Articolo del Laboratorio Dire la verità – riflessione pubblica su libertà di parola, libertà e potere
Gli adepti della setta dei testimoni di Geova, parlando del loro culto religioso, la chiamano “la Verità”.
«Fratello, da quanti anni sei nella Verità?», «da quando ho conosciuto la Verità la mia vita è cambiata», «purtroppo mio figlio è uscito dalla Verità», sono alcune delle tante frasi standard. La Verità, in questo specifico caso, è un insieme di credenze che tendono a ribaltare numerose verità storiche, scientifiche ed etiche che daremmo per assodate nel 2019: dio ha creato il mondo in sette giorni; Adamo ed Eva sono realmente esistiti; 144.000 persone vissute durante la storia dell’uomo, cominciata seimila anni fa, regneranno la terra dal cielo insieme al figlio di dio, il cristo; il quale non morì crocefisso ma su un palo di tortura; l’omosessualità e il sesso fuori dal matrimonio sono peccati che fanno soffrire dio stesso; anche le trasfusioni di sangue sono uno dei mille atti di disobbedienza alle leggi di dio; presto arriverà il giudizio universale e solo gli adepti davvero fedeli verranno salvati dalla furia distruttrice del dio misericordioso.
Nel caso di questa setta, la parola “verità” ha un significato doppio, insieme uguale e diverso da quello comunemente inteso. Ricreato come rafforzativo della propria fede, ne è diventato il nome stesso. Se vivi nella Verità, smetti di chiederti cosa sia verità, perché ne sei immerso, o almeno credi. Conosco la materia perché dalla mia infanzia ho vissuto in prima persona la Verità e la scissione razionale, psichica, emotiva, che ha comportato. E così dopo, però, la sforzo e la fatica, crescendo, di ridiscutere tutto: la verità, senza V maiuscola, comporta un impegno di ricerca personale che può essere finanche doloroso.
Da qualche anno a questa parte i professionisti dell’informazione siedono sul banco degli imputati insieme ad altre categorie sfuggenti e onnicomprensive (“politici”, “burocrati europei”, “banchieri”). L’accusa generalizzata è quella di mentire, o di raccontare verità di comodo, di essere strumenti del potere, pedine o killer mediatici al soldo del proprio editore, detentori di una cattiva coscienza. Una delle domande che oggi un giornalista si sente rivolgere più spesso da conoscenti, amici, parenti è spiazzante nella sua semplicità: ma voi scrivete davvero la verità? Siti, blog e pagine social “controcorrente” che stanno facendo la fortuna della propaganda soprattutto di destra, promettono di “svelarvi la verità”, di raccontare ciò che i media mainstream “non vi dicono”, rimuovendo ogni complessità.
Allo stesso tempo, grazie alla diffusione di internet prima e dei social network poi, la mole di informazioni che ci viene riversata addosso è enorme. Il cittadino-consumatore è quindi un soggetto-oggetto continuamente sollecitato e allo stesso tempo targettizzato; e proprio mentre avrebbe più bisogno di una intermediazione professionale che in sua vece si assumesse la responsabilità, il rischio e il costo di ricercare una verità possibile, è abbandonato a se stesso in balia delle profilazioni online che gli cuciono addosso su misura news e pubblicità. Lo sforzo per la verità del singolo spesso si esaurisce così, con un oscuro algoritmo che finisce per confezionare l’abito che sta più comodo all’utente.
La prima risposta alla semplice domanda al giornalista oggi, è in realtà un’altra domanda, anzi due: tecnicamente parlando, e non filosoficamente, cos’è la verità? Esiste la verità? Uno dei più importanti reporter italiani del ‘900, Bernardo Valli, ha scritto che il cronista non maneggia qualcosa di assoluto, bensì la “verità del momento”. «Ero dunque partigiano, ma credo onesto. È possibile? Non avevo dubbi su chi avesse ragione, ma elencavo o cercavo di elencare le notizie con scrupolo. Insomma, ritengo di essere stato parziale e corretto. Perché il giornalismo è come la vita. Si può credere in qualche cosa e avere l’onestà di rispettare le verità altrui. Anzi, questa è la vera onestà. Quindi l’autentica obiettività (…) Ma il problema è quello della verità del momento. Anche se spesso inconscia, l’ambiguità è una fedele compagna della vita. Il giornalista se la porta dietro con la macchina da scrivere. È un dialogo continuo con essa, imposto dalla inevitabile semplificazione di fatti complicati, e dalla fretta. Soltanto la stupidità e l’ignoranza possono apparentemente uccidere quel nostro angelo custode».
Tornando al presente, la funzione stessa del giornalismo è messa in discussione, considerato incapace quando non disonesto nella sua ricerca di verità. Ma probabilmente non è un caso se la democrazia nel suo complesso sta vivendo lo stesso declino, anch’essa descritta come troppo macchinosa, ambigua, faticosa, contraddittoria. Le soluzioni prospettate sono quelle delle verità calate dall’alto, che per propria natura non ammettono la messa in discussione, cioè una propaganda molto simile a quella religiosa dominata dal concetto di fede («certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono», secondo la definizione di San Paolo); sul piano politico, invece, il ricorso all’uomo forte e quindi a processi autoritari. In entrambi casi viene meno la responsabilità e l’impegno personale che comportano l’esercizio della funzione critica, benzina imprenscindibile per la ricerca di verità.
Si dice spesso che il buon giornalista è mosso soprattutto dalla curiosità, ed è vero. Ma aggiungerei un altro fattore ancora: il dubbio. Il non farsi bastare mai la versione ufficiale, la verità preconfezionate. Ci si può fare semplice tramite o portavoce magari ignari, inconsapevoli uffici stampa, di politici, sindacati, magistrati, forze di polizia eccetera; oppure si può considerare il giornalismo un contropotere con il dovere primario di ricercare autonomamente una verità. Sarebbe colpevolmente ingenuo immaginare un solo, unico e puro modello di giornalismo. Ma è come per la democrazia: pur con tutte le imperfezioni, non è stato ancora inventato un sistema migliore dove poter liberamente (o quasi) coltivare ricerche e dissenso. Nella mia piccola esperienza, di vita e professionale, ho capito che ogni verità realizzata è un pezzo di nuova libertà conquistata.