Immaginario

Capitolo 3

 

Le parole di Martí di oggi non sono da museo, sono incorporate alla nostra lotta e nel nostro emblema sono la nostra bandiera di combattimento

Discorso omaggio a José Martí, 28 gennaio 1960
 
L’amore per l’avventura
 
L’infanzia e la prima giovinezza di Ernesto non sono diverse da quelle di tanti ragazzi della sua generazione e del suo ambiente, inevitabilmente intriso di cultura occidentale, dopo che secoli di colonizzazione hanno relegato le matrici indigene ai margini. Ernesto impiega il tempo libero dalla scuola in compagnia degli amici, facendo sport e, soprattutto, leggendo.

I suoi problemi di salute lo costringono infatti a molte ore di riposo, che Ernesto occupa diventando un lettore voracissimo. Le sue letture – che prova a sistematizzare tramite note e appunti – documentano un processo di formazione intellettuale vasto ed eclettico. Tra i libri in cui maggiormente ama immergersi ci sono i romanzi d’avventura e le storie di viaggio.

Da Verne, Salgari, Stevenson e dai classici della letteratura ispanica d’inizio secolo, Ernesto trae un immaginario fatto di uomini pronti a sfidare la sorte e la natura, ad avere nel mondo la propria
casa e nel vagabondare la misura della propria esistenza.
Quando alla fine del 1949 Ernesto decide di dare corso a un progetto un po’ folle e si perde a girare il Nord dell’Argentina in bicicletta in solitaria, forse ha in mente i protagonisti dei suoi romanzi.
 
L’ispirazione politica
 
Oltre ai miti letterari, anche i miti politici fanno parte del bagaglio di simboli e valori a cui accede il giovane Ernesto.
L’Argentina in cui egli cresce ha il suo eroe nazionale in José San Martin (1778-1850), che guidò le lotte per l’indipendenza dalla Spagna.
In Cile è oggetto di venerazione il presidente José Manuel Balmaceda Fernandez (1840-1891), morto suicida per essere stato isolato da una maggioranza asservita agli interessi degli investitori stranieri e dunque simbolo della resistenza alle pressioni economiche esterne.

A Cuba, negli anni ’30 e ’40 ritornano in auge – e diventano un riferimento per le forze rivoluzionarie – Antonio Maceo (1845-1896) e José Martí (1853-1895), che guidarono le forze che combattevano per l’indipendenza di Cuba.

In tutto il continente – ma specialmente in Bolivia, che ne porta il nome – è diffuso il mito di Simon Bolivar (1783-1830), che attrae per l’immagine di condottiero in lotta contro il colonialismo e l’imperialismo europeo.
 
Le radici indie
 
A questi eroi “moderni” si affiancano i numi tutelari del passato indio, spesso recuperati proprio per rappresentare le ragioni di una nazione indigena negata e rimossa, come José Gabriel Condorcanqui, meglio noto come Tupac Amaru II,a capo di una famosa rivolta contro gli spagnoli nel Perù del XVIII secolo.
Sono figure ispiratrici per il sistema di valori che incarnano e per l’abnegazione alla causa che difendono. Abnegazione che trasforma alcuni di loro in veri e propri eroi tragici.

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Le immagini che seguono, tratte dal patrimonio della Fondazione Feltrinelli, riproducono i personaggi e gli eroi con i quali si è formato l’immaginario del “Che” e di molti suoi contemporanei argentini e sudamericani.

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«Pensai a don Segundo Sombra, che passando dal paese mi si era tirato dietro, come ci si tira dietro una bacca spinosa che si impiglia nella stoffa dei calzoni. Cinque anni erano trascorsi di quella nostra vita faticosa, senza che ci separassimo. Cinque anni come quelli fanno d’un ragazzo un gaucho, quando si ha la fortuna di viverli vicino a un uomo come quello che io chiamavo il mio padrino. Lui mi aveva guidato pazientemente verso tutte le esperienze dell’uomo della pampa […].
Ne aveva visti di paesi quell’uomo! Dovunque aveva amici che lo amavano e lo rispettavano, anche se non si fermava mai a lungo nello stesso posto. Aveva un tale ascendente sui contadini che a volte bastava una sua parola per risolvere la faccenda più intrigata. […]
Che capo sarebbe stato in una rivoluzione!
Ma sopra ogni cosa, e contro ogni cosa, don Segundo amava la propria libertà. Era uno spirito anarchico e solitario, cui la continua compagnia degli altri finiva per infliggere una immutabile stanchezza.
La sua azione era il perpetuo andare, la sua conversazione il soliloquio.»
 

Ricardo Guiraldes, Don Segundo Sombra

 
«La strada per Tucuman è una delle cose più belle del nord (argentino) : per circa venti chilometri è asfaltata, e sui due lati si vede una vegetazione lussureggiante, una specie di selva tropicale alla portata del turista, con una quantità di ruscelli e un’umidità che le conferisce l’aspetto di una foresta amazzonica [ … ]. Entrando in questo parco naturale, camminando fra le liane, calpestando felci e pensando come tutto ciò si fa beffe della nostra scarsa cultura botanica, ci si aspetta a ogni istante di udire il ruggito di un leone […]
A un tratto ho udito un ruggito, poco intenso ma costante, in cui ho riconosciuto il «canto» di un camion che arranca in salita . Quel rumore ha rotto con rumore di vetri infranti il mio castello di sogni, riportandomi alla cruda realtà.
Allora mi sono reso conto che dentro di me era maturato qualche cosa che già da tempo sentivo nel trambusto cittadino : l’ odio per la civiltà . L’immagine sgraziata di uomini che corrono come matti al ritmo di quel tremendo frastuono, mi pare come l’antitesi odiosa della pace […].»

                                                                                                           Argentina, 1950

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