L’espressione NEET (Not in Education, Employment or Training), utile per analisi statistiche su grandi numeri, se usata ai fini di politiche da compiere, risulta carica di ambiguità: la chiarezza dei termini alla base dell’acronimo, relativo a coloro che non sono nel sistema educativo, nel lavoro o in una formazione professionale, non descrive, evidentemente, una condizione uniforme di difficoltà e di bisogno.

La parola NEET consente di descrivere una situazione,uno status, una realtà, fornendo dei dati. È, per sua natura, avulsa da legami significativi con un contesto, di carattere economico, sociale, etnico o di altro genere: potrebbe, conseguentemente, non cogliere diversità di genere, sensibilità culturali, esperienze familiari, condizioni esistenziali.

Tale dimensione decontestualizzata di un fenomeno va utilizzata, per questo, con piena coscienza che si tratta di uno strumento, forse necessario, ma non sufficiente, per una politica efficace, se non arricchito da altri elementi connotativi.

Riflettendo sull’aspetto “scolarizzazione”, è possibile evidenziare la correlazione positiva tra bassi livelli di istruzione e bassi indici di consumo culturale, di utilizzazione dei servizi, di partecipazione, di relazione. Il diverso possesso del un sapere incide su tutto il percorso di vita delle persone determinando scelte e condizioni esistenziali.  Il valore della conoscenza si configura, quindi, come un “bene in sé”, legato alla realtà quotidiana: la persona di elevata scolarità è in grado più di altri di usufruire di opportunità di formazione continua  e di crescere, con una costante continuità, nel proprio sapere e capacità. La qual cosa appare possibile,per le persone di basso livello di scolarità solo se le strutture educative: sono impegnate nel promuovere la partecipazione di soggetti di vario livello culturale, di diversa provenienza, etnia, religione, lingua; tengono conto delle diverse processualità di apprendimento e dei possibili percorsi di formazione, legati, anche, a variabili di sesso, di tempo, di luogo; diventano, concretamente, e per le ragioni appena esposte, un elemento portante dell’esercizio di un diritto di cittadinanza; operano a supporto di processi di eguagliamento delle opportunità.

Il problema dell’istruzione va quindi posto come uno degli ambiti connotativi della condizione di esclusione possibile dal lavoro, come indicatore possibile condizioni di disagio, come carattere aggravante del fenomeno definito NEET.

Passando alla questione lavoro, si può completare questa breve nota, aggiungendo che la rapidità dei mutamenti in atto accentua per tutti la difficoltà di un inserimento o reinserimento professionale. La richiesta maggiore flessibilità nell’utilizzo delle conoscenze, in una pluralità di sedi applicative, viene sempre più spesso affermata. Una competenza idonea a una comprensione del campo d’azione e degli conseguenze dell’agire stesso indicata come essenziale. Si tratta di cose vere, ma va evitata la tendenza, sempre più diffusa, di attribuire al soggetto interessato la sua personale difficoltà di inserirsi nel lavoro.

Non c’è dubbio che sussista uno stretto rapporto tra qualità dell’istruzione, finalizzata all’acquisizione di un sapere proprio della formazione del cittadino, e di un sapere complementare, proprio della formazione legata al lavoro. Ma il problema dell’occupazione dipende solo in ultima istanza dalla formazione.

Certamente, nel nostro Paese, lo sviluppo della scolarizzazione dopo l’obbligo non si è accompagnato a mutamenti significativi nella composizione sociale degli studenti, mentre l’accesso all’istruzione superiore e la permanenza in tale ambito, da parte dei giovani delle classi subalterne, avviene quando i tassi di scolarizzazione per le categorie immediatamente al di sopra nella struttura di classe raggiungono la quasi saturazione. Non c’è dubbio che il possibile processo perequativo nel passaggio dall’ambito scolastico a quello economico appare contrastato dalla concentrazione degli studenti delle categorie medio alte in tipi di istruzione alle quali sono associate, in genere, migliori opportunità occupazionali.

Ma, appunto per questi motivi, l’espressione NEET va declinata in ragione delle realtà geografiche, delle differenze di genere, delle competenze in essere, del sistema socio economico e delle richieste che è in grado di esprimere.

Solo conoscendo a fondo una pluralità di variabili, descrittive di ambiti e contesti spesso diversi, è possibile intervenire, differenziando le azioni, a favore di soggetti al di fuori di qualunque canale di formazione e di inserimento professionale. Altre vie, basate su provvedimenti che non operano distinzioni, tra la varietà delle domande,  e non tengono conto della specificità di fabbisogni, sono destinate al fallimento.

Saul Meghnagi

03/05/2016


Biografia dell’autore

ImmagineSaul Meghnagi è stato presidente dell’ISF (Istituto Superiore per la Formazione) e dell’IRES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) di Roma. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione del Cedefop (Centro europeo per la formazione professionale, Berlino/Salonicco) e del Comitato direttivo dell’Istituto per l’educazione dell’Unesco (Amburgo). Consulente di diverse istituzioni nazionali ed estere in materia di formazione e lavoro, ha pubblicato, fra l’altro, Il curricolo nell’educazione degli adulti (Torino 1986), Conoscenza e competenza (Torino 1992), Una negoziazione complessa (Roma 2001), Il sapere professionale (Milano 2005), Cittadini del mondo, un po’ preoccupati (Firenze 2011), Il sapere che serve (Roma 20012).


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Leggi il riassunto del Decalogo sull’Huffington Post dal titolo Cari policy maker, ecco a voi il Decalogo della Jobless Society

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