecento testimonia di una idea di libertà. Così è per Lafayette che va a combattere in America dalla parte con i rivoluzionari contro l’Inghilterra. Così è per Santorre di Santarosa a che va in Grecia e lì muore nel 1825, perché quella guerra per la libertà è anche la sua ed è quella che non può combattere in Italia.
Da quel momento ogni volta che è in gioco la libertà da conquistare e rompere il giogo dell’oppressione, andare a combattere in casa d’altri (il combattentismo civile) Non è un omaggio agli altri, ma un modo per confermare che la battaglia per la libertà riguarda chiunque, ovunque.
Quel sentimento che inizia a prendere corpo nell’Europa della Restaurazione con l’idealizzazione dell’eroe civile che si trasforma in eroe nazionale, dell’uomo non destinato alle armi o alla gloria, ma che sente che la sua battaglia per la libertà non si limita a quella che può combattere a casa propria. Nella condizione dell’impossibilità di combatterla in alcuni momenti storici, allora la sua scelta è di non perdere l’opportunità laddove essa si presenti perché convinto che per quella via anche la battaglia a casa sua, può diventare possibile.
È un’esperienza che attraversa molti processi e battaglia per l’indipendenza nel corso dell’Ottocento, compreso il Risorgimento italiano (per tutti certamente la Repubblica Romana).
Talvolta si va in guerra in un altro paese per ritrovare il senso di una guerra che si è precedentemente perduta (è ciò che accade ai garibaldini italiani che vanno in Francia a combattere nel 1870 contro la Prussia o che nel 1897 vanno a Creta a combattere per l’indipendenza dell’isola contro i turchi).
È l’esperienza che nel corso del Novecento si riapre con la guerra civile spagnola.
Si va in Spagna tra il 1936 e il 1939 non in nome di un ideale nazionale da difendere, ma di un’idea di libertà da affermare. Le parole di Carlo Rosselli alludono a questo.
Ma non solo. Quel discorso, importante per chi lo pronuncia, e per chi il 10 febbraio lo ha ascoltato, lo diventa anche, mesi dopo, per chi lo legge nel giorno in cui viene pubblicato.
La scelta di includerlo sul settimanale “Giustizia e Libertà” del 18 giugno 1937, il numero pubblicato e distribuito nel giorno dei funerali di Carlo e Nello Rosselli, indica che, contrariamente a quanto pretendeva Mussolini, i morti raccontano la storia, e continuano a raccontarla anche da morti. In ogni caso la loro morte non li mette a tacere, come invece si proponevano i loro assassini.
Questo è, probabilmente, il motivo principale che spiega la scelta, allora, da parte di “Giustizia e Libertà” di includere quel testo nel numero che rende omaggio al “Capo” come si intitola l’editoriale che scrive Garosci e che apre quel numero.
Tuttavia siccome rileggere i testi non serve solo a ricostruisce la scena ma ha un valore anche per chi, in altra condizione e situazione oggi, ritorna su quel testo, e su quell’operazione editoriale, allora è anche opportuno sottolineare un secondo motivo. Leggere quel testo è importante anche per noi, ora.
La scelta della battaglia per la libertà e di quella morte dice anche un’altra cosa che, probabilmente, non era necessario precisare nel 1937, ma che è essenziale e imprescindibile per noi dichiarare oggi, proprio per evitare utilizzazioni strumentali e demagogiche Ovvero il fatto che si debba distinguere.
È possibile che qualcuno assimili le Brigate di Spagna alle Brigate di Siria. Allora non è inutile sottolineare dove sta il punto di frattura e dove quel passaggio è falso.
La battaglia per la propria libertà passa anche per la scelta di aderire alle battaglie degli altri se il nemico è il tiranno, se quella battaglia per la libertà ha come fondamento il riconoscimento dell’idea di eguaglianza, di pari dignità, ovvero se fondata su un principio universalistico.
Diversamente, si aderisce a un progetto di dominio sugli altri spesso arrogandosi il diritto di decidere della loro morte e dichiarando di possedere il momento del loro fine vita, magari ricorrendo strumentalmente alla retorica di una battaglia per la libertà.
È una retorica falsa. Al centro di quel gesto, che include spesso anche il sacrificio di sé, presiede l’istanza di onnipotenza, di dominio del corpo degli altri, e di totale amministrazione del proprio. Al di là della retorica, la scelta di andare a combattere in casa d’altri – per come avviene, per i gesti che compie, per la modalità di uccisione del nemico, spesso, per il “ritorno a casa” trasformandosi in “uomo-bomba” – dice essenzialmente due cose: colpire ovunque e colpire chiunque.
