Il pluralismo, è stato scritto con autorevolezza da Norberto Bobbio, è una “concezione che propone come modello una società composta da più gruppi o centri di potere, anche in conflitto fra loro, ai quali è assegnata la funzione di limitare, controllare, contrastare, al limite di eliminare, il centro di potere dominante identificato storicamente con lo Stato. In quanto tale il pluralismo è una delle correnti di pensiero che si sono opposte e continuano ad opporsi alla tendenza verso la concentrazione e l’unificazione del potere, propria della formazione dello Stato moderno” (Norberto Bobbio, Pluralismo, in Dizionario di politica, dir. Da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, UTET, Torino 1983, p. 815). È un profilo che chiama in causa molti fattori. Uno fra molti è il destino o il profilo della libertà nei processi di liberazione, e la ridefinizione delle regole di partecipazione nelle società politiche “liberate”.
Tra “essere liberati” e “essere liberi” corre una grande differenza. Quella differenza consiste nell’adozione di una visione pluralistica della società, il che vuol dire della possibilità di essere “contro” senza subire oppressione o limiti da chi è maggioranza. Come si ridisegna il rapporto tra culture, agenzie politiche, comunità, gruppi di interesse nelle società politiche nazionali che iniziano a prendere forma con la fine dell’oppressione? Quanto è forte per loro la dimensione comunitaria? Quali sono i margini di autonomia, di libertà che spettano al singolo individuo?
Non sono domande localizzate: riguardano le società politiche dell’Occidente, in uscita dalle dittature (in anni recenti tutte le realtà politiche dell’ex blocco sovietico) e tutte le società ex coloniali. E non sono domande recenti. È una questione su cui negli anni ’50 intervengono sia Hannah Arendt (i primi appunti che poi conducono al suo On Revolution, pubblicato nel 1963, risalgono al 1957), sia Isaiah Berlin che avvia la sua riflessione nello stesso anno, dandone una prima versione nella lezione inaugurale che tiene a Oxford nell’ottobre 1958. I temi fondamentali sono quelli che un anno dopo Berlin propone nel saggio Due concetti di libertà, considerato, giustamente, un classico della filosofia del Novecento, ma anche un testo fondamentale nella riflessione di Berlin.
La riflessione che anima quelle pagine, infatti, è essenziale per aprire la partita in forma critica sull’eredità dell’illuminismo e sul senso della sfida rappresentata dai romantici. Tra libertà positiva e libertà negativa. Se la prima costituiva il centro di tutte le teorie emancipative della politica – dal socialismo al comunismo – la libertà negativa costituiva il centro di un credo politico propriamente liberale: lasciare in pace i singoli perché facessero ciò che volevano, a patto che le loro azioni non interferissero con la libertà altrui. Dietro a questa distinzione, un’altra faceva capolino: quella della possibilità che non ci sia una sola modalità di rispondere alle domande di verità, di giustizia, di bene, bensì – sulla scorta della riscoperta di Machiavelli, di Vico e infine di Herder – ci siano diverse verità che si confrontano e il problema è che ciascuno consideri la propria l’unica possibile, un valore esclusivo “superiore”.
È un’immagine a cui Berlin è rimasto fedele fino alla fine, e su cui, invita a riflettere nel novembre 1994, nel discorso pronunciato all’Università di Toronto nel novembre 1994, laddove conclude:
“…Dobbiamo pesare e misurare, accordarci, fare compromessi, e prevenire l’annientamento di una forma di vita da parte delle rivali. So fin troppo bene che questa non è la bandiera sotto la quale giovani uomini e donne idealisti e entusiasti desidererebbero marciare – sembra troppo sciatta, ragionevole, troppo borghese, non impegna le emozioni generose. Ma credetemi, non si può avere tutto quello che si vuole – non solo in pratica, ma anche in teoria. Il rifiuto di ciò, la ricerca di una singola verità, l’imposizione di un ideale globale perché è l’unico e il solo vero per l’umanità, porta inevitabilmente alla coercizione. E quindi alla distruzione, allo spargimento di sangue – le uova sono rotte, ma l’omelette non è in vista, ci sono solo un numero infinito di uova, vite umane, pronte per essere rotte. E alla fine gli idealisti passionali dimenticano l’omelette, e vanno solo avanti a rompere le uova.”
Il tema fino alla fine è la costante tensione tra un ricerca di verità, ma anche la consapevolezza della sua imperfezione. È una lezione che è bene tenere presente davanti a noi. Ancora. Specie ora, nei giorni del dolore, e della rabbia.
David Bidussa
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
18/11/2015
Approfondimenti
Giovedì 19 novembre alle 18.00 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ospita la presentazione del libro di Andrea Carandini Paesaggio di Idee. Tre anni con Isaiah Berlin (ed. Rubbettino, 2015).
L’incontro vedrà la partecipazione del filosofo Salvatore Veca, presidente onorario di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che discuterà con l’autore della tradizione culturale e filosofica europea del ’700 e dell’ ’800 per riscoprire idee di pace e tolleranza, utili per uscire dalla crisi in cui l’Europa intera sembra trovarsi.
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