Il linguaggio dei diritti umani, a partire dal testo della Dichiarazione universale, è in primo luogo una risposta reattiva alla memoria recente dell’orrore e della crudeltà. La Shoah è e resta l’evento paradigmatico, in proposito. Giova ricordare che, alle sue origini, il linguaggio dei diritti umani è intrinsecamente connesso alla memoria del male. Quale che sia l’interpretazione del male assoluto che campeggia nel secolo breve, il secolo dei totalitarismi, delle grandi macchine tecnologiche e delle burocrazie, è in ogni caso una risposta a questo fatto quella che genera il linguaggio della Dichiarazione.
Vi sono due prime implicazioni del riconoscimento della priorità del male.
La prima implicazione riguarda un tratto distintivo della recente tradizione europea. Esso sembra consistere nel fatto che è accaduto all’Europa di generare massacro e la massima barbarie nel ventesimo secolo; e le è accaduto, al tempo stesso, di elaborare i criteri etici per il riconoscimento di barbarie e massacro in quanto barbarie e massacro, e per la loro condanna, punto e basta. Il riconoscimento della priorità del male porta con sé i criteri del giudizio di biasimo e condanna. La tesi sulla priorità del male va quindi definita, in forma estesa, come una tesi sulla priorità del male giudicato come tale.
La seconda implicazione ha a che vedere col retaggio del recente progetto illuministico. Ha ragione Ignatieff quando sottolinea che la Dichiarazione è un tentativo di salvare i resti di tale retaggio dalla barbarie della guerra mondiale appena conclusa. La Dichiarazione è in questo senso figlia dell’Illuminismo europeo, ma è stata scritta quando la fiducia nell’Illuminismo conosceva la sua massima crisi. Isaiah Berlin ha insistito sul fatto che, dopo la Shoah, la memoria dell’orrore, e non la credenza nella ragione, è alle radici di un nucleo di convinzioni e impegni normativi che militano a favore del riconoscimento universalistico di diritti umani. La sola forma di lealtà persistente al recente progetto illuministico che sia difendibile, è in questo senso basata sulla testimonianza della paura, piuttosto che sulle aspettative della speranza.
Diremo, in questa prospettiva, che i diritti umani sorgono originariamente in risposta alla priorità del male, grazie a un’euristica della paura e ai criteri della prudenza. E dovremo aggiungere che l’adesione a una tesi universalistica sui diritti umani dovrebbe mantenere la duplice memoria della necessità dei diritti, dettata dalla prudenza, e della loro persistente fragilità, dettata a sua volta dalla memoria di una classe particolare di circostanze. Tutte quelle circostanze, in cui l’esercizio del potere di esseri umani su esseri umani ha violato, distrutto e calpestato qualsiasi diritto le persone possano avere, per il solo fatto che hanno una vita da vivere o che è accaduto loro di avere quella vita, proprio la loro e distinta da altre, da vivere.
Salvatore Veca
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
09/12/2015