Quel percorso, in tutti i suoi diversi stadi, è la dichiarazione di qualcuno che si candida a superuomo. Di qualcuno che interpreta quel gesto come obliterazione di ingresso nella sfera del potere. Non ci parla di riscatto, ma di dominio del corpo, della vita e della morte degli altri. Qualcosa che appartiene al rituale delle religioni politiche della morte più che narrarci la incerta e disperata lotta di emancipazione dei «dannati della terra».
Guarda l’album fotografico:
La photogallery propone un breve percorso che ha origine dalle immagini familiari di Amelia Rosselli e dei figli. Dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli una selezione di foto dall’album dei funerali, conservato nel fondo Angelo Tasca, e le copertine di alcuni opuscoli della Guerra civile di Spagna che alludono all’intervento dei volontari della brigate internazionali a fianco della repubblica.
Memoria/memoriae
Chi parla il 27 gennaio? Con quali parole esprimiamo noi oggi il contenuto di una memoria?
Sono due delle domande che vorremmo mettere a fuoco con l’iniziativa memoria/memoriae.
Da quando è nato, il Giorno della Memoria ha costituito immediatamente una pratica emozionale fatta di tre elementi fondamentali:
- il testimone di un tempo storico;
- un mediatore professionale, che di solito è un docente di storia;
- un gruppo di adolescenti che ascolta un racconto.
Questi tre elementi definivano anche la struttura performativa del 27 gennaio: un testimone racconta; un “esperto” guida il colloquio e l’incontro, intorno adolescenti a cui il racconto è rivolto.
La «Generazione Doppio Zero», cioè i ragazzi nati nei primi anni Duemila, entrati nella scuola circa dieci anni fa, e che oggi ne stanno per uscire, non sono più quel tipo di persone: hanno strumenti e linguaggi propri; hanno una dimensione corta del passato; ascoltano le parole e i racconti di chi ha 60 anni più di loro senza immediatamente capire un mondo: o sono travolti dall’emozione oppure ne hanno talmente paura che la rifiutano.
Il Giorno della Memoria ha oggi nuovi protagonisti: quelli che hanno meno di 20 anni che chiedono che quella storia che fino ad oggi hanno ascoltato diventi un’esperienza emozionale, con la quale fare un percorso. L’evento con cui devono pendere le misure è l’esperienza del genocidio e la violenza sul corpo degli altri.
Rispetto ai loro padri, è un’esperienza che non appartiene al passato. Riguarda il nostro presente e ci chiama in causa da tempo (per esempio a Srebrenica nel 1995 e oggi a Aleppo).
l 27 gennaio non è un momento di rievocazione del passato, ma uno di riflessione sul passato per capire il nostro presente ora
La prevenzione dei genocidi e più in generale dei crimini contro l’Umanità è all’ordine del giorno della politica internazionale oggi.
Dunque la questione dirimente che propone la giornata della memoria è che cosa noi siamo in grado di pensare e poi di fare oggi, meglio ora.
Consideriamo la scena di Srebrenica. 11 luglio 1995, martedì, un giorno lavorativo per molti. Comunque un giorno in cui non eravamo in vacanza.
Quella scena, averla vista indiretta non ha impedito che avvenisse. Non è l’unica rivelazione. Abbiamo scoperto che dopo, noi, non i carnefici, siamo ancora in grado di vivere senza sentire la vergogna. A Srebrenica abbiamo scoperto, ma non siamo disposti ancora a riconoscere, che non è vero che lo sterminio avviene perché nessuno lo sa e che se avessimo saputo, o visto, non sarebbe potuto avvenire. Ma che lo sterminio avviene, lo vediamo in diretta e complessivamente continuiamo a pensare che sono “fatti loro”. Comunque che non ci riguarda.
Ma a Srebrenica, Aleppo, nei molti luoghi della violenza sul corpo degli altri che si sono ripetuti in questi ultimi anni, abbiamo anche imparato che le parole sono figlie del proprio tempo. Un tempo la parola carnefici ci sarebbe bastata e comunque sembrava parlare al passato.
Che cosa accade se invece di usare la parola “carnefici” che per sicurezza collochiamo in un tempo di tre generazioni fa, usiamo la parola “fanatici” per coloro che fanno gli stermini di massa? E’ pertinente? O forziamo la realtà?
E una volta che decidiamo che è pertinente, non è che il 27 gennaio, anziché rinviare a “mai più” ci obbliga a trovare una risposta a ciò che è presente ancora, alla quotidianità di questo tempo?
David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
20/01/2017
Approfondimenti
MEMORIA / MEMORIAE
DECLINARE IL PRESENTE
Calendario civile / Cittadinanza Europea
25, 26, 27 gennaio 2017 letture, spettacoli, proiezioni indagano il tema della memoria.
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli propone Memoria/Memoriae. Declinare il presente, tre giornate di incontri, spettacoli teatrali, letture e proiezioni cinematografiche che indagano il tema della Memoria a partire da tre punti di vista: Violenze, Indifferenze, Memorie.
