Il golpe
Capitolo 4
Il popolo deve stare allerta e vigile. Non deve lasciarsi provocare, né lasciarsi massacrare, ma deve anche difendere le sue conquiste. Deve difendere il diritto a costruire con il suo impegno una vita degna e migliore.
6:00 a.m. – Salvador Allende viene informato che la Marina si è impadronita della città di Valparaíso.
7:30 a.m. – Allende giunge alla Moneda. Cerca inutilmente di mettersi in contatto con i comandanti in capo delle Forze Armate.
7:55 a.m. – Attraverso Radio Corporación, il presidente comunica alla nazione che è in atto una sollevazione contro l’esecutivo.
8:15 a.m. – Allende si rivolge nuovamente alla nazione, invitando i lavoratori a restare in allerta ai rispettivi posti di lavoro in attesa di ulteriori informazioni.
8:30 a.m. – I militari golpisti dichiarano deposto il governo “illegittimo” di Allende, il quale, sempre via radio, afferma la sua irrevocabile decisione di resistere a costo della vita pur di difendere il paese, la sua tradizione, la Costituzione.
8:45 a.m. – Allende informa il popolo che è in corso un colpo di Stato al quale sta partecipando la maggioranza delle Forze Armate. E ribadisce la sua volontà di non arretrare di un passo: avrebbe lasciato la Moneda solo al termine del mandato che il popolo gli aveva conferito.
9:03 a.m. – Attraverso Radio Magallanes, Allende si rivolge per la penultima volta ai suoi concittadini, mentre cacciabombardieri sorvolano il palazzo presidenziale: il popolo cileno non deve cadere nelle provocazioni ma neanche lasciarsi massacrare; deve difendere le sue conquiste e il diritto a costruire una vita degna e migliore.
9:10 a.m. – Ultimo discorso di Salvador Allende:
«Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. […] Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
«E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
«La storia è nostra e la fanno i popoli.
«[…] Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
«Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
«Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
«Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.»
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Quel famoso e tragico 11 settembre del ’73 ha cambiato la storia del Cile e dell’America Latina. L’impressione che ebbe sul resto del mondo è indelebile. Le immagini proposte in questo capitolo ne testimoniano la violenza e la dirompente tragicità.
Approfondisci
RÉGIS DEBRAY
La via cilena. Intervista con Salvador Allende
Feltrinelli, Milano 1971.
“Ad esempio, il problema numero uno dell’infanzia nel nostro paese è la denutrizione. Ci siamo prefissi di consegnare gratuitamente a ogni bambino cileno mezzo litro di latte al giorno e lo stiamo facendo. Abbiamo eliminato vari tipi di pane e abbiamo imposto il tipo unico per evitare la speculazione sui prezzi. Il pane è un elemento basilare per il popolo. E il Cile, da paese flagellato da un’accentuata inflazione qual è […] deve provvedere a riequilibrare annualmente le paghe di coloro che vivono di un salario o di uno stipendio. […] E quando il rame sarà nostro, quando il ferro sarà nostro, quando il nitrato sarà veramente nostro, quando avremo fatto una rapida e radicale riforma agraria […] allora, se questi progetti non avranno portato al socialismo, non so che cosa possa portare al socialismo.”
Salvador Allende intervistato da Régis Debray.
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
La sfida della libertà
Il percorso della memoria. Verità e giustizia a quarant’anni dal golpe
Radici storiche e politiche di un Boom: l’America Latina
kit didattico: Come la guerra cambia l’economia?
Crisi, sviluppo, crescita, mobilitazione, investimento. Parole intercambiabili per descrivere un panorama in continuo mutamento. Dove siamo noi? L’economia degli ultimi cento anni ha cambiato la vita di tutti, spesso ha indotto trasferimenti di attività, di persone, di interi gruppi umani.
L’economia nel corso del Novecento ha attraversato un’epoca di radicali trasformazioni – tra progresso e sviluppo, crollo delle borse e boom economico – e ha contribuito in larga parte a rendere il Novecento “Il Secolo breve”.
La sfida della libertà
Descrizione
Scritto da Carlo Levi nel 1939 – in forma di confessione, di appunto personale – “Paura della libertà”, da cui traiamo questo estratto, venne pubblicato per la prima volta nel 1946. I sette anni che passano dalla scrittura del testo alla sua pubblicazione sono anni densi e drammatici, che vanno dall’inizio della seconda guerra mondiale alla riacquisizione di libertà dopo le devastazioni del conflitto.
