Territori

Capitolo 3

Si trattava d’un tanfo che in poco riusciva a infettare e a corrompere tutta l’aria. Così la fiamma che dalle finestre più alte del Fabbricone si vedeva brillare verso nord, diventava il segnale di un fuoco nauseante e malefico che si ripeteva ogni sera.

 

Giovanni Testori
Il Fabbricone
Milano, Feltrinelli, 1961

Progresso industriale
Il progresso industriale trasforma in maniera spesso irreversibile i territori. Mutano innanzitutto le città, dove si concentrano le grandi fabbriche, a causa dell’arrivo di migliaia di uomini e di donne che si trasferiscono dalle campagne (in Italia in particolare dalle regioni del Mezzogiorno) con la speranza di avere un posto di lavoro nei siti industriali. Questo processo di inurbamento favorisce uno sviluppo dell’edilizia e apre nelle grandi città il problema della regolazione delle periferie, dello sviluppo dei trasporti e dei servizi (come asili, scuole, ospedali, negozi).
 
Deindustrializzazione
Il processo di deindustrializzazione avvenuto nei paesi occidentali a partire dalla metà degli anni Settanta ha posto il tema di vasti spazi da bonificare, ridisegnare e reinventare. Così alle fabbriche si sostituiscono i grattacieli, gli uffici, le residenze di lusso, i centri commerciali. Questa trasformazione ha cambiato radicalmente il tessuto sociale e l’identità di interi territori.
 
Riqualificazione
Alcune realtà hanno saputo rispondere alla sfida del cambiamento imboccando percorsi di riqualificazione e innovazione. Altri hanno subito dinamiche di declino e decadenza e devono ancora trovare una strategia di sviluppo capace di cogliere nuove opportunità. Su questi scenari impattano i flussi migratori, formati da lavoratori che provengono da paesi lontani anche migliaia di chilometri, ponendo con forza la questione della convivenza, dell’integrazione e della ricerca di nuove forme di cittadinanza.

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L’articolo di Negri consente di riflettere sull’impatto dello sviluppo industriale nel tessuto urbano da due angoli visuali differenti: alla grande “esplosione” dell’universo industriale di inizio Novecento – con l’affermazione dei primi grandi impianti – corrisponde l’”implosione” degli anni Ottanta, periodo in cui – a causa della deindustrializzazione – si registra un progressivo smantellamento delle fabbriche.

 

1. Antonello Negri, I luoghi del lavoro, in “Archeologia industriale”, a. I, n° 1, Luigi Micheletti editore, Brescia, giugno 1983, p. 9.

 

“Esistono numerose vedute di officine meccaniche, non databili con precisione ma risalenti al primo decennio del XX secolo, che mostrano il nuovo rapporto tra la città e l’industria, definitosi nei decenni a cavallo del 1900 in termini sempre più chiari. Ai primi grandi insediamenti a sviluppo orizzontale degli anni ‘70 e ‘80 (dalla De Angeli alla Breda e alla Pirelli) che potevano ancora costruire episodi relativamente marginali – non dal punto di vista delle dimensioni – rispetto al tessuto e alla forma della città, si aggiungono numerosi impianti estesi su grandi aree che, pur trovandosi al loro sorgere alla periferia della città, in aperta campagna, appaiono destinati a divenire presenze caratterizzanti il tessuto costruito della nuova città novecentesca”.[…] “Delle 77 fabbriche individuate sulla pianta del 1884 rimane oggi molto poco. Della cartiera Binda la ricostruzione successiva a un incendio; della prima Richard alcuni capannoni in mattoni di difficile datazione, anche perché evidentemente ristrutturati e modificati a più riprese; della Società lombarda di prodotti chimici un fronte lungo via Tortona, certamente più tardo rispetto alla data di inizio di attività di questa industria; della De Angeli frammenti del muro di cinta dell’enorme stabilimento; il molino Mosca, abbandonato, è invece pressoché integro e costituisce forse il più significativo reperto industriale ottocentesco della città”.

 

2. Archivio Duccio Bigazzi, Planimetria Stabilimento al Portello, copia fotostatica

Approfondimento

Guarda la puntata della trasmissione Ossi di Seppia – 10 luglio 1976, il Disastro di Seveso: una fuga di diossina dalla fabbrica Icmesa di Meda rende l’aria tossica, generando il primo grande disastro ambientale in Italia.

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