di Eleonora Belloni, leggi l’articolo oppure TORNA ALLO SPECIALE “Che cos’è la patria?“
Nell’aprile del 1915 Giovanni Preziosi pubblicava, come supplemento al numero mensile de “La Vita Italiana”, l’opuscolo La Banca Commerciale e la penetrazione tedesca in Francia e Inghilterra, con prefazione di Maffeo Pantaleoni. All’opuscolo seguì la pubblicazione del volume La Germania alla conquista dell’Italia, sempre ad opera di Preziosi, uscito nel 1915 e poi in seconda edizione, di nuovo con prefazione di Pantaleoni, nel 1916.
Era l’inizio di una articolata campagna di stampa che finì per bollare l’istituto bancario milanese come “la tedesca d’Italia”, la longa manus degli interessi germanici nel paese, fulcro del presunto “cartello politico-bancario franco-tedesco” volto, con la connivenza giolittiana, a tenere fuori l’Italia dal conflitto a tutto vantaggio delle sorti della Germania in guerra.
Sempre nel 1915 la casa editrice milanese Ravà & C. pubblicava un opuscoletto di Ezio Maria Gray dal titolo Germania in Italia, a cui poi sarebbe seguito, ad opera dello stesso autore ma questa volta per i tipi Bemporad, il volume Guerra senza sangue, uscito l’anno successivo. Nel denunciare il presunto complotto tedesco ai danni dell’Italia, anche Gray, come Preziosi, poneva al centro di tutta la tela tedesca la Banca Commerciale. E, ancora, l’istituto bancario milanese tornava nel mirino della campagna stampa portata avanti dal foglio nazionalista di Corradini, “L’Idea nazionale”, in una serie di articoli usciti tra il gennaio del 1915 e il marzo del 1916, e che poi lo stesso Corradini avrebbe raccolto nel volume La marcia dei produttori, denuncia contro quell’imperialismo tedesco incarnato appunto dalla Comit, che Corradini non esitava a definire “l’istituto di un imperialismo straniero in casa nostra”.
Le accuse rivolte alla Comit erano in gran parte fondate sul ruolo preponderante che il capitale straniero, ed in particolare quello tedesco, aveva avuto al momento della fondazione dell’istituto, nel 1894. Già negli anni immediatamente successivi, in realtà, le quote tedesche erano scese vistosamente: la percentuale del capitale austro-tedesco nella Commerciale era infatti passata dal 74% nel 1895, al 18% nel 1898, al 10% nel 1900, al 5% nel 1904; allo scoppio della guerra si era ormai ridotta al 2,4%. Si era assistito, al contrario, ad un ribaltamento degli equilibri a vantaggio delle quote svizzere e francesi, e soprattutto italiane.
A fronte di questo, tuttavia, la distribuzione dei seggi nel consiglio di amministrazione rimase per lo più immutata a vantaggio della presenza tedesca. E proprio su questo si appuntarono nel 1915 le accuse dei detrattori della Commerciale.
E a poco servì il fatto che nel 1911, a voler affermare e ribadire l’avvenuta “italianizzazione” della banca, l’art. 10 dello statuto fosse stato modificato inserendovi la prescrizione per cui sia il presidente che i vicepresidenti avrebbero dovuto avere cittadinanza italiana e risiedere in Italia.
Nel 1916, poi, ci sarebbe stata un’ulteriore svolta “italianizzatrice”, con Giuseppe Toeplitz a sostituire Otto Joel come amministratore delegato.
Stretta nella morsa di una polemica che non accennava a placarsi, la Commerciale fece di tutto per smentire le accuse, appellandosi non solo alla ricordata modifica statutaria, ma soprattutto non perdendo occasione per ricordare come, fin dalla sua creazione, l’istituto bancario avesse investito in modo importante nell’industria nazionale, contribuendo allo sviluppo e al consolidamento del sistema produttivo.
Eleonora Belloni
Ricercatrice del progetto La Grande Trasformazione
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