di Simone Fana

Dopo decenni caratterizzati da una generale stabilità dei prezzi, l’incubo dell’inflazione è tornato a scuotere le economie di mezzo mondo, generando interrogativi sulla durata del fenomeno e sulle risposte necessarie a contrastarlo.

La memoria torna ai primi anni Settanta del secolo scorso. La spirale inflazionistica alimentata dall’impennata del prezzo del petrolio, che seguì alla guerra in Kippur, proietta le sue tracce oscure ai nostri giorni. Ma il paragone storico, pur carico di rimandi simbolici, non appare in grado di spiegare compiutamente il presente.

Le tensioni inflazionistiche odierne precedono il conflitto bellico, tra Russia e Ucraina, e sono collegate alle ripercussioni della crisi sanitaria sulle catene globali di produzione e distribuzione. Ma la differenza sostanziale tra ieri e oggi è il diverso peso dei rapporti di forza tra capitale e lavoro nella corsa al rialzo dei prezzi.

In Italia, le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici vengono da tre decenni di sconfitte laceranti, da una graduale perdita di efficacia nel determinare a proprio vantaggio il conflitto distributivo salari/profitti e da una crescente crisi di fiducia, che si avverte in particolare nelle generazioni più giovani.  Nulla a che vedere con il protagonismo degli anni Settanta che – sulla scorta dei successi del biennio 68/69 –  poneva il sindacato in una posizione centrale nelle relazioni di potere con la controparte e con i governi. Se negli anni Settanta del Novecento la spirale prezzi/salari era anche alimentata da meccanismi di indicizzazione delle retribuzioni al costo della vita (con il meccanismo automatico di aggiustamento dei salari al costo della vita, noto come scala mobile) oggi si avverte una generale difficoltà delle organizzazioni sindacali nel difendere il potere d’acquisto reale dei lavoratori.

Nonostante un tasso di inflazione medio che non ha superato l’1 %, con anni di inflazione negativa, il decennio alle spalle (2010/2020) è stato contraddistinto da una stagnazione dei salari, che nel periodo più recente (2016/2021) ha visto le retribuzioni crescere meno dell’indice dei prezzi. A pesare sulla dinamica delle retribuzioni è la dilatazione dei tempi dei rinnovi contrattuali. Alla fine del 2021 l’Istat segnalava che più del 50% dei contratti collettivi nazionali erano ancora scaduti e che lo stesso periodo di vacanza contrattuale (cioè il periodo che intercorre tra la scadenza di un contratto e il suo rinnovo) è aumentato solo nell’ultimo anno da 20 a 30 mesi. A questo fattore che ha esercitato un ruolo rilevante nel determinare l’erosione del potere d’acquisto dei salari bisogna aggiungere l’impennata dei contratti a termine e la riduzione delle ore lavorate.

Se questi elementi contribuiscono a spiegare la stagnazione dei salari e la crescita del lavoro povero, per comprendere in che modo le tensioni inflazionistiche degli ultimi mesi aggraveranno la questione salariale occorre aggiungere un ulteriore tassello. Il riferimento è al modello contrattuale che plasma le relazioni industriali e regola la distribuzione primaria del reddito.

A partire dal 2009, il sistema di contrattazione è stato rivisto con l’introduzione dell’indice IPCA (Indice dei prezzi al Consumo armonizzato) depurato dai beni energetici importati come nuova unità di misura utilizzata in sede di rinnovi contrattuali. L’introduzione di questo parametro di calcolo dell’inflazione nasceva dall’idea di contenere la rincorsa dei salari sui prezzi, bloccando gli aumenti salariali in occasione di un’impennata dei prezzi derivanti da shock esterni (aumento del prezzo dei beni energetici). È evidente che questo modello contrattuale è messo a dura prova dagli eventi recenti. L’incremento vertiginoso dei prezzi delle materie prime, e in particolare del gas e del petrolio, e gli effetti speculativi a esso associati generano una spirale inflazionistica che non viene riconosciuta e assorbita nei rinnovi contrattuali.

L’Istat stima che nel 2021, a fronte di un tasso di inflazione media dell’1,9 %, l’incremento delle retribuzioni contrattuali previsto dai principali contratti collettivi nazionali si attesta all’1,2% nel comparto metalmeccanico e appena lo 0,6% nel settore dei servizi. Se estendiamo al 2022 è realistico immaginare, che a fronte di un tasso di inflazione prossimo al 4%(la stima della Banca d’Italia è precedente lo scoppio della guerra), l’incremento dei salari sarà pari a un quarto per i settori coinvolti nei rinnovi (in particolare il riferimento è al contratto collettivo dei Metalmeccanici, rinnovato a febbraio 2021) e di un sesto per i contratti ancora scaduti (per es. il Contratto Collettivo Terziario e Commercio che coinvolge circa 3 milioni di lavoratori o ancora il CCNL Turismo e Alberghi). Uno scenario che rischia di aggravarsi ulteriormente in esito all’escalation bellica che coinvolge l’Europa Orientale e che potrebbe allargarsi all’intero Continente.

Recentemente il Codacons stima che con un’inflazione al 5,7 %,  la spesa media di una famiglia tipo aumenterebbe di circa 1.751 euro l’anno e questo valore salirebbe a 2.275 euro per un nucleo con due figli. Dati che esemplificano una condizione di maggiore vulnerabilità delle classi medio-basse dinanzi all’aumento dei prezzi.

Infatti, le spese per consumi energetici e per i beni alimentari pesano in maniera diversa sui bilanci familiari, alimentando una diseguale distribuzione dei costi dell’inflazione tra le classi sociali.

E seppur non è semplice prevedere gli sviluppi futuri, pare probabile, però, che l’inflazione non tornerà ai livelli conosciuti negli anni precedenti. Con un nuovo tempo occorrerà fare i conti. Un tempo segnato da una transizione in corso, dove vecchi equilibri si rompono e nuove costellazioni globali si intravedono, accelerate da quel nesso tra inflazione e guerra che desta incubi antichi. In questo tempo il mondo del lavoro è destinato, salvo un deciso cambio di passo, a subire un ulteriore colpo alla propria forza nei luoghi della produzione e nella società, e con esso la stessa tenuta democratica dell’Italia e dell’Europa.


Foto di Karolina Grabowska da Pexels

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