È ormai chiaro che la lotta contro la pandemia sarà vinta solo con le vaccinazioni. I vari governi hanno già sottoscritto contratti preliminari per miliardi di dosi in attesa delle autorizzazioni delle agenzie del farmaco. Non è chiaro tuttavia se i piani nazionali di prevenzione vaccinale punteranno su obblighi o su campagne di persuasione. Si tratta ovviamente di un aspetto cruciale delle future politiche pubbliche, che devono perseguire un obiettivo di copertura tale da garantire l’immunità di gregge.
Qualsiasi strategia deve tener conto della possibilità che molti cittadini rifiutino la vaccinazione o esitino a farla. A oggi, secondo i sondaggi, oltre il 50% degli italiani è contrario a qualsiasi obbligo, oltre il 40% dichiara di attendere a vaccinarsi per vederne l’efficacia, e quasi il 20% di non volere vaccinarsi del tutto. Se le cose stessero così, e con un’immunità di gregge stimata (attualmente) tra il 60% e il 70% di copertura, l’obiettivo rischierebbe di non essere raggiunto con la rapidità necessaria.
Com’è noto le politiche vaccinali sono, nel mondo, assai variegate. In metà dei paesi europei sono obbligatorie e prevedono sanzioni. Negli Stati Uniti e in Canada non c’è obbligo né sanzione, ma la vaccinazione é necessaria per l’ammissione scolastica. In Australia vi è invece una sorta di sanzione di tipo indiretto consistente nella perdita del diritto al Family Tax Benefit (una sorta di assegno familiare).
Dopo l’approvazione della legge Lorenzin l’Italia, insieme alla Francia, è uno dei paesi in cui l’obbligo riguarda il maggior numero di malattie. Si tratta di una legge molto contestata non solo dal movimento no-vax ma anche dall’opposizione (parte della quale è ora al governo). Un ricorso della Regione Veneto, respinto però dalla Corte costituzionale, ne ha messo in discussione la costituzionalità. Tale ricorso giudicava coercitiva, se non tirannica, l’imposizione di ben dodici vaccinazioni obbligatorie, invocando il principio che i trattamenti sanitari richiedono il consenso e possono essere imposti in casi del tutto eccezionali. E proponeva come alternativa all’obbligo una politica basata sulla persuasione.
Si potrebbe pensare che le grandi diversità nelle politiche vaccinali siano la conseguenza delle tradizioni culturali e giuridiche dei diversi paesi, che non avrebbero più ragione di esistere nel caso di una pandemia così pervasiva e aggressiva. In sostanza dovrebbe prevalere in questo caso il punto di vista tecnico-scientifico. In realtà, se si esplora l’immensa letteratura medica sulle vaccinazioni, si scopre che anche in essa le opinioni sull’obbligatorietà o meno delle stesse sono assai eterogenee.
È interessante notare come tale letteratura sia fortemente intrecciata con il dibattito bioetico e con quello economico. Ad esempio, è un’opinione largamente condivisa da queste discipline che l’immunità di gregge sia un bene pubblico. In altri termini, si tratta un bene che beneficia tutti senza esclusione e senza che la sua fruizione limiti quella degli altri, ma che le mere scelte individuali non riescono da sole a produrre. Ciò che rileva a giustificazione dell’obbligo non è tanto il trattamento in sé, ma il conseguimento di tale obiettivo.
Un trattamento sanitario generico consiste nella somministrazione di un farmaco che merita di essere fornito pubblicamente (meritorio, nel linguaggio degli economisti) perché, se lasciato ai liberi scambi sul mercato, sarebbe acquistato e fruito in misura non ottimale. Se si trattasse solo di questo non vi sarebbe ragione di alcun obbligo: il sistema sanitario fornisce (quasi) gratuitamente le cure senza imporre necessariamente ai cittadini di accettarle. Ma se vi è un risvolto di bene pubblico, come nel caso dell’immunità di gregge, basta che una parte rilevante dei cittadini non cooperi, rifiutando il trattamento, per impedirne del tutto la fruizione.
Consideriamo ora l’alternativa all’obbligo, costituita dalle politiche di persuasione. La loro difficoltà non sta tanto nel convincere i cosiddetti esitanti, la maggior parte dei quali vogliono attendere per vedere l’efficacia del vaccino e la probabilità dei possibili effetti collaterali. In questi casi, una informazione trasparente e non contradditoria sui dati tecnico-scientifici delle sperimentazioni è ovviamente necessaria.
È stato però mostrato che il fenomeno dell’esitanza ha a che fare anche con una serie di propensioni psicologiche che possono distorcere la razionalità delle scelte individuali nonostante l’informazione. Basti pensare alle distorsioni del tipo “effetto dotazione” o “dissonanza cognitiva” di cui viene discusso in altra voce di questo Sillabario. Tali distorsioni sono anche all’origine di forme più radicali di obiezione di coscienza che invocano vari motivi di tipo ideologico, etico o religioso, o di contrarietà di tipo no vax. Ma l’accertamento dell’autenticità e ammissibilità di tali motivazioni è piuttosto complesso, sicché in molti paesi esse non sono riconosciute come giustificazione delle esenzioni.
Pare certo che il piano italiano di vaccinazioni anti-Covid non preveda un obbligo generalizzato. Tuttavia, come sostiene il Comitato nazionale di Bioetica, dovrebbero “essere fatti tutti gli sforzi per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale, non escludendo l’obbligatorietà in casi di emergenza, soprattutto per gruppi professionali maggiormente esposti all’infezione e alla trasmissione della stessa”.
In assenza di obblighi si pone dunque il problema di come convincere i cittadini ad aderire alla campagna. Va di moda, tra i sostenitori delle politiche di persuasione, la strategia delle cosiddette spinte gentili (nudges), suggerita da Richard Thaler, Premio Nobel per l’Economia nel 2017. Si tratterebbe di una sorta di compromesso tra paternalismo e libertarismo che punta a convincere senza costringere, rendendo più attraente il comportamento socialmente desiderabile e più complesso e meno vantaggioso quello indesiderabile. Benché molto popolare, questa strategia rischia tuttavia di essere troppo gentile se non crea incentivi sufficientemente forti a vaccinarsi.
Un esempio interessante di incentivo efficace è quello citato più sopra dell’Australia, in cui non vi é obbligo ma si escludono i non vaccinati da alcuni benefici pubblici. Pare inoltre che chi non sarà vaccinato contro il Covid non entrerà in quel Paese e non potrà viaggiare sugli aerei della sua compagnia di bandiera. Un altro esempio è costituito dell’esclusione dei non vaccinati dalla possibilità di esercitare professioni o di fruire di servizi (la scuola, ad esempio) che comportano un contatto stretto. Se si giudica illiberale un sistema di obblighi con sanzioni, almeno si imponga a chi si rifiuta la rinuncia a quelle attività e a quei servizi che richiedono un ambiente immune.