Le vicende della guerra greco-turca di novantaquattro anni fa non sono derubricabili come un passato lontano, perché toccano il nodo della definizione di sé e dell’”altro” e il nodo dell’identità europea.
La sfida è guardare all’identità europea e alla costruzione del nostro immaginario come a un problema aperto, che solo fino ad un certo punto può essere impostato in termini geografico-spaziali, chiedendosi dove si pone il limes dell’Europa. Perché forse la questione dell’identità europea dovrebbe essere posta anche in termini storici e relazionali, come un campo aperto di tensioni e dialoghi continuamente in metamorfosi.
Nell’ottobre del 1922 finirono le ostilità tra la Grecia e la Turchia. Ostilità che dal 1919 avevano tenuto impegnate le due parti. In quella guerra si scontrarono due aspirazioni sulle macerie dell’impero ottomano in dissoluzione. Da una parte l’aspirazione greca (“Megali Idea”) all’ingrandimento territoriale oltre il Mar Egeo per annettere alla madrepatria tutte le città e le regioni che, come Smirne e Costantinopoli, avevano storicamente costituito il mondo bizantino e nelle quali erano presenti consistenti comunità greche. Dall’altra parte l’aspirazione del nazionalismo turco, guidato da Kemal, di costruire uno stato turco indipendente in Anatolia con il possesso degli Stretti come porta aperta sull’Europa, lasciandosi alle spalle le vestigia del sultanato e annullando le massicce amputazioni territoriali che erano state stabilite dai vincitori della prima guerra mondiale a spese della Turchia.
Caricata dalle aspirazioni nazionaliste delle due parti e dalla completa sordità nei confronti degli interessi dell’”altro”, la guerra fu caratterizzata dalla brutalità genocidaria con cui furono trattate le popolazioni civili da parte dei due eserciti. La sua eredità più importante risiede probabilmente nella clausola del trattato di Losanna del 1923, che pose anche ufficialmente fine al conflitto, sullo “scambio di popolazione”, vale a dire lo spostamento forzato di circa un milione e mezzo di greci dai territori che restavano sotto la sovranità turca verso la Grecia e quello di circa mezzo milione di turchi e di altre popolazioni di fede musulmana dal territorio greco alla Turchia. Era la prima volta che in epoca contemporanea un trattato internazionale prevedeva, regolava e imponeva un trasferimento così massiccio di popolazioni nel tentativo di disegnare i confini tra due stati nel modo più omogeneo possibile dal punto di vista dell’appartenenza etno-linguistica.
Da allora i confini tra Grecia e Turchia non sono più stati messi in discussione e dalla formulazione della dottrina Truman nel 1947 i due paesi hanno fatto parte dello stesso sistema di alleanze, quello occidentale, nonostante diversi momenti di aperta tensione (come durante l’invasione turca di Cipro nel 1974). Eppure resta ancora problematico disegnare il confine dell’Europa e, soprattutto, stabilire quanto i tentativi di costruzione unitaria dell’Europa coinvolgano o escludano questi due importanti paesi mediterranei.
Se il nostro pensiero corre alla Grecia classica, dei filosofi e delle polis in cui è maturata la demokratia, allora ci pare ovvio integrare nel nostro immaginario la Grecia come parte irrinunciabile dell’Europa e dell’occidente tutto, persino considerandola come la sua culla. Più complessa è la vicenda se, quando parliamo di Grecia, pensiamo all’eredità bizantina e ortodossa. Allora la Grecia è già l’Oriente.
Il nostro sguardo sulla Turchia è ancora più difficile. Nonostante la Turchia sia stata un attore di primo piano della politica europea dal 1453 (anno della conquista Costantinopoli) e nonostante il processo di modernizzazione kemalista e circa 70 anni di inserimento della Turchia nel campo occidentale, questo paese nella percezione comune resta alle soglie dell’Europa. Se si utilizza la prospettiva di chi caratterizza l’Europa sulla base delle proprie radici religiose, la Turchia allora è l’Islam. Se si guarda la questione con gli occhiali dell’illuminismo e del sistema democratico allora la Turchia appare sempre impantanata in una difficile transizione. In ogni caso la Turchia è l’”altro”. Anche se spesso per puri interessi politici le varie potenze europee non hanno disdegnato nel passato e anche nel presente colludere sotto banco con l’”altro” pur di contrastare parenti più prossimi. Nella guerra greco-turca del 1919-1923 l’Italia non disdegnò di favorire Kemal in funzione anti-greca. Durante la guerra d’indipendenza greca del 1821, nonostante parteggiassero apertamente per la causa greca contro i turchi, la Gran Bretagna e la Francia intervennero nel conflitto più per la preoccupazione di una vittoria della Russia sulla Turchia che non per proteggere i greci dal sultano ottomano.
Il problema di definizione di sé e dell’”altro” è negli occhi di chi guarda. Il problema è mettere l’accento sui punti d’incontro anziché su quelli di frizione con un’alterità che viene spesso dipinta come il proprio doppio negativo.
11/10/2016