L’affondamento del Lusitania e, poco più tardi, l’entrata in guerra degli Stati Uniti, diedero definitiva evidenza all’immagine della Grande guerra come “guerra mondiale” – anzi come prima guerra mondiale, a sottolinearne anche sul terreno spaziale il carattere di eccezionalità. La nuova dimensione spaziale della guerra andava ben oltre il fatto che Stati diversi da quelli europei (Stati Uniti, Canada, Impero ottomano, Australia, Nuova Zelanda, Cina, Giappone) partecipassero al conflitto, o che i combattimenti avvenissero contemporaneamente in Europa, Turchia, Caucaso, Palestina, Mesopotamia, Africa e Cina. Quello che faceva della guerra una guerra autenticamente mondiale era la consapevolezza che gli esiti di tutti questi scenari erano necessariamente interconnessi, nel senso che lo stesso schieramento avrebbe vinto o perso dappertutto.

Il rapporto tra guerra e globalità operò in tutti e due i sensi. In un senso, la globalizzazione della guerra fu semplicemente il riflesso del passaggio già avvenuto nei decenni precedenti a uno scenario diplopalazzimatico e strategico di dimensioni globali, spinto in avanti dagli straordinari progressi dei trasporti, delle comunicazioni e delle tecnologie militari, simboleggiato anche sul terreno diplomatico da nuovi segmenti di interdipendenza quali l’alleanza trans-continentale stretta fra Regno Unito e Giappone nel 1902, e condensato nella retorica già diffusa del passaggio dalla politica europea alla Weltpolitik (politica mondiale). Nell’altro senso la guerra operò, a propria volta, come un ulteriore e potentissimo vettore di globalizzazione, mischiando sui campi di battaglia migliaia di uomini provenienti da tutti i continenti; diffondendo ovunque, in questo modo, esperienze e memorie comuni (di sofferenza, paura e lutto); facilitando lo slittamento dal vecchio immaginario nazionale a un nuovo immaginario globale, nutrito di progetti anche istituzionali di portata universale (quale fu, all’indomani della guerra, la Società delle Nazioni); prima di tutto, producendo una nozione di pace e di ordine mondiale di dimensioni altrettanto globali, nella quale non avrebbe più avuto alcun senso la vecchia equiparazione tra pace europea e pace nel mondo.

Perché era proprio questo, almeno visto dall’Europa, il senso storico del passaggio alla Weltpolitik. Non casualmente, già prima della guerra questo riconoscimento aveva cominciato a diffondersi di pari passo con i primi segnali della detronizzazione dell’Europa da centro del mondo.Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, i primi movimenti nazionalisti avevano fatto la loro comparsa nel mondo coloniale, sebbene quasi sempre su iniziativa di élite occidentalizzate e su imitazione del lessico politico occidentale; tra il 1898 e il 1902, la guerra anglo-boera aveva rivelato le debolezze e, a tratti, la vulnerabilità delle truppe coloniali inglesi mentre, tra il 1904 e il 1905, una potenza asiatica, il Giappone, aveva sconfitto per la prima volta e con straordinaria portata simbolica un protagonista dell’equilibrio europeo, la Russia; soprattutto, il pluralismo politico e territoriale dell’Europa aveva già cominciato a essere avvertito come inadeguato a reggere la sfida di competitori di dimensioni incomparabili quali la Russia e gli Stati Uniti.

