2Le due dimensioni della politica: stato nazionale e ordine internazionale. Leggi il percorso narrativo e clicca sulle parole evidenziate in blu (o sulle immagini corrispondenti) per accedere ai contenuti di approfondimento.
La nozione di una dimensione internazionale quale zona separata della politica, dotata di proprie regole, norme e pratiche, risale alla prima metà del XIX secolo e appartiene perciò alla modernità europea. Nel corso del secolo compreso tra l’epoca delle guerre napoleoniche e la Prima guerra mondiale, l’intreccio tra la nascita e il consolidamento degli stati-nazione, da una parte, e l’esistenza di un ordine internazionale plasmato dai rapporti tra le grandi potenze, dall’altra, contrassegnò la storia d’Europa e fu parte integrante della coscienza europea. In un simile contesto, nacquero e si svilupparono ideologie “internazionaliste” e movimenti ad esse ispirati, che combinavano in modi diversi e spesso contrapposti il rapporto necessario tra la realtà nazionale e quella internazionale.
I protagonisti e i rivali forse più celebri dell’internazionalismo ottocentesco furono Mazzini e Marx, rispettivamente rappresentanti di un ideale nazionalista democratico con ambizioni universali e di un internazionalismo socialista non meno universalistico nella sua visione. La trasformazione del nazionalismo in ideologie e pratiche sempre più influenzate dall’imperialismo, dopo l’unificazione della Germania nel 1870-71, impedì agli ideali mazziniani di fondare un movimento durevole. Fu il socialismo marxista a organizzare un movimento di partiti che, dopo il primo limitato tentativo compiuto dallo stesso Marx, dette vita alla
Seconda Internazionale nel 1889. Il crollo dell’ordine internazionale fondato sul “concerto delle potenze” nel 1914 trascinò con sè anche la Seconda Internazionale, che si disgregò per appartenenza nazionali. Soltanto pochi socialisti in Europa, tra i quali i socialisti italiani e i bolscevichi russi, tennero vivo l’ideale internazionalista negli anni di guerra.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale sconvolse così il panorama ottocentesco, facendo emergere nuove forme e combinazioni di nazionalismo e internazionalismo. I nuovi protagonisti e rivali furono Wilson e Lenin: il primo, campione dell’universalismo pacifista democratico e dell’autodeterminazione nazionale; il secondo, erede dell’internazionalismo socialista e marxista. Nell’immediato, i loro destini furono simili. Basato sull’idea di una missione universale affidata agli Stati Uniti, il wilsonismo acquistò grande prestigio ma uscì di scena subito dopo la guerra, a causa della scelta isolazionista americana, lasciando una Società delle Nazioni indebolita.
La Rivoluzione d’Ottobre in Russia ebbe un enorme impatto politico e psicologico sull’Europa, rafforzato dalla fondazione della Terza Internazionale nel 1919, ma il sogno leninista di una rivoluzione mondiale svanì nel giro di pochi anni.
Le eredità lasciate dal wilsonismo e dal leninismo, tuttavia, dovevano presentare una lunga durata nella prima metà del XX secolo e persino oltre. L’internazionalismo democratico wilsoniano doveva tornare di attualità alla fine della Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti liquidarono definitivamente la loro tradizione isolazionista. L’internazionalismo comunista leniniano continuò a suscitare passioni antagoniste e mantenne il ruolo di un’ideologia ufficiale di Stato sotto Stalin.
La Prima guerra mondiale produsse o accelerò profondi mutamenti nel rapporto tra politica internazionale e contesti nazionali. Lo scoppio della guerra interruppe solo temporaneamente le crescenti interdipendenze dell’economia mondiale, che ripresero forza nel corso della ricostruzione europea degli anni Venti. Ma il lascito dell’esperienza bellica segnò in un modo determinante i rapporti tra governi ed economia, con un crescente interventismo statale, e acuì le tendenze nazionaliste nelle opinioni pubbliche. L’epicentro era la Germania. Malgrado l’instaurazione della repubblica democratica di Weimar, le umilianti conseguenze della “pace punitiva” inflitta dai vincitori a Versailles crearono le premesse per una destabilizzazione economica e per un revanscismo nazionalista. La Grande Depressione del 1929 ne fu il detonatore finale. Il suo impatto provocò risposte autarchiche e improntate all’interventismo statale nell’economia e favorì l’ascesa al potere del nazionalsocialismo in Germania. Divenne allora evidente e drammatica la divergenza tra le tendenze alla globalizzazione economica e le tendenze nazionaliste in gran parte dell’Europa, mentre gli Stati Uniti non giocavano un ruolo politico adeguato al loro già decisivo peso economico.
Tra i testimoni dell’epoca, il giudizio più lucido e lungimirante fu probabilmente quello espresso da Antonio Gramsci che indicò il tratto principale del dopoguerra nella contraddizione tra il “cosmopolitismo” dell’economia e il “nazionalismo” della politica. Tale giudizio si volgeva ad analizzare i motivi profondi della crisi seguita alla guerra, ma presentava anche il carattere di uno strumento analitico capace di cogliere tendenze più generali e di lungo periodo della storia contemporanea, prima e dopo la congiuntura tra le due guerre. Nello stesso tempo, i livelli di interazione tra “internazionale” e “nazionale” facevano già all’epoca prevedere l’impossibilità di separare le due dimensioni, se non su un piano metodologico e convenzionale.
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’ordine bipolare della guerra fredda e il processo di decolonizzazione dovevano comportare una smisurata accelerazione di tutti i processi globali e transnazionali in un complesso intreccio con la sovranità degli stati. Il nesso nazionale-internazionale si riprodusse nell’Europa divisa tra i blocchi ma anche su scala mondiale, con la nascita di nuovi stati-nazione post-coloniali. Le ideologie internazionaliste ereditate dalla prima metà del secolo si presentarono appieno come missioni universali nelle versioni antagonistiche del socialismo sovietico e del capitalismo americano. Ma persino la fine della guerra fredda e la nuova fase della globalizzazione non hanno liquidato la duplice chiave di lettura costituita dall’interazione tra sistema internazionale e contesti nazionali, da una parte, e dalla contraddizione tra processi globali e sovranità politica, dall’altra.
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Qui di seguito alcune tra le più significative vignette pubblicate su l’Avanti! da Giuseppe Scalarini (Mantova, 29 gennaio 1873 – Milano, 30 dicembre 1948). Illustratore e disegnatore, socialista e antimilitarista, Scalarini è stato una delle massime figure della grafica politica e satirica in Italia. Collaborò con la testata Merlin Cocai e con il giornale La Terra, fondato insieme a Ivanoe Bonomi e Giovanni Zibordi, prima di entrare a far parte della redazione dell’ Avanti! nel 1911. Lavorò ininterrottamente per il quotidiano del PSI fino al 1925, disegnando e pubblicando un totale di circa 3.700 vignette; nello stesso periodo collaborò anche con altre riviste, tra cui la nuova serie del satirico L’Asino. Durante il fascismo fu costretto a ridurre notevolmente la sua attività e a lavorare sotto pseudonimo; subì violenze e aggressioni che culminarono nell’arresto, avvenuto nel dicembre del 1926, e nel successivo invio al confino prima a Lampedusa e poi a Ustica. Con la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta del regime, Scalarini poté riprendere il posto di illustratore all’Avanti!, incarico che mantenne fino alla sua morte.