Ad ognuna di queste parole è dedicata una giornata in cui vengono proposti momenti culturali, didattici e performativi nella Sala Polifunzionale della nuova sede di viale Pasubio 5, Milano.
CONSIGLI DI LETTURA
EBOOK: “IL PASSATO AL PRESENTE”
La storia tradizionalmente l’hanno raccontata gli storici attraverso i libri.
Ma il passato ci raggiunge anche attraverso molte altre fonti, altri media e linguaggi: dalle lettere ai film, dai diari alle canzoni, dalle fotografie al web, fino ai luoghi della storia e i nostri stessi ricordi; tracce di memoria disperse nel nostro quotidiano che ci investono direttamente e in prima persona.
In questi brevi saggi Paolo Rumiz, Carlo Greppi e David Bidussa riflettono su cosa voglia dire raccontare il passato oggi, dentro e fuori le barriere cartacee del libro, rimettendo in primo piano il coinvolgimento attivo di chi finora la storia l’ha soltanto recepita passivamente, ma potrebbe forse tornare a viverla.
CLICCA QUI e Scarica la PREMESSA all’ebook
Il passato al presente. Raccontare la storia oggi
Descrizione dell’eBook
La storia tradizionalmente l’hanno raccontata gli storici attraverso i libri.
Ma il passato ci raggiunge anche attraverso molte altre fonti, altri media e linguaggi: dalle lettere ai film, dai diari alle canzoni, dalle fotografie al web, fino ai luoghi della storia e i nostri stessi ricordi; tracce di memoria disperse nel nostro quotidiano che ci investono direttamente e in prima persona.
In questi brevi saggi Paolo Rumiz, Carlo Greppi e David Bidussa riflettono su cosa voglia dire raccontare il passato oggi, dentro e fuori le barriere cartacee del libro, rimettendo in primo piano il coinvolgimento attivo di chi finora la storia l’ha soltanto recepita passivamente, ma potrebbe forse tornare a viverla.
Conosci gli autori
Paolo Rumiz è giornalista de “La Repubblica” e “Il Piccolo” di Trieste. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti naviganti (2007), Annibale (2008), L’Italia in seconda classe. Con i disegni di Altan e una Premessa del misterioso 740 (2009), La cotogna di Istanbul (2010, nuova edizione 2015; “Audiolibri – Emons Feltrinelli”, 2011), Il bene ostinato (2011), la riedizione di Maschere per un massacro. Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia (2011), A piedi (2012), Trans Europa Express (2012), Morimondo (2013), Come cavalli che dormono in piedi (2014), Il Ciclope (2015) e, nella collana digitale Zoom, La Padania (2011), Maledetta Cina (2012), Il cappottone di Antonio Pitacco (2013), Ombre sulla corrente (2014).
Carlo Greppi è dottore di ricerca in Studi storici, collabora con Rai Storia – come presentatore, inviato e ospite – ed è membro del Comitato scientifico dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”. Il suo libro L’ultimo treno. Racconti del viaggio verso il lager (Donzelli 2012) ha vinto il premio “Ettore Gallo”, destinato agli storici esordienti. Per Feltrinelli ha pubblicato La nostra Shoah. Italiani, sterminio, memoria (“Zoom”, 2015; in e-book) e Non restare indietro (“Kids”, 2016). Collabora anche con il blog culturale Doppiozero e con la Scuola Holden (Biennio in Storytelling & Performing Arts). Socio fondatore dell’associazione Deina e presidente dell’associazione Deina Torino, organizza da diversi anni viaggi della memoria e di istruzione, con i quali ha accompagnato oltre ventimila studenti provenienti da tutta Italia ad Auschwitz e in altri ex lager del Terzo Reich, alla scoperta della storia.
David Bidussa, storico sociale delle idee. È il responsabile delle attività editoriali e didattiche di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Ha pubblicato: La France de Vichy (Feltrinelli, 1997); I have a dream (BUR, 2006); Siamo italiani (Chiarelettere, 2007) Dopo l’ultimo testimone (Einaudi, 2009); Leo Valiani tra politica e storia (Feltrinelli, 2009). Ha curato Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci (Chiarelettere, 2011), La vita è bella di Lev Trockij (Chiarelettere, 2015) e Norberto Bobbio – Claudio Pavone, Sulla guerra civile (Bollati Boringhieri 2015).Per Feltrinelli ha curato Il volontariato (con Gloria Pescarolo, Costanzo Ranci e Massimo Campedelli; 1994), per i “Classici” ha curato Fratelli d’Italia (2010) di Goffredo Mameli e ha scritto la postfazione a Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne (2014). Ha collaborato al volume Sinistra senza sinistra (Feltrinelli, 2008) con la voce ‟Uso pubblico della storia”.
€ 3,99