Ricercatrice Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Intervista a Veronica Tentori, a cura di Erika Munno

Mentre dalla UE arrivano nuove linee guida per favorire la condivisione di mezzi e risorse, abbiamo chiesto a Veronica Tentori, prima firmataria della proposta di legge sulla Sharing Economy, cosa prevede la proposta italiana.

  1. Da un po’ nel nostro paese si parla di sharing economy ma come si è arrivati all’idea di regolamentarla?

L’esigenza di regolamentare questo fenomeno non è nata solo in Italia, tant’è che in ampi spazi d’Europa si sta ragionando su questo tema e anche l’Unione Europa sta per adottare le linee guida sulla sharing economy (SE), che sono previste per giugno. Quindi non siamo gli unici che si sono posti la questione di regolamentare. Abbiamo iniziato due anni fa a ragionare sulla realtà della sharing economy italiana e, per prima cosa, ci siamo chiesti se fosse necessaria una legge, perché, quando si prova a regolare, c’è sempre il rischio che si crei nuova burocrazia o che si stratifichino le leggi, che in Italia sono già abbastanza numerose.

Tuttavia, in linea con l’opinione diffusa tra gli lampadinaoperatori del settore e tra gli utenti, devo riconoscere la necessità di fare chiarezza perché purtroppo oggi ci sono delle zone di ambiguità a livello normativo o, addirittura, di assenza di regole: questo vuoto va colmato a vantaggio di tutti. Le pratiche di sharing, infatti, per essere favorite hanno bisogno anche di avere dei punti fermi, chiari e trasparenti. Le regole sono quindi necessarie sia per chi vuole intraprendere l’attività sia per chi ne usufruisce. Su questi presupposti abbiamo pensato a una legge che da un lato ne metta in luce le potenzialità e dall’altro garantisca concorrenza leale, trasparenza, tutela del consumatore e chiarezza a livello di fiscalità.

2. La vostra proposta di legge si concentra maggiormente sulla parte “profit” della sharing economy e meno sul mondo dell’economia della condivisione non profit. Perché si è fatta questa scelta?

Bisogna anzitutto fare chiarezza su ciò che abbiamo pensato di regolare: abbiamo ritenuto che non tutto aveva necessità di essere regolato in questo momento. Ci sono, ad esempio, delle piattaforme che fanno mera intermediazione tra professionisti oppure altre i cui beni, sebbene siano messi in condivisione come nel bike o car sharing, non sono di proprietà degli utenti. In questi casi abbiamo valutato che – pur rientrando nel novero della sharing economy, cappello ormai molto ampio – che questi tipi di condivisone potessero rientrare in norme chiare e specifiche che già esistono. Quindi non ci è parso il caso di appesantire ulteriormente la legislazione.

C’è, inoltre, il tema delle piattaforme in cui ci sono utenti che non sono professionisti ma si tratta di soggetti che abbiamo chiamato “utenti-operatori”, che sono cioè sia utenti della piattaforma, sia soggetti che vi operano occasionalmente o per arrotondare il reddito o, ancora, per sfruttare un bene che altrimenti resterebbe inutilizzato e così via. Questa è proprio la fetta di sharing economy che forse rappresenta un valore aggiunto, oltre a essere la forma prevalente delle varie piattaforme, come dimostrano i dati.

In questo contesto, manca la chiarezza sulle regole da rispettare ed è proprio questo l’ambito in cui si dovrà poi intervenire oltre la legge quadro, che vuole dare definizioni e procedure comuni a tutte le realtà menzionate per fare in modo poi di intervenire con più chiarezza attraverso delle norme verticale di settore. Mi riferisco ad esempio alle normative su alloggi, ristorazione ecc., definendo se si tratta di attività professionali o occasionali. In questo senso, la legge può, inoltre, essere un occasione per rivedere le normative di settore, aggiornare e semplificare le normative.

Invece. per quanto riguarda la parte delle sharing economy più “sociale”, cioè quella che sta nascendo anche in collaborazione con molte amministrazione comunali, come dimostrano le nascenti esperienze che vanno dal baratto amministrativo ai quartieri condivisi, non è che non si vogliano prendere in considerazione nella legge perché ritenute non sharing economy. Anzi, c’è anche un articolo della legge che si è voluto inserire per segnalare che ci sono forme di sharing che possono essere ottimizzate e promosse anche dalla pubblica amministrazione per finalità di innovazione sociale. Infatti, nell’articolo dedicato, si fornisce un orientamento agli enti locali, in un’ottica di linee guida. Si tratta di una revisione che può essere arricchita e ampliata sia mediante la consultazione, sia nel dibattuto pubblico. È un tema aperto che può essere implementato ancora.

