Il recente veto posto dai governi ungherese e polacco al bilancio Ue per il periodo 2021-2027 col successivo appoggio della Slovenia, è stato ampiamente criticato dai sindaci di Budapest e Varsavia. Esponenti di forze politiche opposte a quelle dei governi di destra al potere nei due paesi, Gergely Karácsony e Rafał Trzaskowski hanno condannato le prese di posizione dei loro primi ministri, Orbán e Morawiecki rispettivamente, il cui veto rappresenta il rifiuto del principio di condizionalità legato all’erogazione dei fondi. I due premier non accettano il vincolo del rispetto dello Stato di diritto che considerano ricattatorio: un sopruso, a parere di Orbán, che non riconosce all’Ue l’autorità di stabilire se in un paese membro venga o meno rispettato lo Stato di diritto, uno strumento propagandistico creato arbitrariamente, secondo Morawiecki, per colpire la Polonia.
Come precisato, i sindaci delle due capitali interessate si sono espressi criticamente nei confronti dei loro governi di cui non condividono l’iniziativa politica. Essi danno voce agli ungheresi e ai polacchi che auspicano un netto cambiamento nei loro paesi, una svolta rispetto agli anni bui del nazionalismo e della progressiva erosione degli spazi di libertà.
Va ricordato che Karácsony e Trzaskowski hanno già avuto modo di chiarire il loro punto di vista in termini di democrazia e rapporti con l’Ue: l’hanno fatto nel dicembre dell’anno scorso con i primi cittadini di Praga e Bratislava, Zdeněk Hřib e Matúš Vallo, rispettivamente. I quattro si sono incontrati a Budapest, per iniziativa del loro omologo ungherese, al fine di siglare un accordo noto come “Patto delle Città Libere”. Un’intesa europeista in controtendenza rispetto alle posizioni espresse dai leader nazionalisti del Gruppo di Visegrád (V4), avente al centro un’agenda pro-Ue relativa a diversi campi quali l’ambiente, l’occupazione, l’economia, le relazioni con l’Unione europea e l’utilizzo dei fondi Ue a partire dalle città in questione.
Uno degli intenti del patto è quello di far sì che una parte dei finanziamenti destinati ai paesi del V4 vada direttamente alle municipalità. Tale intento viene motivato dai più critici sottolineando la necessità di evitare che queste somme vengano gestite direttamente dai governi senza alcun criterio di trasparenza. Più volte, infatti, diversi osservatori hanno sollevato la questione dei meccanismi centralizzati e corrotti situati alla base dell’amministrazione dei fondi Ue al riguardo di diversi paesi dell’Europa centro-orientale, compresi quelli del V4.
Il Patto delle Città Libere è una “boccata d’aria fresca” per quanti, nelle quattro realtà interessate, non si collocano nell’orizzonte politico descritto dai governi più nazionalisti dell’area, e manifestano per la libertà di stampa, contro le politiche di chiusura e di criminalizzazione dei flussi migratori, contro le disposizioni restrittive invocate da destre clerico-nazionaliste in materia di interruzione di gravidanza. Karácsony sottolinea l’importanza dei valori legati alla solidarietà e vuole fare di Budapest una “testa di ponte verso l’Europa”.
La firma apposta nella capitale ungherese poco meno di un anno fa ha anche la funzione di migliorare l’immagine del V4 nell’Ue ma, a detta di diversi esperti, potrebbe esacerbare le divisioni urbano-rurali nei quattro paesi con possibili contraccolpi ai danni delle forze d’opposizione, in fase elettorale. È comunque un segno, un messaggio per far capire che c’è una Visegrád che guarda all’Europa e che opera nel solco del progressismo politico, del dialogo e dell’apertura alla differenza.
Il veto che blocca il bilancio di 1.800 miliardi di euro comprendente i 750 miliardi di Recovery Fund è quindi oggetto di netta disapprovazione da parte delle opposizioni politiche e sociali dei due paesi. Un sondaggio di opinione, pubblicato di recente dal Parlamento europeo, mostra che il 72% degli ungheresi e dei polacchi interpellati sarebbe a favore delle condizionalità.
La notizia del veto, apparso peraltro sempre più scontato alla vigilia del vertice europeo di metà novembre, ha dato luogo a un proliferare in rete di reazioni critiche e amareggiate di ungheresi e polacchi in profondo disaccordo con i loro governi. Costernazione, anche vergogna è stata espressa in diversi commenti di provenienza magiara comparsi sui social. Negli ambienti progressisti delle società civili di entrambi i paesi si ragiona sull’ulteriore danno di immagine, oltre che economico, provocato dalla scelta dei rispettivi sistemi al potere. Ungheria e Polonia sono sotto la minaccia dell’Articolo 7 per politiche considerate lesive dello Stato di diritto.
Gli oppositori di Orbán e di Morawiecki ritengono giusto sanzionare l’antieuropeismo dei loro premier ma temono per le ripercussioni materiali che tali provvedimenti potrebbero avere sulle popolazioni interessate. Nel frattempo, in Ungheria, chi fa controinformazione precisa all’opinione pubblica che le misure prese dall’Ue, a fronte di scelte governative contrarie agli standard democratici auspicati da Bruxelles, non sono dettate dalla volontà di punire un intero paese, come invece dicono gli orbaniani, ma di sanzionare ogni forma di sopruso e di involuzione antidemocratica qualunque sia la sua provenienza.
Così, i leader dei principali partiti dell’opposizione ungherese hanno firmato il testo di una petizione che circola in rete e si rivolge alle istituzioni Ue e ai paesi membri con un messaggio chiaro: il governo Orbán non è rappresentativo della totalità degli ungheresi. Tra i firmatari anche Jobbik, da tempo ostile alle forze governative. Nato come partito di estrema destra, è impegnato in questi anni a farsi percepire come forza politica conservatrice e moderata. In molti, però, fanno fatica a dimenticare l’ostilità a ebrei e Rom dichiarata a lungo da tale soggetto.
Il documento chiede a governi e istituzioni Ue di impedire a Orbán la messa in esecuzione di strumenti atti al superamento della crisi sanitaria, sociale ed economica dovuta al Covid-19, e agli ungheresi di compattarsi intorno a tale appello. Una sfida per una società da tempo profondamente divisa.