Di seguito proponiamo un estratto dal libro Il mondo in fiamme Contro il capitalismo per salvare il clima di Naomi Klein Giangiacomo Feltrinelli Editore.

Si ringrazia l’editore  per la gentile concessione.

 


Questo rapporto dell’IPCC s’è dimostrato un motivatore potente. Tuttavia c’è un fattore forse ancor più importante, echeggiato nel sottotitolo di questo libro: le richieste che arrivano da più parti degli Stati Uniti e del mondo intero affinché i governi reagiscano alla crisi climatica con un ambizioso Green New Deal, un New Deal verde. È un’idea molto semplice: durante il processo di trasformazione dell’infrastruttura delle nostre società alla velocità e nelle dimensioni invocate dagli scienziati, l’umanità ha la possibilità che capita una sola volta al secolo di sanare un sistema economico che sta voltando le spalle su più fronti alla maggioranza degli abitanti del nostro pianeta. Perché i fattori che stanno distruggendo il nostro pianeta stanno anche distruggendo la qualità della vita della gente in tante altre maniere, dalla stagnazione degli stipendi all’aumento delle disuguaglianze ai servizi in disarmo fino alla distruzione di qualsiasi coesione sociale. Affrontare questi fattori sottostanti ci dà l’occasione di risolvere in un colpo solo parecchie crisi intrecciate.

Possiamo creare centinaia di milioni di ottimi posti di lavoro in tutto il mondo, investire nelle comunità e nelle nazioni più sistematicamente emarginate, garantire sanità e assistenza all’infanzia pubbliche, e tanto altro. L’esito di queste trasformazioni sarebbero sistemi economici pensati per proteggere e rigenerare i meccanismi di sopravvivenza del pianeta e rispettare e sostentare la gente che da essi dipende. Permetterà, inoltre, di combattere per qualcosa di più impalpabile ma ugualmente importante: quando ci troveremo sempre di più ermeticamente compartimentati all’interno di bolle informative, privi di assunti condivisi su ciò di cui ci possiamo fidare e su ciò che è reale, ecco allora che il Green New Deal potrà instillare in noi un senso più alto di collettività. Degli obiettivi concreti per i quali stiamo tutti insieme lavorando.

 

Nella portata se non nei dettagli, la proposta del Green New Deal si ispira al primo New Deal, quello di Franklin Delano Roosevelt, che reagì alla miseria e allo sfacelo della Grande depressione con uno stuolo di misure e di investi­menti pubblici, dall’introduzione della previdenza sociale e delle leggi sul salario minimo allo spacchettamento delle banche, dall’elettrificazione delle campagne americane alla costruzione di una miriade di alloggi a basso costo nel­le città fino all’impianto di oltre due miliardi di alberi e al lancio dei programmi di protezione del suolo nelle regioni devastate della Dust Bowl.

I vari piani che sono stati proposti per avviare una trasformazione in stile Green New Deal immaginano un futuro in cui è stato scelto il difficile compito della transizione, compreso il sacrificio del consumo esagerato. In cambio, però, migliorerà la qualità della vita per i lavoratori in tantissimi modi, garantendo più tempo per lo svago e per le arti, trasporti e alloggi davvero accessibili anche in senso economico, l’eliminazione degli enormi gap di ricchezza tra razze e generi, e una vita di città che non sia una battaglia incessante contro traffico, rumore e inquinamento.

Molto prima del rapporto dell’rpcc sul grado e mezzo in più, il movimento climatico si è concentrato prevalente­mente sul periglioso futuro che ci si prospetta nel caso i politici non agiscano. Abbiamo divulgato e condiviso l’ultimissima ricerca da brividi. Abbiamo detto “no” ai nuovi oleodotti, alle miniere di carbone e alle estrazioni nei giacimenti di gas naturale, “no” alle università, alle amministrazioni locali e ai sindacati che investono i soldi delle pensioni e delle donazioni nelle imprese che stanno dietro questi progetti, “no” ai politici che hanqo negato il cambia­mento climatico e “no” ai politici che hanno detto tutte le cose giuste e fatto quelle sbagliate. È stato un compito cruciale e lo rimane. Purtroppo, mentre lanciavamo l’allarme, solo una relativamente ridotta ala del movimento si è inve­ce concentrata sul genere di economia e società che volevamo.

Però è stato questo il fattore decisivo dell’irruzione del Green New Deal nel dibattito pubblico nel novembre 2018. Indossando magliette con la scritta “abbiamo il diritto a un buon posto di lavoro e a un futuro vivibile”, centinaia di giovani militanti del Sunrise Movement hanno scandito slogan per il Green New Deal mentre occupavano i corridoi del Congresso poco dopo le elezioni del 2018.
Si è udito finalmente un grande e sonoro “sì” accanto ai tanti “no” del movimento, il racconto di come potrebbe essere il mondo dopo che avremo scelto la trasformazione profonda, e un piano su come arrivarci.

L’approccio “dalla base” del Green New Deal alla crisi climatica non è nuovo di per sé. Questo genere di “giustizia climatica” (nel senso che si tratta di una strategia diversa dalla più generica “azione climatica”) è stato tentato a livello locale per tanti anni, a partire dall’America Latina e dai movimenti statunitensi per la giustizia ambientale. E il concetto di Green New Deal è entrato nelle piattaforme di alcuni piccoli partiti verdi di tutto il mondo.

Il mio libro del 2014, Una rivoluzione ci salverà, esaminava in maniera approfondita questo tipo di impostazione olistica. Il precedente storico che usai all’epoca mi fu ispirato da una negoziatrice climatica boliviana, Angélica Navarro Llanos, che ha fatto un intervento feroce durante un summit climatico delle Nazioni Unite del 2009. “Ci serve una mobilitazione massiccia più grande di tutte le altre nella storia. Ci serve un Piano Marshall per la Terra,” affermò, memore di come gli Stati Uniti, spaventati dall’emergente Unione Sovietica, contribuirono a ricostruire grandi parti d’Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

“Questo piano deve mobilitare finanziamenti e trasferimenti delle tecnologie in dimensioni mai viste prima. Deve portare la tecnologia sul campo in ogni paese per garantire che ridurremo le emissioni mentre miglioriamo la qualità della vita della gente. Ci resta solo un decennio.”

Abbiamo invece sprecato un decennio intero accogliendo questa richiesta a forza di negazionismo e rattoppi, e di conseguenza non riavremo mai più le meraviglie che abbiamo perso o le vite e i mezzi di sostentamento distrutti a causa di questo ritardo. Navarro Llanos e la popolazione del suo paese hanno visto arretrare a una velocità allarmante i ghiacciai che forniscono acqua potabile all’area metropolitana di La Paz (2,3 milioni di persone). Nel 2017, i bacini idrici erano talmente bassi che è stato imposto il razionamento dell’acqua per la prima volta. nella capitale, e in tutto il paese è stato dichiarato lo stato d’emergenza.

Ma questo decennio perduto non rende meno pertinente la profetica invocazione di Navarro Llanos, anzi, è proprio il contrario dato che, come ha chiarito il rapporto IPCC, centinaia di milioni di vite dipendono da ogni mezzo grado di riscaldamento che consentiamo oppure evitiamo.

 

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