La scelta
Capitolo 8
[…] ho assaltato il Popocatépetl o Popo – come qui lo chiamano familiarmente – e abbiamo fatto spreco di eroismo senza riuscire ad arrivare alla vetta; io ero disposto a lasciarci le penne pur di arrivare ma un cubano che è il mio compagno di scalate mi ha fatto prendere paura perché aveva i due piedi gelati e siamo dovuti riscendere tutti e cinque.
La fuga in Messico
Dopo aver assistito al golpe in Guatemala, Guevara si rifugia in Messico, dove sbarca il lunario come fotografo, sia presso le rovine delle civiltà precolombiane sia in occasione della seconda edizione dei giochi panamericani ospitati nel 1955 a Città del Messico.È in quello che definisce “paese delle mazzette dove si respira la democrazia del dollaro” che Guevara ha modo di riflettere sulla sconfitta degli esperimenti populisti e riformisti : il rovesciamento del presidente guatemalteco Jacobo Arbenz nel giugno 1954; il suicidio del presidente brasiliano Getulio Vargas nell’agosto dello stesso anno; la destituzione del presidente argentino Juan Domingo Perén in seguito al golpe del 19 settembre 1955.
La fine violenta di questi tentativi, contraddittori e non lineari, di avviare l’America Latina sulla strada della
modernizzazione e dello sviluppo, con l’attenzione alla dolorosa questione sociale dell’indigenza delle masse e la volontà di includerle pienamente nella comunità politica, procede di pari passo con il consolidamento dell’influenza statunitense in tutto l’emisfero durante la guerra fredda.
Il Movimento 26 di luglio
È in questa fase della sua vita e delle vicende latinoamericane che Guevara stringe il suo sodalizio con gli esuli cubani del Movimento 26 di luglio, guidato da Fidel Castro Ruz e che si oppone al potere di Fulgencio Batista, al governo di Cuba ininterrottamente dal 1933 al 1944 e dal 1952 al 1959.
Guevara compie la sua scelta: aderisce al loro movimento e si addestra con loro, nella scalata del monte Popocatépetl e nella preparazione militare grazie agli insegnamenti del generale Alberto Bayo, che aveva difeso la repubblica spagnola durante la guerra civile contro le truppe di Franco e che si era rifugiato in Messico in seguito alla vittoria di quest’ultimo.
La partenza per Cuba
Il gruppo è deciso a partire per Cuba e a tentare la rivoluzione nell’isola caraibica.
Nella primavera del ’56, in una retata della polizia messicana, Guevara e altri membri del movimento sono arrestati e trattenuti in galera per 57 giorni. Dopo il loro rilascio, il 25 novembre 1956 riescono a partire alla volta dell’isola sulla nave “Granma”.
Guarda la photogallery
Le fotografie proposte di seguito documentano la frequestanzione di Ernesto “Che” Guevara con gli esuli cubani in Messico, l’amicizia con Fidel Castro, la prigionia e la decisione di salpare verso Cuba per la rivoluzione.
Approfondisci
«[…] l’unica cosa chiara è che i dieci anni di vagabondaggio minacciano di essere più […] ma ora sarà di un tipo
totalmente diverso da quello che avevo sognato e quando arriverò in un paese non sarà per visitare luoghi, vedere
musei e rovine, ma anche (perché quelle cose mi interessano sempre) per unirmi alla lotta del popolo.»
«L’America scoppierà da una punta all’altra.»
«un giovane leader cubano mi ha invitato a entrare nel suo movimento.»
Kit didattico: Oltre il confine: la storia della rivoluzione di ottobre (I grado)
Il futuro non avviene, si fa: dipende dall’impegno di ognuno di noi
Tutti i colori di Cuba nei periodici di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
il Che Vive! Ernesto Guevara e l’America Latina nel patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Kit didattico: Oltre il confine: la storia della rivoluzione di ottobre (I grado)
Proposta percorso scuole secondarie di I grado
A cent’anni dall’inizio della Rivoluzione Russa si analizzano le trasformazioni e l’impatto, anche a livello globale, che ha comportato un avvenimento storico di questa portata.
Il kit didattico affronta questo tema proponendo alcuni spunti di attivazione del lavoro in classe, sia sui concetti riferiti al vocabolario politico del ‘900, attualizzabili nel tempo presente, sia su una metodologia basata sulla lettura e sulla verbalizzazione di un sintetico atlante di mappe geo-storiche che ripercorre gli snodi cronologici dal 1917 al 1922.
Il futuro non avviene, si fa: dipende dall’impegno di ognuno di noi
Che cosa è rimasto dell’impegno? O forse la domanda più corretta è: che cosa è oggi l’impegno?
