Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

In anni di globalizzazione, discutere di patria può sembrare una scelta regressiva, soprattutto se il discorso tende agli orizzonti storici della Grande Guerra. Ma proprio la globalizzazione, con la deriva dell’Europa da continente egemone a regione fra le altre in un mondo globalizzato, ci mostra che mettere il presente in prospettiva aiuta a comprenderlo più in profondità. È infatti la Grande Guerra a innescare il declino dell’egemonia europea nel corso del Novecento e quelle dinamiche di cancellazione dei confini – allora tra civili e combattenti, fronte e retrovie, vita civile e operazioni militari – in cui pure consiste la globalizzazione. È proprio la Grande Guerra, e soprattutto dove emerge la questione della patria, a consentirci di cogliere la portata, storica e problematica, di quell’idea di cittadinanza europea che ancora oggi siamo impegnati, forse, a realizzare. Il conflitto in corso in Ucraina, sul confine dell’Europa di oggi, richiama la vicenda di quegli italiani d’Austria che dovettero o avrebbero dovuto indossare la divisa dell’Impero Austrungarico, a cominciare da Cesare Battisti, e di tutti coloro che la Grande Guerra costrinse a interrogarsi su che cosa sia la patria e quali siano i suoi confini:politici, geografici, linguistici o culturali.

Atti terroristici come quelli recenti di Parigi e Copenaghen, che contrappongono uomini nati o cresciuti nello stesso paese, evocano quelle idee di tradimento, nemico interno e mancata integrazione che in quelle stesse vicende della Grande Guerra furono agitate e discusse. Sono evocazioni e richiami problematici, perché al riconoscimento dell’analogia si unisce il sentimento dell’alterità, mentre la percezione della continuità è complicata dalla dissonanza del cambiamento. Si sente l’esigenza di una messa a punto critica di un lungo periodo che arriva fino a noi. Allora come oggi l’idea della patria può essere cooptata all’agenda del nazionalismo politico ed economico. Se allora la minaccia era forse che la Banca Commerciale divenisse uno strumento nelle mani dei tedeschi, oggi si temono la Cina o l’anonimato tutt’altro che innocente degli hedge funds: identità nazionale, interessi economici e conflitto di classe si intrecciano ancora,ma ora, pienamente, nella dimensione globale che la Grande Guerra ha spalancato. E Gabriele D’Annunzio, nel suo discorso di Quarto del maggio 1915, non sarebbe stato l’ultimo a usare l’ideale della patria per mobilitare alla guerra e promuovere la causa del nazionalismo. Dulce et decorum est pro patria mori – è dolce e bello morire per la patria: ma, prima di morire sul fronte occidentale, Wilfred Owen avrebbe fatto in tempo a citare il verso oraziano, o la tradizione e l’insegnamento ormai corrotti che esso evocava, per denunciarlo come «old lie», «vecchia menzogna» buona per mandare a morte giovani «ardenti di una gloria disperata».

Alla tradizione e al passato non possiamo più guardare come a monumenti da celebrare, nemmeno quando cade un anniversario come questo, dei cento anni dallo scoppio della guerra. Il progetto La Grande Trasformazione di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli cerca di realizzare uno sguardo critico verso la Grande Guerra come momento di svolta della modernità,per coglierla nelle sue implicazioni di lungo periodo e per il nostro presente. Lo speciale sul tema della patria, in uscita il 9 aprile sul sito della Fondazione, è un’occasione per provare questo sguardo.

Stefano Ballerio
Ricercatore del progetto “La Grande Trasformazione – 1914-1918


Approfondimenti

CLICCA QUI e scopri lo speciale Che cos’è la Patria? pubblicato per  “La Grande Trasformazione – 1914-1918”, un progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

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Multimedia

Clicca sul video per ascoltare il pensiero di Paolo Rumiz, ospite di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli:

 

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