Il saggio venne steso da un Levi esule – espatriato in Francia per sfuggire alla repressione del fascismo – che sulle rive dell’Atlantico guarda alla profonda crisi della cultura occidentale, resa evidente dalla rapida avanzata delle idee e delle forze naziste in tutta Europa. In questo contesto, vicenda individuale e vissuto comune si fondono: per Levi, sono i giorni in cui riceve la notizia della morte del padre, giorni in cui inizia a riflettere sul passato, che da proprio diviene collettivo. Seguendo le tracce che indicano i fenomeni generativi della crisi, Levi inizia a riflettere sul futuro che non riesce a intravedere né immaginare. “In quel punto della vita dove non si può più guardare indietro, mi trovavo solo su quella spiaggia deserta, in un freddo autunno, pieno di vento e di piogge. Se il passato era morto, il presente incerto e terribile, il futuro misterioso, si sentiva il bisogno di fare il punto”.
La lucidità con cui affronta l’analisi della drammatica crisi del presente, sulla base del passato comune, è la base stessa della vitalità che rende ancora attuale il testo perchè “quello che è stato può tornare, quello che è celato riaffiorare alla coscienza, come riappaiono le spiagge al ritirarsi della marea”.
Conosci gli autori
David Bidussa è stato responsabile delle attività editoriali di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Tra le sue pubblicazioni: La France de Vichy (Feltrinelli, 1997); Leo Valiani tra politica e storia (Feltrinelli, 2009), Dopo l’ultimo testimone (Einaudi 2009) e Il passato al presente con Paolo Rumiz e Carlo Greppi (Fondazione Feltrinelli, 2016). Ha curato Antonio Gramsci, La città futura (Aragno 2017) e Victor Serge, Da Lenin a Stalin (Bollati Boringhieri 2017).
Sara Troglio storica contemporaneista, è ricercatrice dell’area di Cittadinanza di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Si occupa di Public History e processi di storia partecipativa in contesti di memorie conflittuali. Si interessa di Storia Orale, partecipando come ricercatrice ed intervistatrice per Laboratorio Lapsus a progetti per ANED e per l’International Bomber Command Centre Digital Archive / University of Lincoln. Ha pubblicato con DaSud Under. Giovani, Mafie, Periferie (Perrone 2017).
Carlo Levi nacque a Torino nel 1902. Si laureò in medicina, ma nutrì svariati interessi culturali, dalla pittura (nel 1929 fece parte del gruppo dei pittori di Torino) alla letteratura. Nel 1931 aderì al movimento Giustizia e libertà dei fratelli Rosselli.
Venne arrestato per attività antifascista nel 1934. Dopo un secondo arresto, nel 1935 Levi fu confinato in Lucania, nel paese di Aliano. Qui venne a contatto con la realtà del Mezzogiorno d’Italia, a lui del tutto sconosciuta; e qui ambientò il suo romanzo più noto, Cristo si è fermato a Eboli (scritto durante la guerra e pubblicato nel 1945). Nel 1936 venne graziato e poté ritornare a casa. Nel 1939 si rifugiò in Francia; in seguito prese parte alla Resistenza.
Dopo la Liberazione, Levi mantenne le sue numerose collaborazioni giornalistiche; nel 1950 pubblicò L’orologio e nel 1955 Le parole sono pietre, una raccolta di reportages. Non interruppe intanto la sua notevolissima attività di pittore neorealista (nel 1954 espose in una sala alla Biennale di Venezia). Nel 1964 raccolse nel volume Tutto il miele è finito le esperienze nate da una permanenza in Sardegna. Nel 1963 e 1968 venne eletto al Senato come indipendente nelle file del Pci. Morì a Roma nel gennaio 1975.
Il percorso della memoria. Verità e giustizia a quarant’anni dal golpe
A quarant’anni dal golpe, la memoria dei desaparecidos e la richiesta di verità sono ancora ferite aperte per la democrazia argentina.
Vogliamo proseguire la nostra riflessione sulla memoria e su cosa voglia dire raccontare il passato oggi. In sinergia con la valorizzazione del patrimonio archivistico di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli sull’America Latina e con le attività svolte dalla linea di ricerca sull’Innovazione politica, vogliamo inaugurare una serie di interventi che permettano di seguire le trasformazioni politiche che hanno interessato il Cono Sud nel corso dell’ultimo decennio per interrogarci sulla salute e sulle prospettive delle democrazie latinoamericane. [N.d.T.]
Nella recente storia argentina due date hanno un particolare significato: il 24 marzo 1976 e il 10 dicembre 1983.
Il 24 marzo 1976 è il giorno del golpe, quando una Giunta militare prese il potere per realizzare il Proceso de Reorganización Nacional, di cui si ricorda la sistematica violazione dei diritti umani e le fallimentari riforme economiche.