La Prima guerra mondiale acuì drammaticamente questo senso di declino – riassunto, all’indomani del conflitto, in un’opera-simbolo quale Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Non soltanto perché fu proprio l’entrata in guerra degli Stati Uniti a decidere definitivamente le sorti del conflitto. Ma perché, a differenza di tutte le grandi conferenze di pace dei secoli precedenti, le conferenze di pace di Versailles dell’inverno 1918-19 non furono già più conferenze propriamente europee. Al contrario, se nel ruolo di nemico vinto sedevano due grandi potenze europee, Germania e Austria-Ungheria – la seconda delle quali, oltre tutto, era stata un protagonista assoluto del sistema europeo sin dai suoi esordi – nel ruolo di vincitore per eccellenza della guerra stava una potenza dichiaratamente estranea al recinto europeo, gli Stati Uniti. Il rovesciamento non avrebbe potuto essere più radicale. Come avrebbe osservato Carl Schmitt in un’opera nostalgica come poche altre del mondo pre-bellico, “mentre nei secoli passati erano state le conferenze europee a determinare l’ordinamento spaziale della terra, nelle conferenze di Parigi avvenne per la prima volta il contrario: era il mondo che decideva sull’ordinamento spaziale dell’Europa”(Carl Schmitt, Der Nomos der ErdeimVoelkerrecht des Jus PublicumEuropaeum, Köln 1950; tr. it. Il Nomosdella Terra, Adelphi, Milano 1991, p. 307). Tanto più questo capovolgimento si rifletteva perfettamente anche nei programmi politici dei due “uomini nuovi” per eccellenza del dopoguerra, Wilson e Lenin. “Per molti versi”, nota lo storico inglese Geoffrey Barraclough, “l’aspetto più significativo dei programmi di Wilson e di Lenin era che essi non erano accentrati sull’Europa, ma abbracciavano l’intero mondo; cioè si appellavano ambedue a tutti i popoli, senza badare a razza o a colore. Entrambi implicavano l’annullamento del precedente sistema europeo”(Geoffrey Barraclough, An Introduction to Contemporary History, London 1964; trad. it. Guida alla storia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 124).

In questo modo, la Prima guerra mondiale accelerò la più grande trasformazione dell’ultimo secolo, almeno dal punto di vista della storia delle relazioni internazionali: la dissoluzione della centralità europea in una nuova e ancora instabile architettura globale. Tra il 1914 e il 1918, per la verità, questa catastrofe geopolitica fu soltanto accennata. Nonostante l’estensione “mondiale” delle operazioni e della posta in gioco della guerra, il conflitto rimase ancora centrato sull’Europa e si decise interamente sui campi di battaglia europei. Già vent’anni più tardi, nella seconda guerra mondiale, il peso rispettivo di Europa e Asia-Pacifico risultò più equilibrato. Anche se quello europeo rimase il teatro principale delle operazioni militari, il teatro del Pacifico cessò di essere, come era stato ancora nella guerra precedente, un teatro subordinato o una semplice appendice del primo.Ma fu solo alla conclusione della guerra, con la formazione del sistema internazionale bipolare e la divisione stessa del continente nelle due sfere di influenza statunitense e sovietica, che l’Europa perse una volta per tutte il proprio passato ruolo di centro di irraggiamento globale (di istituzioni così come di conflitti). Sennonché neppure questo bastò a cancellare le ultime tracce della sua centralità. Anche durante la guerra fredda, l’Europa rimase pur sempre il fronte principale dello scontro, cioè il luogo nel quale si sarebbe combattuta, in caso di guerra, la battaglia decisiva e nel quale, nel frattempo, non se ne poteva combattere nessuna. Mentre, grazie a ciò, essa poté conti­nuare a percepirsi e a essere percepita come uno spazio separato e, sebbene non più come protagonista ma come posta in gioco, più importante degli altri.

È soltanto oggi, a cento anni dallo scoppio della Grande guerra e a venticinque ormai dalla fine della guerra fredda, che il processo di detronizzazione dell’Europa può dirsi a tutti gli effetti compiuto, senza probabilmente che gli Europei siano ancora riusciti ad adattarsi (politicamente, economicamente e culturalmente) alla loro nuova condizione.Abbracciare l’orizzonte storico di questa grande trasformazione può aiutare, almeno, a evitare illusioni. Nell’attuale contesto internazionale “l’Europa si trova in una posizione che, in termini storici, è nuova e unica: l’Europa non domina né è dominata, non è isolata né è in grado di controllare il mondo. Per la prima volta nella storia l’Europa è una regione qualun­que di un sistema internazionale globale: quando, in precedenza, essa era solo una fra le tante regioni del mondo (prima del periodo dell’espansione europea), il mondo era meno interdipendente. Ora il globo è uno solo e l’Europa non ne costituisce più il centro”.

Alessandro Colombo
Curatore scientifico del progetto “La Grande Trasformazione


Approfondimenti

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