L’Europa oggi torna a Ventotene. A cercare se stessa. Forse.
È una buona pista, ma è sbagliato pensare che da solo questa sorta di pellegrinaggio alla fonte cui abbeverarsi pensando così di ritrovare lo spirito iniziale, sia sufficiente a dare un futuro.
L’Europa è in crisi. Gli antieuropeisti ed euroscettici l’hanno detto molte volte in questi anni. Sono felici. Dal loro punto di vista, perché non esserlo? La loro, tuttavia non è una vittoria.
Nella storia, infatti, la scommessa sul futuro, ogni volta, non nasce dall’avere un’ideologia che dà le risposte giuste, ma dalla capacità e dalla voglia di provare a dare una forma al proprio tempo, oltre le proprie ideologie di appartenenza.
La premessa di questa volontà e di questa capacità nasce dal sapere che si è sconfitti e che alla durezza della realtà, della propria sconfitta si replica provando a scommettere sul futuro muovendo dai malesseri del presente (non in forza o in virtù di una ricetta già pronta che è sufficiente applicare).
Tornare a Ventotene in forma vincente significa riprendere in mano quella condizione che allora Altiero Spinelli e Ernesto Rossi fecero propria: l’idea che pensare futuro si originava nel momento più buio dell’Europa quando il presente era il momento di massima espansione dell’impero nazista, quando i democratici erano in fuga e vedevano una qualche forma di salvezza solo di là dell’oceano, comunque fuori dal territorio del continente europeo.
Pensare futuro significava scommettere nel presente, partire dalla condizione della propria sconfitta, e coniugarla con la volontà di voler ricominciare. Di pensare cioè che la storia non è fatalità, ma è la capacità di assumere in prima persona il proprio destino, di vivere la propria fragilità, sapendo che ad essa occorre replicare non da soli, o isolandosi, ma coinvolgendo, pensando a un possibile futuro insieme.
Allora nell’inverno tra il 1941 e il 1942 quando l’Europa sembrava già fatta e parlava la lingua del razzismo e dello sterminio, pensare Europa non voleva dire sognare, o confezionare una “ricetta pronto uso”, confortante e salvifica. Al contrario. Voleva dire, sapere di partire contro la realtà, assumere il destino come una possibilità, viverlo come una scommessa e non come una fatalità. Avere una visione, prendere il presente nelle proprie mani, e provare.
David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
22/08/2016
APPROFONDIMENTI
EBOOK: “L’EUROPA CHE ANCORA NON C’È”
Per approfondire l’articolo di David Bidussa, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli propone l’ebook L’Europa che ancora non c’è: una raccolta in italiano e in inglese dei testi di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Luigi Einaudi, che durante la Resistenza promossero l’idea di un’Europa federale e democratica come fuoriuscita definitiva dai totalitarismi.
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Articolo di approfondimento a cura di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
“L’Europa che l’Italia auspica, per la cui attuazione essa deve lottare,non è un’Europa chiusa contro nessuno, è una Europa aperta a tutti”, sono le parole che Luigi Einaudi pronuncia nel luglio 1947 alla Costituente. L’Europa allora era un sogno, un progetto . Quanto quelle parole parlano oggi a noi? Com’è possibile farle ancora parlare a noi?
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A CURA DI FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI.
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L’Europa che c’è e quella che non c’è
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