Il 10 dicembre 1983 segna l’uscita di scena dei militari e il ritorno alla democrazia: nella Giornata Internazionale dei Diritti Umani assunse la presidenza il radicale Alfonsín, vincitore delle elezioni del 30 ottobre con il 52% dei consensi e che – nel tener fede alle promesse elettorali – nominò la Comisión nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep), che offrì con alcuni limiti una prima ricostruzione degli orrori della dittatura nel rapporto Nunca más (1984); ottenne poi dal Congresso l’abrogazione della legge di auto-amnistia dei militari e avviò i procedimenti giudiziari nei confronti dei membri delle tre Giunte susseguitesi nei 7 anni di dittatura che, dall’aprile al dicembre 1985, furono processati e condannati a pene comprese fra l’ergastolo (Videla e Massera) e alcuni anni di reclusione (Viola, Lambruschini e Agosti) oppure vennero assolti (Galtieri, Graffigna, Anaya e Lami Dozo).
Gran parte degli argentini a quell’epoca era convinta che Alfonsín avrebbe proseguito sulla strada della Giustizia e della Verità, ma la prospettiva di più di mille processi ai militari di rango inferiore, oltre a rendere l’idea delle dimensioni della tragedia, alimentò resistenze e tensioni nelle Forze Armate, i cui membri rivendicarono il ruolo di difensori della Patria e dimostrarono di non essere ancora usciti di scena, rivelando invece tutta la fragilità della democrazia, che Alfonsín decise di proteggere con un percorso di riconciliazione nazionale, cioè offrendo risarcimenti ai familiari dei desaparecidos e concedendo l’impunità ai militari (Ley de Punto final, 1986, Ley de Obediencia debida,1987). Venuto meno però il consenso della piazza, Alfonsín si dimise e le elezioni anticipate furono vinte dal peronista Menem, che proseguì nella politica di riconciliazione e consolidò l’impunità col concedere indulti ai militari già condannati, inclusi i membri delle tre Giunte.
A metà degli anni ’90, dunque, nessun militare coinvolto nella dittatura si trovò a dover rispondere alla Giustizia per i crimini commessi, ma di quegli anni restarono 30.000 desaparecidos, di cui 8.960 denunciati, e circa 340 centri clandestini di detenzione, documentati dalla ‘Memoria Istituzionale’ che accolse la ‘Teoria dei due demoni’, per spiegare il terrorismo di Stato come l’inevitabile risposta al terrorismo delle sinistre, suscitando sconcerto nella società che non riconosceva nelle vittime solo terroristi, ma anche gente comune. Nella Plaza de Mayo continuarono le ronde del giovedì delle Madres e delle Abuelas, gli HIJOS iniziarono a organizzare gli escraches/smascheramenti di coloro che erano scivolati indenni fra le maglie della Giustizia e si celebrarono, in patria, los juicios por la verdad, cioè processi senza sentenze di condanna volti a soddisfare il diritto alla Verità dei parenti delle vittime e, all’estero, processi per quei cittadini stranieri vittime della dittatura, conclusisi invece con sentenze di condanna (in Italia nel 2000 e nel 2007, in Spagna nel 2005).
Il percorso di amnesia per la ‘necessaria riconciliazione nazionale’ viene abbandonato solo dal 2003, con la presidenza del peronista Kirchner. Nel discorso d’insediamento ricorda di far parte di una ‘generazione decimata’ (25 maggio 2003), si dichiara ‘figlio’ delle Madres e delle Abuelas (Discorso all’ONU, 25 settembre 2003). Nell’anniversario del golpe del 2004, il primo che celebra come Presidente, dispone la rimozione dal Colegio Militar dei ritratti di Videla e Bignone.
Sul fronte della Giustizia, fra il 2003 e il 2007, Kirchner annulla il decreto che impedisce l’estradizione dei militari per i processi all’estero, ottiene l’annullamento dal Congresso delle leggi d’impunità e dalla Corte Suprema degli indulti, consentendo la riapertura dei processi contro centinaia di militari e di civili sino ad allora impuniti (con la simbolica condanna all’ergastolo di Videla nel dicembre 2010), cui si affiancano, per tutto il kirchnerismo (2003-2015), le iniziative dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti nella ricerca della Verità e nella promozione della Memoria.
Marzia Rosti
Università degli Studi di Milano
24/04/2016
Consigli di lettura
Per approfondire le tematiche affrontate da Marzia Rosti nel suo articolo, proponiamo il catalogo bibliografico sull’America Latina. CLICCA QUI per scaricare il PDF.
Uno sguardo al passato
Di seguito, invece, è possibile consultare i documenti della mostra sul Cile pubblicati da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nel giugno del 2014 [Clicca qui per accedere alla pagina]. Organizzata in un percorso visivo e documentale, la gallery tocca le varie fasi della storia contemporanea cilena: l’elezione di Allende, le politiche del governo di Unidad popular, la destabilizzazione interna, il golpe, la repressione sotto il regime militare fino al referendum del 1988 che segna l’inizio della transizione alla democrazia.
