Intervista a Riccardo Staglianò a cura di Erika Munno
- Come ha avuto l’idea di scrivere “Al posto tuo”? Pensa che una macchina avrebbe potuto fare questo lavoro, al posto suo?
È un’idea che mi è venuta cinque anni fa, durante un servizio in California. Avevo preso un’auto a noleggio con il navigatore. Non solo non mi ero fermato a chiedere le indicazioni a nessuno, ma addirittura i consigli turistici, su dove andare a mangiare o a prendere il caffè, me li dava il navigatore. C’era, in nuce, l’avvertimento che sempre più uomini stavano diventando inutili. Da lì in poi mi sono progressivamente imbattuto in tante storie che raccontavano, in un modo o nell’altro, di questa sostituzione. Ho cominciato ad andare a visitare i luoghi dove l’avvicendamento macchina-umano si realizzava. Ho parlato con parecchi esperti e la conferma definitiva me l’ha data una conversazione con Francesca Rossi, docente di informatica prima a Padova e poi a Harvard. Mi ha raccontato di una sua conversazione, qualche tempo prima, con un altro esperto durante la quale, guardando le professionalità della gente attorno a loro, avevano provato a immaginare quali occupazioni sarebbero state sostituite. A forza di aggiungere casi, sono andati avanti tutta la sera. La domanda giusta quindi non è “se” saranno sostituite, ma “quando“.
Quanto alla domanda – una macchina avrebbe potuto scrivere questo libro? – direi non ancora, sebbene esistano software che rimpiazzano egregiamente i giornalisti nei rapporti trimestrali delle aziende o nelle cronache del baseball.
- Nel suo libro afferma e dimostra che la trasformazione tecnologica è già sotto i nostri occhi, ma spesso ancora non ce ne accorgiamo. Ci può fare qualche esempio di questi fenomeni?
Le macchine senza pilota che licenzieranno 3,5 milioni di addetti ai trasporti negli Stati Uniti. Il Sedasys che fa crollare il costo di un’anestesia da 2000 a 200 dollari. Warren, il software che sostituisce gli analisti junior di Borsa. Google Translate che fa il lavoro bruto dei traduttori. Coursera grazie al quale un singolo professore può tenere un corso online con 160 mila studenti (e che faranno gli altri suoi colleghi, meno star di lui?).
La sostituzione vera e propria si interseca con un altro fenomeno parimenti preoccupante, ovvero la tendenza che gli economisti chiamano the winner takes all: le piattaforme digitali vincenti, come Google e Facebook, dominano i rispettivi settori lasciando ai competitor le briciole. E la ricchezza che generano viene prodotta con l’apporto di sempre meno persone. Quando Instagram è stata acquistata da Zuckerberg per un miliardo di dollari, aveva soltanto tredici dipendenti. Morale: tanta ricchezza (concentrata), pochi lavoratori.
- Lo scenario che lei descrive è per molti aspetti preoccupante se non addirittura apocalittico, soprattutto se non ci si appresta a governare queste trasformazioni con interventi sia pubblici sia privati adeguati. Da giornalista pensa che l’opinione pubblica abbia consapevolezza del fenomeno? Come si comunicano certi temi?
Questo è esattamente il problema. No, l’opinione pubblica italiana non ha alcuna consapevolezza. Viviamo ancora largamente sotto l’incantesimo che porta a identificare la tecnologia digitale con tutto ciò che è bello e desiderabile. Un’attitudine bambinesca che andrebbe sostituita con una finalmente adulta. Internet è un’invenzione fantastica, senza la quale non sarei neppure diventato giornalista. Purtuttavia, uno dei suoi principali effetti collaterali che possiamo valutare a vent’anni dalla nascita è di aver contribuito alla scomparsa della classe media, degradando il valore del lavoro nei modi cui abbiamo già accennato.
D’altronde siamo tutti vittime di questa schizofrenia: siamo contenti dei buoni affari che facciamo su Amazon, ma tendiamo a non capire subito che il nostro vantaggio da consumatori si trasforma nella chiusura di molti negozi della cui scomparsa, da cittadini, ci addoloriamo.
- Come immagina il mondo del futuro e quali pensa siano le azioni che bisognerebbe intraprendere per affrontare tempestivamente i cambiamenti tecnologici?
C’è una vecchia battuta del fisico Niels Bohr che mette in guardia dalla previsioni, tanto più se riguardano il futuro. Qui però basta concentrarsi sul presente. Storicamente la quota di ricchezza prodotta che andava a remunerare il lavoro era di due terzi. Oggi siamo nei dintorni del 60%. Ci sono un paio di responsabili noti (globalizzazione e finanziarizzazione) e uno tendenzialmente ignoto, quello di cui parlo, ovvero l’automazione che sta rimpiazzando sempre più lavoratori rendendoli inutili o comunque peggio pagati. Le soluzioni non spettano al giornalismo ma alla politica. Bisognerebbe cominciare a fare sul serio sulla redistribuzione delle formidabili ricchezze accumulate dalle piattaforme dominanti, facendo pagare loro più tasse di adesso, quando addirittura festeggiamo se Google paga 300 milioni quando ne doveva 900. E poi bisogna pensare sul serio a forme di sussidio per coloro che non riusciranno a trovare un lavoro cancellato dalle macchine. Ci sono tante varietà di reddito minimo. È arrivato il momento di prenderle in considerazione prima che sia troppo tardi.
Intervista a Riccardo Staglianò a cura di Erika Munno, ricercatrice di Futuro del lavoro
13/09/2016
Approfondimenti
Per approfondire le tematiche affrontate da Riccardo Staglianò proponiamo il contributo video dalla trasmissione Presa Diretta, andata in onda su Rai 3 il giorno 05/09/2016:
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