Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

WeMake è uno dei fablab che da qualche anno contribuiscono ad animare la scena culturale di Milano [Leggi l’articolo di approfondimento], uno spazio di prototipazione e fabbricazione aperto, accessibile a tutti, che offre anche percorsi di formazione, organizza corsi e workshop e collabora con scuole e aziende.

Localizzato nella prima periferia a nord di Milano, gode della vicinanza non solo ad una linea della metro ma anche e soprattutto allo spazio di coworking tecnologico Login con cui, negli anni, ha attivato diverse forme di partnership.

La configurazione spaziale e l’assetto interno sono in costante cambiamento, animati contemporaneamente da ogni genere di materiale, prodotti, disegni, scarti – che si combinano e si dispongono tutte le volte in modo diverso – ma anche da user, fruitori, pubblici di varie età e tipologie, più o meno occasionali, e con livelli di esperienza e competenze molto differenti.

La collocazione delle macchine resta invece necessariamente invariata, e segue una disposizione che separa quelle più rumorose e che sporcano di più dalle altre e dagli spazi di lavoro.

Zoe Romano, una delle fondatrici, ci ha accompagnato in un tour all’interno del fablab, illustrandoci la suddivisione dello spazio e la collocazione e il funzionamento delle macchine, come il lasercut, il compressore o il bando di elettronica, che restano isolate dal resto.

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Dall’ingresso si accede ad un corridoio centrale su cui collocano da un lato alcune postazioni con tavoli, macchine da cucire, materiali, computer per l’uso di software, dall’altro gli accessi ad un paio di stanze più piccole ed isolate – attraverso delle porte triangolari, che ricordano le coperture a shed degli spazi industriali – contenenti le macchine, tra cui ad esempio, la stampante 3D, il lasercut, il compressore, un braccio robotico.

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Tra queste il braccio robotico è stato l’oggetto di alcuni workshop che sono stati organizzati da WeMake, per investigare le possibilità che tale macchina è in grado di offrire attraverso il passaggio da movimenti ripetitivi legati ad un impiego esclusivamente industriale ad infinite opportunità e relative applicazioni nei campi dell’arte, del design e in generale del prodotto customizzato.

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Tutto è disposto in un incastro perfetto che sfrutta ogni centimetro di circa 250 mq, considerati più o meno il minimo per poter collocare un laser di grandi dimensioni, una fresa a controllo numerico, un banco di elettronica, un’area per i materiali e uno spazio per ospitare workshop ed eventi.

Si tratta di uno spazio grezzo e flessibile, che rimanda nell’immaginario ad un piccolo capannone, ad un laboratorio industriale dedicato alla produzione, con ampie vetrature, travi reticolari tinteggiate di bianco e impianti a vista. La ripartizione interna è stata immaginata e progettata direttamente dai fondatori del fablab, a partire, quindi, direttamente dalle esigenze e dalle necessità spaziali legate alle attività da sviluppare ed implementare.

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Il soppalco, costruito in una fase successiva, grazie ad un bando promosso dall’Amministrazione, ospita una decina di postazioni per i fondatori e i collaboratori fissi.

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L’area adibita a sala per lezioni, corsi, workshop e laboratori, consente di ospitare sia attività esterne che eventi pubblici e dimostrazioni, creando quindi occasioni ed opportunità per attrarre pubblico, sensibilizzare e alfabetizzare nuovi utenti, promuovere l’innovazione tecnologica ed espandere ed allargare la piattaforma di riferimento.

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Alcuni dei prodotti che sono stati realizzati attraverso l’uso delle macchine sono in esposizione all’interno dello spazio. Il Fablab è specializzato nella produzione e fabbricazione di oggetti di design e legati al tessile e alla moda, – settori che strettamente hanno a che fare con la cultura materiale che caratterizza fortemente Milano. Vi si trovano orecchini e collane di tutti i generi, borse e zaini, alcuni campioni di prova di abbigliamento, vasi e oggettistica in generale per la casa. Tra questi oggetti, alcuni appaiono finiti e completi in tutto il loro processo, altri visibilmente risultano essere dei tentativi mal riusciti, ma che contribuiscono a rendere quella percezione di sperimentazione work in progress e quel carattere laboratoriale che caratterizzano l’ecosistema produttivo del fablab.

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Ilaria Giuliani
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

22/02/2017


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