La parola impegno ha avuto molte stagioni e molte immagini. Quando diciamo “impegno” che cosa intendiamo con questa parola? Forse l’atto che più di tutti nel corso del Novecento ha dato forma all’idea d’impegno è rappresentato dalla firma dei manifesti degli intellettuali contro qualcosa. Centinaia di appelli, proclami che hanno spesso raccolto le stesse firme hanno segnato il corso degli ultimi centocinquant’anni. Potremmo chiederci: quell’atto ha segnato una differenza tra prima e dopo? Promuoveva una maggiore sensibilità oppure testimoniava solo dell’identità di chi formava? E oggi quello è ancora un atto che abbia un senso?
La sfida di futuro oggi implica la necessità di fare scelte che ridiscutono il modello di sviluppo più che la riparazione di un torto subito. La scelta non è più “etica”: è tra ciò che “conviene fare” e ciò che non conviene fare o continuare a fare. Non riguarda più essenzialmente le idee, ma le decisioni e, a monte delle decisioni, propone l’essenzialità della condizione del sapere, della conoscenza. Quando Ernesto Guevara de la Serna va a conoscere l’America Latina lo fa perché, per agire, occorre sapere, conoscere. Non basta ripetere o pronunciare uno slogan.
Impegno così non è più “avere ragione”, ma è soprattutto non accontentarsi di quello che già si sa, interrogare con acribia il proprio presente fino a metterlo a nudo andando all’essenziale delle cose. Non basta per questo farsi paladini entusiasti di un altro modello, ma è necessario “sapere” e per sapere è essenziale la disponibilità a mettersi in gioco e rompere il luogo comune. Speso non è essenziale fare dei gesti eclatanti, ma proporre un altro ordine di priorità.
Impegno non è avere un grande progetto complessivo, ma avere la preoccupazione del presente, domandarsi che cosa non sappiamo, come conoscerlo e come condividerlo. Impegno non è un atto eroico: chiede non forza, ma intelligenza, buona capacità di osservazione e fiducia nella possibilità della parola di farsi atto collettivo. Non è coltivare un’idea superomistica di sé, ma provare ad aiutare la nascita di un “nuovo tempo”.
C’è una storia dell’impegno che essenzialmente è una battaglia per la verità e per la giustizia. E’ quella che ha il suo archetipo nella discesa in campo gli intellettuali per chiedere “Verità e giustizia” per Alfred Dreyfus. Lì s’inaugura la stagione dei manifesti e delle firme come “chiamata alle armi” per la verità (una figura del fare politica in pubblico che è stata ripetuta innumerevoli volte da allora).
Poi c’è una storia dell’impegno in nome della battaglia contro le dittature. E’ quello che cresce nell’Europa degli anni ’30 e rilancia l’immagine della Francia come paese della libertà e del diritto, d’incubatore delle idee di eguaglianza e libertà, ma senza crederci per davvero (è in quel decennio, che si apre con la crisi del ’29 e si chiude con grande disfatta nel giugno 1940, che emerge con chiarezza come il mito della rivoluzione francese sia verticalmente decaduto mentre trionfa il mito del proprio mondo piccolo, da proteggere, della provincia che non vuole essere disturbata dalle grandi questioni della giustizia).
Giuramento della pallacorda, Jacques-Louis David, 1791
Poi quella voglia di “esserci e contare” si trasferisce nei grandi scontri per la decolonizzazione, a fianco dei nuovi protagonisti di un “sud del mondo” che chiedono di “esserci”. Questa volta impegno significa prestare la propria autorevolezza a fianco degli ultimi, favorire e sostenere la loro lotta contro i dominatori che, spesso, sono dello stesso gruppo sociale, culturale, nazionale, di chi si impegna per un domani migliore.
In tutto questo lungo percorso tuttavia la struttura dello scontro ha sempre riproposto una e una sola immagine: la necessità di una battaglia a fianco di qualcuno, in nome di una visione altruistica della società e del domani in cui si trattava di portare al tavolo del domani migliore gli esclusi. Impegno era una scelta “etica” prima di tutto e rispondeva al principio che tutti devono godere di diritti, nessuno escluso, e che perché ci sia giustizia occorre che i diritti di cui io godo siano non solo miei, ma estendibili a “chiunque”. Impegno era dunque una scelta “altruista”.
Tutti i colori di Cuba nei periodici di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli possiede una rilevante collezione di periodici cubani illustrati, alcuni dei quali, come Bohemia e Verde Olivo, ancora in pubblicazione.
Del mensile Cuba (Cuba Internacional dal 1969) la Fondazione possiede alcuni esemplari delle annate 1963-1972. Edito dall’Empresa Consolidada de Artes Graficas, si distingue per le copertine a colori opera di importanti artisti cubani, alcune delle quali inneggianti alla rivoluzione o dedicate a personaggi della storia cubana
La rivista cubana Bohemia viene fondata il 10 maggio 1908 da Miguel Àngel Quevedo Pèrez all’Havana. Il settimanale prede il nome dalla famosa opera di Puccini e, su modello del francese Le Figaro, vuole essere un periodico illustrato non specializzato che si rivolge alle classi sociali benestanti: borghesi, tecnici, professionisti.
