Ricercatrice Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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“Innovazione” e “tradizione” non sono due concetti antitetici. Innovare, infatti – come suggerisce l’etimologia latina della parola nel suo significato letterale: alterare l’ordine delle cose stabilite per fare cose nuove – non vuol dire costruire ex novo, sul nulla, ma ricombinare degli elementi noti per realizzare qualcosa di diverso e inesistente sino a quel momento.

Le innovazioni, quindi, incorporano sempre al loro interno saperi, esperienze e idee già esistenti. Provate ad analizzare i fenomeni  più innovativi e troverete al loro interno qualche elemento di passato. L’economia, in questo senso, è un campo dove si possono attingere diverse casistiche d’interesse.

Prendiamo ad esempio il crowdfunding, cioè la raccolta fondi per finanziare progetti e idee, attraverso piattaforme online. Esistono antenati di questo modello? Certamente. Nel 1884, anno in cui fu inaugurata a New York la Statua della Libertà, l’editore Joseph Pulitzer chiese ai lettori della sua rivista di poter contribuire, attraverso una donazione, alla realizzazione del piedistallo che avrebbe dovuto reggere la statua. La campagna riuscì e grazie allo sforzo collaborativo della comunità sollecitata da Pulitzer la statua venne inaugurata senza problemi. Come si nota da questa vicenda, alcuni elementi del crowdfunding c’erano anche in quella raccolta fondi, in particolare l’idea che attraverso una folla di piccoli donatori si potesse ottenere una grande somma di denaro e l’uso dello strumento piattaforma che in quel caso era un giornale e oggi sono, invece, in rete e con un funzionamento articolato e specifico.

Il nostro crowdfunding è qualcosa di diverso, più evoluto e sicuramente innovativo rispetto alla raccolta di Pulitzer, eppure non si può non notare come ci sia un fil rouge che lega entrambe i fenomeni.

L’innovatore è, dunque, un giano bifronte, ha due facce: con una ha lo sguardo proiettato verso il futuro, con l’altra in direzione del passato, cioè verso la tradizione, raccogliendo dalla memoria le esperienze e le idee di chi lo ha preceduto. Tutto questo, in Italia, assume un significato ancora più profondo per la storia e la memoria di cui è ricca.

Torno ancora agli esempi: nel campo dell’innovazione tecnologica, il primo computer portatile al mondo è stato prodotto dalla ditta Olivetti, sancendo un primato mondiale per l’Italia in un campo che oggi ci vede continuamente in affanno; la sharing economy che ha nella cultura della condivisione e della cooperazione il suo cuore, ha forti legami con la nostra tradizione d’imprese cooperative ma anche con modelli di vita sociale fortemente intrisi di cultura collaborativa, come gli usi civici (Diritti riconosciuti alle comunità su determinati beni sia pubblici che privati, come la raccolta della legna o la facoltà di pascolo). E così di potrebbe continuare ancora per molti altri settori.

Cosa ci dice tutto questo? L’Italia è ricca di risorse, non solo in termini di beni culturali e naturali, ma anche di tradizioni, competenze e conoscenze. Ma queste dotazioni da sole non bastano, lo sviluppo di un paese non vive di rendite, anche se i nostri tesori ci hanno spesso fatto pensare di poterci adagiare su una condizione privilegiata. Quello che manca e che serve è l’innovazione, intesa nel senso di ridare vita a questo patrimonio in chiave nuova e soprattutto moderna, in sintonia con i nuovi bisogni e con le esigenze delle attuali generazioni. Ma come si fa? La risposta è semplice: investendo. L’Italia è timida negli investimenti, che sono la linfa dell’innovazione. Le idee non crescono da sole e anche quando nascono spontaneamente o dal basso, come accade sempre di più in questi anni di mobilitazione collettiva, hanno bisogno di essere alimentate, sia economicamente che culturalmente e in termini di competenze.
Senza passato non c’è futuro, è vero, ma anche senza presente.

Erika Munno
Ricercatrice di Spazio Lavoro, un progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

29/01/2015

 

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