Giornalista e storica

I faccia a faccia tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti dei due maggiori partiti nazionali non sono mai stati delle prove in cui saggiare la solidità dei programmi. Sono piuttosto delle performance, in cui i due rivali dimostrano la loro prontezza nel mettere l’avversario all’angolo e mantenere fermezza nell’esposizione.

Elezioni-Presidenziali-Americane-2016

A prescindere da chi è stato decretato “vincitore” e dei tentativi di fact checking, i tre dibattiti tra il candidato repubblicano Donald Trump e la democratica Hillary Clinton in corsa quest’anno per la Casa Bianca hanno mostrato i due contendenti rinnegarsi l’un l’altro, lanciarsi epiteti denigratori, reiterare le medesime formule argomentative e ricorrere agli scandali che hanno avvicendato la campagna per minare la credibilità dell’avversario come futuro presidente: la tanto contesa “fitness”. Del resto hanno così assecondato gli elettori. Secondo un sondaggio del Pew Research Center dello scorso settembre infatti il maggior fattore di sostegno di ciascun schieramento è il biasimo per il candidato dell’altro partito. È lo stesso meccanismo che probabilmente orienterà il voto della maggior parte dei latino-americani e musulmani, finiti rispettivamente nel mirino di Trump con le accuse di collusione con l’immigrazione illegale e delinquenza e il terrorismo internazionale. Ma chi sono quindi gli elettori convinti? Tratteggiandolo brevemente, il cuore dell’elettorato di Trump è la working class bianca legata ai settori industriali tradizionali, che ha paura dell’immigrazione come fattore di criminalità, pro-life sul tema dell’aborto, favorevole a misure protezionistiche sul piano commerciale e al taglio delle tasse su privati ed imprese per trainare i consumi.

Nel discorso politico di Clinton si rispecchia un elettorato che rispetta il diritto di autodeterminazione della donna nelle decisioni che riguardano il proprio corpo, che crede nell’industria delle rinnovabili e nell’intervento del governo federale per la crescita dei posti di lavoro, che auspica una redistribuzione dei profitti dei magnati e delle banche attraverso il sistema fiscale e un’equità salariale a beneficio degli strati più bassi e che non vede l’immigrazione come una minaccia. A differenza di Trump, Clinton si è inoltre avvicinata al voto afroamericano, tendenzialmente già democratico, accogliendo le istanze delle proteste contro il peso delle discriminazioni razziali nella giustizia criminale e in frequenti atteggiamenti della polizia. A rimanere fuori dai tre dibattiti sono stati i temi controversi dell’assistenza ai veterani, la disoccupazione, i 43 milioni di poveri e le problematiche dell’America rurale. Grande assente nella retorica dei faccia a faccia è stato anche lo sguardo al futuro dei giovani. Un sondaggio Reuters-Ipsos dello scorso agosto ha messo in evidenza come tra gli under 30 il problema principale degli Stati Uniti sia attualmente la disoccupazione e la mancanza di lavoro. In un’economia in ripresa ma polarizzata, che ha stimolato le occupazioni a basso reddito e quelle più remunerative, a scontare lo strascico della Grande Recessione sono soprattutto i giovani diplomati, il cui tasso di impiego è ancora basso rispetto ai parametri pre-crisi. La difficoltà nella ricerca di un lavoro si somma al peso dei debiti contratti per studiare dalla maggior parte dei laureati (nel 2012 erano il 69%).

Clinton ha promesso la possibilità di rinegoziazione dei debiti universitari a tassi vantaggiosi e la gratuità di università e college pubblici (da subito per le famiglie con un reddito inferiore agli 85mila dollari ed entro il 2021 per quelli inferiori ai 125mila). Quest’ultima è una misura che la piattaforma democratica ha mutuato dal programma del contendente di Clinton alle primarie tanto popolare tra i giovani, Bernie Sanders. Istruzione e occupazione saranno quindi probabilmente temi che influenzeranno la scelta di tanti ragazzi indecisi su chi votare e stanchi di una campagna elettorale al vetriolo. Schierarsi con democratici o repubblicani, dare un voto ai terzi partiti o restare a casa l’8 Novembre? Secondo l’esperto di sondaggi Nate Silver sono ancora attorno al 15% gli elettori che non hanno espresso la loro preferenza.

Marta Gara
Giornalista e storica

31/10/2016

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