L’attuale contesto di profonda ridefinizione del sistema politico, sulla scia di una transizione ormai ventennale, dalla fine della cosiddetta “Prima Repubblica” ad oggi, avviene nel quadro di una seria crisi economica, che ha colpito particolarmente l’Occidente e all’interno dell’Occidente, specie negli ultimi due anni, in particolar modo l’Europa.
In questo contesto tornano in primo piano le questioni attinenti al mondo del lavoro, in tutte le loro sfaccettature e implicazioni. Anche il mondo del lavoro è cambiato molto in questi venti anni. Sia nella sua struttura produttiva che nella sua geografia contrattuale. E’ venuta meno la sua coesione, rispetto al periodo della grande fabbrica fordista, è cambiato il suo peso sul piatto della bilancia politica, è cambiato anche il suo sentire, il suo modo di guardare al mondo. In questo ha pesato certo la fine delle grandi narrazioni del Novecento e i cambiamenti intervenuti in ambito politico. Ma, a ben vedere, è stato anche vero il contrario, e le trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro hanno influito sui cambiamenti politici. Le interferenze tra le due sfere sono assai più complesse di quanto comunemente si considera.
Uno sguardo al passato è sempre utile per cogliere le trasformazioni intervenute. Nel caso del mondo del lavoro sono di sicura utilità i periodici di fabbrica, espressioni di un mondo ormai lontano, documentazione primaria di rilevante valore, materia indispensabile di analisi e di studio.
I giornali di fabbrica affondano le loro radici nella stampa clandestina sotto il regime fascista e durante la Resistenza. Rappresentano la voce di un mondo del lavoro che continua a pensare, che poi rialza la testa a partire dal marzo del 1943, ricomincia a parlare, a occuparsi dei suoi problemi sforzandosi di individuare delle soluzioni, è partecipe della crisi profonda del paese, travolto dal secondo conflitto mondiale e ridotto a campo di battaglia, partecipa alla lotta di liberazione e proietta le proprie aspirazioni sulla nuova Italia che deve essere costruita, un’Italia dove la propria partecipazione alla cosa pubblica venga riconosciuta.
A partire dagli anni Cinquanta i giornali di fabbrica si affermano come elemento di coagulo per rafforzare l’unità operaia e sindacale. Ma alle tematiche economiche si affiancano presto articoli politici, sindacali, perfino articoli a scopo culturale e ricreativo. Il fenomeno si impose a tal punto che nel 1953 ricevette un riconoscimento ufficiale presso la sede dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti.
Attraverso questi periodici era possibile cogliere le aspirazioni, gli ideali dei lavoratori che si esprimevano con un linguaggio chiaro e diretto. Notizie sui cottimi, gli straordinari, i salari, gli incidenti, i rapporti coi tecnici, con gli impiegati e con la direzione rappresentano una fonte documentale su quel mondo, proveniente da quel mondo, tanto rilevante da essere paragonata ai Cahiers de doléances.
A metà anni Sessanta la nuova stampa operaia è originata da un maggior livello di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori alla vita dell’azienda, ha carattere di maggiore immediatezza. Si distingue da altri mezzi di informazione per il rapporto che corre tra chi scrive e chi legge, con un lettore collettivo fortemente aggregato, che consuma l’informazione nel luogo stesso in cui è prodotta e perciò è in condizione di verificarla.
Il processo di deindustrializzazione che interessa l’Italia a partire dagli anni Settanta segna la fine di quell’esperienza, e l’inizio delle metamorfosi del mondo del lavoro e delle forme della partecipazione dei lavoratori, alla loro azienda, e anche alla vita pubblica. Trasformazioni che sono sotto i nostri occhi e che ci interrogano.
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