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Radici storiche e politiche di un Boom: l’America Latina
Oggi l’America Latina, anche grazie ai progressi registrati nell’integrazione regionale, pur tra mille e stridenti contraddizioni, si candida ad essere un’area emergente chiamata a rivestire un ruolo di rilievo nelle relazioni internazionali del XXI secolo. Anche per questo risulta importante approfondirne la storia e cercare nel passato le radici di problemi e fenomeni che contribuiscono a chiarire il suo presente.
La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli vuole offrire il proprio contributo per consentire un diretto accesso alle ragioni di questo progresso attraverso le fonti che hanno fatto la storia di un continente e intende valorizzare la sezione delle monografie su questa parte di mondo.
Si tratta di circa 3.500 titoli che coprono un ventaglio tematico ampio e significativo. La rivoluzione cubana occupa ovviamente una parte significativa della collezione. Di sicuro interesse risultano le analisi e il dibattito sorti attorno alla questione dello sviluppo e del sottosviluppo dei paesi della regione, in particolare i lavori della Comisión Económica Para América Latina (CEPAL), costituita dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite nel febbraio del 1948 e tuttora operante, e le opere che si rifanno alla Teoría de la dependencia, che ha letto i problemi dell’arretratezza del subcontinente ponendo l’accento sulle dinamiche che caratterizzano i rapporti centro-periferia nell’economia mondiale e le loro ricadute in termini di sviluppo diseguale e di ruolo subalterno cui vengono costrette le aree periferiche del sistema, ridotte a semplici esportatrici di materie prime. Si possono così trovare opere che hanno rappresentato veri e propri classici del pensiero economico latinoamericano.
Altro filone tematico molto presente nella collezione è quello legato alle vicende cilene degli anni Settanta, dall’esperienza di governo del presidente Salvador Allende al cruento golpe del settembre 1973 che ha instaurato la dittatura militare. Oltre alle ricostruzioni storiche successive e agli scritti di alcuni protagonisti di quella stagione figurano anche numerosi opuscoli stesi dalle forza politiche della composita sinistra cilena dell’epoca. E’ questa una collezione che trova il suo completamento nel fondo archivistico Murillo Viaña, che dagli anni di governo di Unidad popular (1970-73) consente di estendere lo sguardo all’analisi del regime cileno, fino al referendum del 1989 che segna la transizione alla democrazia, senza escludere le reti dei cileni rifugiati all’estero.
Nel giro di una trentina di metri lineari di scaffali si può prendere visione di un panorama sfaccettato: fianco a fianco figurano i movimenti di guerriglia attivi tra gli anni Sessanta e Settanta; gli studi sul movimento operaio dei vari paesi; sul pensiero marxista latinoamericano; i movimenti sociali e la questione agraria; la rivoluzione messicana; il regime del generale Velasco Alvarado e i movimenti sindacali e sociali nel Perù; il movimento sandinista in Nicaragua; la storia del Brasile e dell’Argentina fino al periodo recente, etc…
Non potevano ovviamente mancare gli opuscoli della collana “Documenti della rivoluzione nell’America Latina”, pubblicati dalla Libreria Feltrinelli tra il 1967 e il 1970, che contengono analisi sulla situazione politica, economica e sociale di diversi paesi, discorsi di esponenti politici di primo piano, testimonianze, documenti programmatici delle forze della sinistra latinoamericana e dei principali movimenti di guerriglia, grazie ai quali venne offerta all’epoca la possibilità all’opinione pubblica italiana di avere accesso a documenti di prima mano concernenti il travaglio di un intero continente. Rappresentarono un contributo prezioso per far conoscere l’attualità dei difficoltosi e spesso traumatici processi in corso nell’America Latina ed oggi è la stessa collana a costituire oggetto di interesse storico, testimonianza del suo tempo.
Multimedia
Intervista a Patricio Guzmàn
In occasione della mostra Cile 1973. Da Allende alla dittatura nei documenti della Fondazione Feltrinelli è stata realizzata un’intervista esclusiva al regista cileno Patricio Guzmàn, pluripremiato autore di documentari quali La batalla del Chile e Salvador Allende. Intervista di Massimiliano Tarantino (Segretario Generale di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Consigli di lettura
Diario di Bolivia di Ernesto Che Guevara
Dal novembre del 1966 al fatale 7 ottobre 1967, gli undici mesi di guerriglia di Ernesto Che Guevara nella sua ultima avventura in Bolivia. Il testo fu consegnato da Fidel Castro personalmente a Giangiacomo Feltrinelli che ne fece la prima traduzione mondiale (luglio 1968), contribuendo alla diffusione internazionale della testimonianza e del pensiero del Che. Lo strillo in copertina (“Gli utili di questa pubblicazione saranno devoluti interamente ai movimenti rivoluzionari dell’America Latina”) provocò reazioni accese dell’estrema destra nelle piazze e alcune interrogazioni parlamentari.
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