 

  1. Da più parti è stato sottolineato che la proposta sembra avere due assenti: il lavoro e i lavoratori. Cosa ne pensa?

Il tema dell’inquadramento giuridico dei lavoratori di questo settore è cruciale e delicato ed è al centro di un ampio dibattito tra giuslavoristi, per capire come si possano inquadrare questi nuovi tipi di lavori senza entrare in una distorsione del rapporto di lavoro che possa portare, da un lato, alla vessazione o allo sfruttamento del lavoratore e, dall’altro, a contenziosi per le aziende. Quindi, anche qui, serve chiarezza normativa per ridurre il rischio che si creino queste distorsioni. Abbiamo ritenuto che per il tipo di attività occasionale, in cui l’utente fa un’esperienza temporanea, non sussista un rapporto di lavoro tra il gestore e l’utente. In questo senso, abbiamo previsto che le piattaforme debbano dotarsi di un documento di politica aziendale che, secondo la nostra proposta di legge, andrebbe sottoposto all’Antitrust per poi entrare nel registro nazionale delle piattaforme e nel quale abbiamo inserito alcune condizioni proprio per abbattere rischio di distorsione.

Per esempio, se andiamo a leggere il testo della norma all’art.4, c’è scritto che il gestore non può escludere un operatore senza dei motivi seri ed oggettivi, che i criteri di reputazione devono essere trasparenti o che deve esserci il controllo dell’attività da parte del gestore nei confronti dell’operatore, perché questi sono tutti elementi che qualora non fossero chiariti e specificati possono poi portare a un utilizzo improprio della piattaforma e a una distorsione di questo rapporto. Ma anche questo è sicuramente un tema aperto che noi abbiamo inserito anche per attivare un dibattito su questo tema.

 

  1. La proposta di legge che porta il suo nome a prima firma, è stata al centro di un percorso molto partecipato, prima con la discussione sul testo, poi con la consultazione. Ci può fare un bilancio dell’iniziativa? Dopo la consultazione che succederà? Quali sono le vostre aspettative sul testo durante e dopo la discussione in aula?

Il fatto che noi con questa proposta abbiamo buttato il sasso nello stagno e generato un dibattito su questi temi è già di per sé positivo, anche perché abbiamo notato che tante realtà si sono espresse e tanti stanno iniziando ad interessarsi al fenomeno, capendone l’importanza. Si tratta, infatti, di un processo che non possiamo o dobbiamo arrestare ma, anzi, accompagnare, governare e orientare.

La consultazione ha evidenziato degli aspetti della legge che richiedono maggiore chiarezza, sono, infatti, nati degli spunti che ci stanno spingendo a riflettere su alcune questioni che possono essere migliorate e modificate. È stato un percorso che nel complesso valuto positivo. Infatti, io giudico la consultazione un meccanismo molto utile per tutti: sia per i cittadini sia per gli operatori del settore, che partecipano alla stesura di una legge e capiscono anche la difficoltà che sta dietro all’attività di regolazione, soprattutto dinanzi a un fenomeno nuovo e in evoluzione come questo. Inoltre, è un arricchimento anche per noi, perché chi lavora quotidianamente in questo ambito ci può dare spunti ai quali non penseremmo se non venissimo sollecitati dal basso. Inoltre, alcune realtà stanno attivando dei percorsi di aggregazione per essere più coordinate anche nel portare le proprie posizioni, in un mondo in cui ciascuno si muoveva un po’ singolarmente, adesso, abbiamo visto che si stanno, invece, creando dei luoghi in cui si parla di questi temi in modo aggregato. Io stessa, oltre alla consultazione online, sto cercando di andare di persona a conoscere queste realtà e ascoltarle.

Dopo la consultazione ci sarà comunque l’iter parlamentare ufficiale, a giugno inizieranno le consultazioni formali in commissione – come previsto per la discussione sulle proposte di legge – e lì si entrerà nel campo nelle procedure parlamentari tradizionali per cui tutti i deputati potranno presentare modifiche al teso. Tuttavia, va detto che la proposta di legge è già nata con una volontà trasversale tra le forze politiche e mi auguro che si possa proseguire con questo spirito, cioè applicando un principio di condivisone anche alla proposta di legge.

A cura di Erika Munno
Ricercatrice Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

01/06/2016


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