A quarant’anni dal golpe, la memoria dei desaparecidos e la richiesta di verità sono ancora ferite aperte per la democrazia argentina.
Vogliamo proseguire la nostra riflessione sulla memoria e su cosa voglia dire raccontare il passato oggi. In sinergia con la valorizzazione del patrimonio archivistico di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli sull’America Latina e con le attività svolte dalla linea di ricerca sull’Innovazione politica, vogliamo inaugurare una serie di interventi che permettano di seguire le trasformazioni politiche che hanno interessato il Cono Sud nel corso dell’ultimo decennio per interrogarci sulla salute e sulle prospettive delle democrazie latinoamericane. [N.d.T.]
Nella recente storia argentina due date hanno un particolare significato: il 24 marzo 1976 e il 10 dicembre 1983.
Il 24 marzo 1976 è il giorno del golpe, quando una Giunta militare prese il potere per realizzare il Proceso de Reorganización Nacional, di cui si ricorda la sistematica violazione dei diritti umani e le fallimentari riforme economiche.
Il 10 dicembre 1983 segna l’uscita di scena dei militari e il ritorno alla democrazia: nella Giornata Internazionale dei Diritti Umani assunse la presidenza il radicale Alfonsín, vincitore delle elezioni del 30 ottobre con il 52% dei consensi e che – nel tener fede alle promesse elettorali – nominò la Comisión nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep), che offrì con alcuni limiti una prima ricostruzione degli orrori della dittatura nel rapporto Nunca más (1984); ottenne poi dal Congresso l’abrogazione della legge di auto-amnistia dei militari e avviò i procedimenti giudiziari nei confronti dei membri delle tre Giunte susseguitesi nei 7 anni di dittatura che, dall’aprile al dicembre 1985, furono processati e condannati a pene comprese fra l’ergastolo (Videla e Massera) e alcuni anni di reclusione (Viola, Lambruschini e Agosti) oppure vennero assolti (Galtieri, Graffigna, Anaya e Lami Dozo).
Gran parte degli argentini a quell’epoca era convinta che Alfonsín avrebbe proseguito sulla strada della Giustizia e della Verità, ma la prospettiva di più di mille processi ai militari di rango inferiore, oltre a rendere l’idea delle dimensioni della tragedia, alimentò resistenze e tensioni nelle Forze Armate, i cui membri rivendicarono il ruolo di difensori della Patria e dimostrarono di non essere ancora usciti di scena, rivelando invece tutta la fragilità della democrazia, che Alfonsín decise di proteggere con un percorso di riconciliazione nazionale, cioè offrendo risarcimenti ai familiari dei desaparecidos e concedendo l’impunità ai militari (Ley de Punto final, 1986, Ley de Obediencia debida,1987). Venuto meno però il consenso della piazza, Alfonsín si dimise e le elezioni anticipate furono vinte dal peronista Menem, che proseguì nella politica di riconciliazione e consolidò l’impunità col concedere indulti ai militari già condannati, inclusi i membri delle tre Giunte.
A metà degli anni ’90, dunque, nessun militare coinvolto nella dittatura si trovò a dover rispondere alla Giustizia per i crimini commessi, ma di quegli anni restarono 30.000 desaparecidos, di cui 8.960 denunciati, e circa 340 centri clandestini di detenzione, documentati dalla ‘Memoria Istituzionale’ che accolse la ‘Teoria dei due demoni’, per spiegare il terrorismo di Stato come l’inevitabile risposta al terrorismo delle sinistre, suscitando sconcerto nella società che non riconosceva nelle vittime solo terroristi, ma anche gente comune. Nella Plaza de Mayo continuarono le ronde del giovedì delle Madres e delle Abuelas, gli HIJOS iniziarono a organizzare gli escraches/smascheramenti di coloro che erano scivolati indenni fra le maglie della Giustizia e si celebrarono, in patria, los juicios por la verdad, cioè processi senza sentenze di condanna volti a soddisfare il diritto alla Verità dei parenti delle vittime e, all’estero, processi per quei cittadini stranieri vittime della dittatura, conclusisi invece con sentenze di condanna (in Italia nel 2000 e nel 2007, in Spagna nel 2005).
Il percorso di amnesia per la ‘necessaria riconciliazione nazionale’ viene abbandonato solo dal 2003, con la presidenza del peronista Kirchner. Nel discorso d’insediamento ricorda di far parte di una ‘generazione decimata’ (25 maggio 2003), si dichiara ‘figlio’ delle Madres e delle Abuelas (Discorso all’ONU, 25 settembre 2003). Nell’anniversario del golpe del 2004, il primo che celebra come Presidente, dispone la rimozione dal Colegio Militar dei ritratti di Videla e Bignone.
Sul fronte della Giustizia, fra il 2003 e il 2007, Kirchner annulla il decreto che impedisce l’estradizione dei militari per i processi all’estero, ottiene l’annullamento dal Congresso delle leggi d’impunità e dalla Corte Suprema degli indulti, consentendo la riapertura dei processi contro centinaia di militari e di civili sino ad allora impuniti (con la simbolica condanna all’ergastolo di Videla nel dicembre 2010), cui si affiancano, per tutto il kirchnerismo (2003-2015), le iniziative dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti nella ricerca della Verità e nella promozione della Memoria.
Marzia Rosti
Università degli Studi di Milano
24/04/2016
Consigli di lettura
Per approfondire le tematiche affrontate da Marzia Rosti nel suo articolo, proponiamo il catalogo bibliografico sull’America Latina. CLICCA QUI per scaricare il PDF.
Uno sguardo al passato
Di seguito, invece, è possibile consultare i documenti della mostra sul Cile pubblicati da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nel giugno del 2014 [Clicca qui per accedere alla pagina]. Organizzata in un percorso visivo e documentale, la gallery tocca le varie fasi della storia contemporanea cilena: l’elezione di Allende, le politiche del governo di Unidad popular, la destabilizzazione interna, il golpe, la repressione sotto il regime militare fino al referendum del 1988 che segna l’inizio della transizione alla democrazia.
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