Riflettere sul tema della sostenibilità significa chiedersi se, fino a quando e a quale costo, sia sostenibile una società globale dove il rapporto fra il reddito medio dei venti paesi più ricchi e quello dei venti paesi più poveri è di sessanta a uno, un divario mai registrato in dimensioni così ampie nella storia economica mondiale. Una società dove, nonostante i notevoli progressi compiuti negli anni più recenti dai grandi paesi emergenti, la geografia globale della povertà estrema conta ancora 760 milioni di persone, la metà delle quali si concentra nella regione dell’Africa Sub-Sahariana.
Avvicinando lo sguardo nel tempo e nello spazio, povertà e diseguaglianze sono presenti, e in maniera crescente negli ultimi anni, anche nelle società occidentali, anche nella nostra. Diseguaglianze di redditi e di ricchezza, ma anche di opportunità, in modo particolare per i giovani, per i quali gli spazi sul mercato del lavoro, della partecipazione alla vita economica, sociale e politica si stanno progressivamente restringendo. Ma anche per le donne, che vedono indebolite e rimesse in discussione le parziali conquiste e i progressi ottenuti, non senza fatica, nella storia più recente. Sono in crescita non solo le povertà relative ma anche quelle assolute, che colpiscono in misura maggiore bambini, soggetti deboli e vulnerabili, migranti pregiudicando la possibilità di soddisfare i bisogni di base: dalla nutrizione all’istruzione, dalla salute all’abitazione.
Sono alcuni decenni ormai che sul terreno globale, la ‘rising-tide hyphotesis’, secondo la quale la crescita economica, come l’alta marea, avrebbe sollevato tutte le barche, si è rivelata fallace. E altrettanto disattesa è stata la previsione che i benefici della crescita, presto o tardi, sarebbero ricaduti anche su chi inizialmente era rimasto ai margini dei processi di sviluppo.
Negli anni più recenti, la crisi intervenuta nelle economie occidentali a partire dal 2007-2008, e in molti casi non ancora superata, ha mostrato l’inadeguatezza del pensiero economico dominante e la sua capacità di prevedere e affrontare gli effetti prodotti da tracolli economici e finanziari di questa entità sulla vita delle persone.
È oggi più evidente che mai, la frattura che si è venuta a creare tra l’astrattezza della teoria economica, con la necessaria iper-semplificazione della realtà che tale astrattezza impone, e la complessità e l’interdipendenza del funzionamento dei sistemi economici globali sul piano economico, sociale e ambientale. L’instabilità dei mercati finanziari, la crescita debole o inesistente dei mercati reali, il peggioramento delle condizioni di vita materiali e nella distribuzione del reddito, della ricchezza e delle opportunità, la fragilità e la vulnerabilità dell’ambiente e la pressione sulle risorse naturali rischiano di mettere a dura prova il modello economico capitalistico.
Sono in discussione temi quali l’esistenza e la diffusione di mercati non concorrenziali, imperfetti e incompleti, che determinano allocazioni delle risorse inefficienti oltre che inique; le conseguenze determinate dalla persistente presenza di esternalità negative, in campo ambientale e non solo; la necessità di garantire un eguale accesso a beni pubblici globali, a beni comuni e a beni meritori. Non si tratta di temi marginali da relegare, come avviene oggi, nei capitoli finali (spesso opzionali) dei manuali di economia prevalentemente in uso. È da questi temi che occorre ripartire per ripensare a un nuovo modello di funzionamento del sistema economico più sostenibile nel tempo e nello spazio, in grado di comprendere i problemi del capitalismo moderno e immaginare soluzioni adeguate.
Enrica Chiappero
Università di Pavia