Nell’immagine, un particolare tratto da un manifesto di propaganda del Partito Nazionale Monarchico, anni Cinquanta
L’architettura delle istituzioni europee, con un Parlamento eletto da centinaia di milioni di cittadini che di fatto non ha forti poteri decisionali, è un’Europa che non funziona.
La politica di austerità imposta a tutto il continente ha prodotto recessione, aumento dei disavanzi di bilancio e crescita dei debiti pubblici. La crisi economica, sociale, occupazionale di questi anni avrebbe bisogno di risposte coraggiose, ma l’attuale architettura istituzionale europea rende sempre più difficile, e spesso praticamente impossibile, prendere, o far applicare, le decisioni necessarie e urgenti. Prevale l’egoismo degli Stati e dei governi che bloccano, o semplicemente rinviano a tempo indeterminato, opzioni incisive ed efficaci.
L’Europa oggi è impopolare, ma in realtà lo è da tempo. Lo dimostra la storica bocciatura della Costituzione Europea in Francia nel 2005 e la Brexit è solo una ulteriore conferma. È vero, Macron ha puntato sull’Europa e ha vinto ma, come si è dimostrato subito dopo la sua elezione, il suo obiettivo era soprattutto quello di un maggior potere del suo Paese in Europa e non di più potere dell’Europa.
Le criticità che vive attualmente l’Unione Europea sono tante. Mi limito a citarne alcune, tra loro profondamente diverse.
La vicenda dei migranti, certamente la più drammatica. Gli Stati del Sud contro quelli dell’Est e del Nord che semplicemente non vogliono essere coinvolti.
La disoccupazione dilagante, soprattutto dei più giovani. La competizione fiscale tra Stati che accentua le diseguaglianze e avvantaggia chi può ‘giocare’ con le residenze fiscali.
Partecipazione e rappresentanza: particolare di un manifesto elettorale del Partito Socialista Italiano, anni Cinquanta
Che soluzioni si possono proporre? E, soprattutto, quali sono realizzabili?
Sia per i piani di bilancio nazionali che per quello “federale” dovrebbe essere prevista un’adeguata flessibilità in relazione al ciclo economico nazionale e di Eurolandia, sottoponendola a un coordinamento politico fra pari. Il bilancio continentale dovrebbe essere governato da un Ministro delle Finanze dell’Eurozona che potrebbe rilanciare un vero piano europeo degli investimenti (non quel suo simulacro che è il Piano Junker), con alcuni stabilizzatori automatici, come i sussidi di disoccupazione.
Sempre più necessario sarebbe un nuovo sistema fiscale dell’Eurozona, che sostituisca l’approccio Paese per Paese con un coordinamento delle politiche fiscali. Basti pensare che le tasse eluse al nostro Paese dalle multinazionali del Web ammonta ogni anno a 5-6 miliardi, circa un terzo della manovra finanziaria (Commissione bilancio della Camera dei Deputati)
Fondamentale sarebbe la rimozione delle regole fisse sul deficit, complessivo e primario, e la loro sostituzione con la regola aurea (golden rule) relativa alla spesa per investimenti pubblici netti e con il monitoraggio diretto della sostenibilità del debito pubblico.
Servono interventi che stimolino le imprese ad aumentare e riqualificare gli investimenti, a partire dalla ricerca. Allo stesso tempo sono urgenti misure che spingano i consumi di famiglie e lavoratori e, soprattutto, un piano di investimenti pubblici in infrastrutture e territorio che avrebbe sicuramente un importante ritorno occupazionale.
Infine, c’è il capitolo ambiente, con la salvaguardia del territorio e lo sviluppo ecosostenibile. In presenza di un territorio profondamente ferito e contaminato da anni di incuria e abusivismo, sono indispensabili interventi che, oltre a restituire un territorio più sicuro e più sano da trasmettere alle generazioni future, contribuirebbero anche al rilancio dell’edilizia, dell’industria 4.0 e dell’occupazione.
C’è solo una alternativa all’austerity, si chiama Europa Politica. Credo che per le forze progressiste l’Europa sia l’unica grande speranza per il futuro. Non c’è una sinistra nazionale che possa cambiare le cose se non si pone in collegamento con una sinistra europea.
Dare più potere al Parlamento Europeo potrebbe aiutare a rafforzare la dinamica politica dell’Unione, ma è evidente che questa ipotesi di lungo respiro ha molti avversari.
L’elezione diretta del presidente dell’Europa, una sfida tra un’opzione progressista e una conservatrice, con un programma preciso, uguale per tutti i Paesi, sarebbe una occasione straordinaria per dare all’Europa una forza politica riconosciuta e legittimata, come invece la Commissione oggi non è.
Bisogna dire con chiarezza, però, che l’Europa e l’euro restano punti fermi irrinunciabili. Che l’uscita dall’euro non significa altro che default, o forte rischio di default, di alcuni Stati (Italia, Grecia, Portogallo, Spagna), in quanto comporterebbe un esorbitante aumento del costo e del valore reale del debito stesso (espresso in nuova valuta), con conseguenze negative anche per le imprese e le banche indebitate in euro che non godono delle prerogative dello Stato che va in default.
Compito delle forze di sinistra e progressiste dovrebbe essere, quindi, quello di costruire, in tempi brevi, un sistema di protezione e stabilizzazione dei cicli economici e finanziari all’interno dell’Eurozona. La politica non deve bloccare la globalizzazione bensì controllarla, creando opportunità di lavoro per le nuove generazioni e restituendo fiducia e sicurezza in chi è fortemente impaurito da anni di crisi.