Proponiamo qui di seguito un estratto da L’arte di vivere insieme, Secondo Manifesto convivialista. Per un’alternativa al neoliberalismo, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli 2020.


Quasi ovunque, nei paesi più ricchi, i giovani hanno cominciato a mobilitarsi per esigere che gli Stati e le grandi imprese si decidano a lottare per davvero contro il riscaldamento climatico e contro il degrado irreversibile dell’ambiente naturale. E hanno ragione, poiché in gioco è proprio il loro avvenire. Secondo un numero crescente di scienziati, ci restano solo pochi anni per invertire le dinamiche che governano il mondo ed evitare il peggio.

[…]

Nel 1971, John Lennon compone Imagine, destinata negli anni a diventare una delle canzoni più influenti al mondo. A poco a poco, si sarebbe prestata attenzione non solo alla melodia, ma anche alle parole di quell’epoca di ottimismo:

Imagine all the people living life in peace […] no need for greed or hunger, a brotherhood of man. Imagine all the people sharing all the world.

Cinquant’anni dopo, diviene più urgente che mai non solo immaginare e sognare un mondo di pace, ma contribuire alla sua nascita quanto prima. Il fatto è che immaginarlo oggi, anche solo immaginarlo, sembra difficile.

Tuttavia, dobbiamo provarci.

 

Un altro futuro?

A che cosa potrebbe rassomigliare un tale mondo? Un mondo che non sarebbe un paradiso, introvabile, un Paese della cuccagna, ma solo un paese pienamente umano, un mondo effettivamente possibile. Un mondo in cui, come dichiarava il presidente degli Stati Uniti nel 1941, regnerebbero la libertà di parola e la libertà religiosa, e dove le persone sarebbero al riparo dal bisogno e dalla paura. Sulla falsariga del discorso di Roosevelt e su queste quattro libertà (freedom of speech, freedom of religion, freedom from want, freedom from fear) una Conferenza internazionale del lavoro riunitasi a Filadelfia il 10 maggio 1944 avrebbe fissato gli obiettivi generali dell’ILO (International Labour Organization), preludio della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). L’articolo 2 della dichiarazione di Filadelfia stabilisce: “Tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro razza, fede religiosa o sesso, hanno il diritto di perseguire il loro progresso materiale e il loro sviluppo spirituale nella libertà e nella dignità, nella sicurezza economica e godendo di pari opportunità”. Ma la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, chiamata ora Dichiarazione universale dei diritti umani, non parla più alle nuove generazioni. Quando la conoscono, il più delle volte non vi vedono che una retorica vuota, ben presto smentita dai fatti. Traduciamo, dunque, in termini un po’ più concreti e attualizziamo.

È davvero impossibile immaginare un mondo in cui il potere non vada, troppo spesso, in mano a psicopatici sostenuti da reti criminali, con la complicità dell’esercito e della polizia? Dove il potere acquisito non si conservi grazie a un controllo più o meno stringente e visibile esercitato sui media, o grazie ad arresti arbitrari, alla corruzione dei giudici e dell’insieme del sistema politico o attraverso la tortura e l’assassinio? Un mondo in cui, certamente, non tutti sfuggano alla povertà, ma dove nessuno si ritrovi nella miseria, e dove ognuno possa vivere del proprio lavoro?

[…]

 

Il recente sconvolgimento del mondo

Risaliamo un po’ indietro nel tempo. Nei tre decenni seguiti alla Seconda guerra mondiale, i princìpi enunciati dalla dichiarazione di Filadelfia e poi dalla Dichiarazione universale dei diritti umani non suonavano affatto come parole vuote. Essi hanno ispirato ufficialmente le politiche pubbliche, e questa ispirazione ha prodotto conseguenze assolutamente concrete. Si trattava di impedire che le democrazie occidentali ricadessero negli orrori totalitari – nazismo e fascismo – che avevano scatenato la Seconda guerra mondiale e causato decine di milioni di vittime. Allo stesso modo, bisognava scongiurare tutte le seduzioni ancora esercitate dall’altra variante del totalitarismo, il comunismo che dominava in Russia, nell’Europa dell’Est, in Cina, e che minacciava di estendersi a numerosi paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”. […] Fino all’inizio del XXI secolo, politologi e filosofi non parlavano che di “transizione democratica”. Tutti condividevano, seppure in misura diversa, la convinzione che, prima o poi, le dittature ancora in vita sarebbero crollate e tutti i paesi del mondo avrebbero adottato la formula istituzionale che aveva avuto tanto successo in Occidente: una mescolanza di democrazia parlamentare e libero mercato.

[…]

 

Il trionfo del neoliberalismo

Che cosa non ha funzionato? Come spiegare il fallimento delle speranze nate alla fine della Seconda guerra mondiale? C’è senza dubbio un intreccio di fattori e di ragioni, che ruotano attorno alla realtàfondamentale del nostro tempo: la subordinazione dell’intero pianeta e di tutte le sfere dell’esistenza umana alle esigenze di un capitalismo ormai rentier e speculativo. A sua volta, il trionfo di questo nuovo tipo di capitalismo è dovuto a numerose cause. Ma una tra queste è tanto importante quanto mal percepita e mal compresa: la potenza delle idee (quando sono sostenute da persone in carne e ossa e da mezzi concreti e si impadroniscono delle masse). Si tratta della potenza delle idee neoliberali. Essa è la ragion d’essere di questo Manifesto del convivialismo. Infatti, la potenza dell’ideologia neoliberale ha aperto la strada a questo capitalismo di tipo nuovo, un capitalismo allo stato puro, affrancato da tutti i vincoli morali e politici che ancora lo ostacolavano fino agli anni Ottanta e Novanta. Dunque, è con questa ideologia che bisogna essere in grado di misurarsi.

Perché il convivialismo?


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