Dopo i difficili esordi, si trasforma nella rivista più popolare non solo a Cuba, ma in tutta l’America Latina, ospitando prestigiose e importanti firme di intellettuali e giornalisti di lingua spagnola. Non è solo un fondamentale strumento contro l’analfabetismo che affligge Cuba, ma le sue pagine saranno fondamentali per consolidare una coscienza politica e nazionale tra i cubani: non possiamo non menzionare l’appello lanciato dalla rivista per la costruzione di un mausoleo per l’apostolo dell’Indipendenza di Cuba, Josè Martì. Chiuso per un breve periodo durante la dittatura di Gerardo Machado (non sarà l’unica interruzione nelle pubblicazioni), Bohemia è di fatto una delle principali voci dell’insurrezione contro il governo di Fulgencio Batista. Sulle sue pagine, il 26 luglio 1958 viene pubblicato il famoso Manifesto della Sierra, che aveva come obiettivo l’unificazione dell’opposizione contro il regime. La rivista pubblicherà anche numerosi e importanti reportage sulla Sierra Maestra (ricordiamo il fotoreportage del 2 febbraio 1958 sulla vita dei barbudos) e sulla guerriglia rivoluzionaria di Fidel Castro ed Ernesto “Che” Guevara.
Bastione delle forze rivoluzionarie dal 1 gennaio 1959, dopo l’abbandono a metà del 1960 del direttore Miguel Àngel Quevedo y de la Lastra, a cui era passata dopo la morte del padre e fondatore, la rivista viene rilevata dai lavoratori. Il giornalista Enrique de la Osa, già creatore nel 1943 della sezione “En Cuba”, che informa su temi politici e lancia importanti appelli contro la corruzione, viene nominato direttore. Di Bohemia la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli conserva nel suo Patrimonio numerose annate per un periodo compreso tra la metà degli anni sessanta e la fine degli anni settanta (1964–1979). Bohemia è stata la prima rivista a colori cubana (1914) e da un oltre secolo le sue pagine raccontano le questioni più rilevanti e i fatti più decisivi del panorama cubano e mondiale: il 7 gennaio 1962 nasce la sezione “Zafarrancho”, a cura del giornalista Mario Kuchilàn del Sol (vittima di torture durante la dittatura battistiana) dedicata a importati temi nazionali ed internazionali.
Verde Olivo venne definito «Un corpo ideologico dell’esercito» proprio da Ernesto “Che” Guevara. Nata pochi mesi dopo il trionfo della rivoluzione, il 10 aprile 1959, su iniziativa di Camilo Cienfuegos, Raul Castro e dello stesso Guevara, Verde Olivo è la rivista delle Fuerzas Armadas Revolucionarias (FAR). Fin dai primi numeri svolse un ruolo d’avanguardia tra la stampa periodica, fungendo da importante strumento per la conoscenza della storia di Cuba e per l’educazione e l’orientamento ideologico-politico delle truppe rivoluzionarie. Il periodico si segnala per interventi di Guevara all’interno della sezione “Consejos al Combatiente” e nella colonna che firmava con lo pseudonimo di “El Francotirador”, nonché di articoli riguardanti le vicende della lotta insurrezionale a Cuba poi raccolti nel volume Pasajes de la Guerra Revolucionaria.
Guarda la photogallery
Proponiamo una selezione di copertine tra le più significative delle riviste cubane Cuba, Cuba Internacional, Bohemia e Verde Olivo, tratte dal Patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
il Che Vive! Ernesto Guevara e l’America Latina nel patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Ernesto Che Guevara, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dedica questa pubblicazione e un percorso espositivo alla vicenda umana e politica di una figura che come poche è riuscita a varcare le soglie del ventesimo secolo “senza invecchiare”. Un uomo che “sulla strada” scopre la passione politica, vede lo sfruttamento, incontra la miseria, vive la rivoluzione e fa la scelta di continuare a scoprire e a sperimentare fino alla fine, fino alla Bolivia del 1966. Un luogo che, oltre al tratto simbolico della rinuncia al potere, rappresenta la ricerca e l’incontro con gli ultimi, il rinvio a una “sete di sapere” che è l’origine stessa della vita pubblica di Guevara.
La passione è quella rivolta a conoscere la storia e la realtà concreta di un continente, immergendosi nella quotidianità di chi lo abita.
La mostra il Che Vive! Ernesto Guevara e l’America Latina nel patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli è allestita in Sala Polifunzionale dal 10 ottobre al 3 novembre | Vai alla pagina
Il catalogo è disponibile presso la libreria Feltrinelli di viale Pasubio 5 a Milano.