Raramente si sentono esponenti politici parlare di tessuto produttivo e politiche industriali, forse perché appaiono come temi lontani o poco concreti, e sicuramente poco appetibili per l’elettorato. Altri problemi, come il basso tasso di laureati nel nostro Paese o la cosiddetta “fuga dei cervelli”, potrebbero a prima vista apparire più urgenti. Eppure, andando oltre le apparenze, i dati comunicano un paradosso: in Italia esistono allo stesso tempo un problema di sotto-qualifica e un problema di sovra-qualifica della forza lavoro, come raccontato da Francesco Galletti e Francesco Gualdi nello studio di Action Institute intitolato “Skills Mismatch in Italia. Analisi e scelte di policy in uno scenario in rapida evoluzione”. E mentre la generale e diffusa carenza di laureati non giunge come una novità, è interessante notare che il già basso numero di laureati in discipline scientifico-ingegneristiche appare comunque eccessivo per la nostra economia. Come possiamo spiegarci questa anomalia? Un’ipotesi accreditata è che la risposta vada cercata nelle caratteristiche strutturali del nostro sistema produttivo, caratterizzato da imprese piccole, in media poco produttive e innovative, nonché spesso specializzate in settori tradizionali e a basso valore aggiunto. Ecco quindi che emerge l’urgenza e la rilevanza di riportare al centro del dialogo pubblico del nostro Paese argomenti fondamentali come le politiche industriali e per l’innovazione
Per molti anni la classe dirigente italiana si è crogiolata del successo dei nostri distretti industriali, popolati da piccole ma dinamiche imprese ad alto tasso di internazionalizzazione. In un momento di crisi del Fordismo e dell’industria di massa, la via italiana al capitalismo sembrava potesse costituire un modello di sviluppo alternativo e di successo. Tuttavia, questo immobilismo non ha pagato, come ricostruito da Emanuele Felice, Alessandro Nuvolari e Michelangelo Vasta in un recente articolo su l’Industria. Anzi, stanti gli ultimi decenni di stagnazione e crisi economica, viene da chiedersi: non è che un’eccessiva enfasi sulla retorica del “piccolo è bello” è risultata dannosa, facendo sì che per troppo tempo l’Italia non investisse nello sviluppo sistemico della ricerca scientifica e tecnologica? Una delle ipotesi è che la retorica del “piccolo è bello” ha contribuito a creare una falsa percezione della realtà secondo cui i processi di specializzazione che si sviluppavano nei distretti industriali fossero sufficienti a garantire il dinamismo innovativo del nostro Paese, bloccando sul nascere politiche industriali più ambiziose ed adeguate.
Come possiamo imparare da questi errori, e quali politiche pubbliche potrebbero permetterci di recuperare terreno? Queste domande sono al centro del primo Workshop Alessandro Pansa, dal titolo “Piccolo è ancora bello? Piccole e medie imprese e la sfida di Industria 4.0”. L’obiettivo del workshop è di portare al centro delle riflessioni la sfida che le recenti novità tecnologiche pongono al tessuto produttivo italiano, raccogliendo stimoli e idee da parte di chi si è occupato di questi temi, ma anche confrontandosi con imprenditori e uomini di azienda che questi temi li vivono in prima persona a partire dall’analisi del Piano Nazionale Industria 4.0, recente e ambizioso disegno di politica industriale pensato per permettere alle imprese italiane di investire in nuovi macchinari e competenze tecnologiche.
Quali strumenti di politica pubblica potrebbero aiutare le piccole e medie imprese ad esprimere il loro potenziale di crescita? Solo mettendo in campo le adeguate politiche pubbliche per rilanciare la crescita della produttività e dell’impiego nel nostro Paese si potrà invertire il declino economico cui stiamo assistendo. La necessità di rilanciare crescita ed investimenti è quantomai urgente, se vogliamo evitare che l’anno appena iniziato inauguri l’ennesimo decennio perduto per l’economia italiana.